Uno dei ricordi più vivi dello sbarco di Nettuno è legato all'olfatto. La testa di sbarco aveva un suo odore caratteristico. Chi ha vissuto quei giorni lo ricorderà. Aleggiava su tutta la zona e seguiva il dispositivo dello schieramento del fronte: un semicerchio di 8 chilometri di raggio. Era un odore nuovo per gii italiani. Un misto di forte, di saponette alla lava mato dal fumo delle g posto mano un cuoco o acidulo della cipolla ha portato l'odore matore.
Proprio quella mattina del 22 gennaio del '44, una compagnia, o forse un battaglione di fanti, passò su un campo di cipolle che era davanti casa mia in una località detta "Cioccati". I soldati passarono come un mugolo di cavallette bibliche. Attraversato che ebbero l'appezzamento di terreno, le cipolle erano stradicatetutte, divorate. credo che questa fu la sola razzia preparata ai danni di Nettuno dalle divisioni di Truscott.
Se lo sbarco in Ndr tanza unica per l'andamento della guerra ("Vedevo sotto di me, dall'aereo, scorrere la Storia ", scriveva un corrispondente inglese il giorno del D Day, dalla Normandia) quello di Nettuno rivestì un significato sociologico per gli abitanti della zona, che nessuno studioso ha ancora messo a fuoco. Lo sbarco di Nettuno ebbe l'effetto di una rivoluzione con tutti i risvolti sociali, politici, psicologici e di costume che una rivoluzione, per l'appunto, comporta. Sarebbe troppo lunga, comunque, un'analisi sotto questo aspetto dell'avventura di Nettuno.
Basterà un accenno. La zona era popolata di gente che da quattro mesi si era stabilita in campagna. Era arrangiata in capanne, baracche di fortuna, perfino pollai. Non svolgeva
praticamente attività alcuna. Pativa il freddo, la fame. Viveva una lunga, assurda, disagiata vacanza, che coinvolgeva giovani e vecchi. I giovani - appunto perche tali - reagivano come potevano: si riunivano nelle località dove i gruppi erano più numerosi e organizzavano balli al suono di fisarmoniche (ricercatissimo, perché bravissimo a suonare, era uno dei fratelli Barattoni che spesso era a casa mia). Si ballava la " polka " con " Rosamunda " e il tango con " Caminito " e " Una Chitarra nella notte ". Questo stato di cose, con lo sbarco, da un'ora all'altra, ribaltò completamente. Ecco perché ho parlato di quei riflessi, sulla gente, tipici delle rivoluzioni.
Improvvisamente, centinaia di contadini - bisogna pur dirlo - che avevano vissuto come nell'800, in baracconi dì legno o in villaggi di capanne (Piscina Cardillo - che in realtà si chiama Cardelio - e che oggi è una fiorente borgata di costruzioni, era nel '44 un agglomerato di " tukuls " del tipo abissino); migliaia di cittadini sfollati da Nettuno, Anzio e paesi limitrofi, commercianti studenti, professionisti, pensionati, si trovarono, nel giro di qualche istante, " dentro " la seconda guerra mondiale.
Quel 22 gennaio del '44 era una giornata invernale con il ciclo come suoi dirsi - " cristallino ". Le granate tedesche e il crepitìo delle mitragliatrici americane sembravano infrangere quel cristallo. Arrivavano, chissà da dove, altri rumori sotto forma di spari brevi, sinistri, come se qualcuno stesse colpendo un secchio di ferro.
Per tutta la giornata del 22 dilagarono i reggimenti delle divisioni americane. A sera, la testa di ponte era abbastanza consolidata. Dopo il tramonto, quel ciclo che era stato tutto il giorno azzurro, non divenne - come sarebbe stato naturale - nero. Cominciò a brillare di piccole luci rosse che si inseguivano a velocità folle. Erano i proiettili traccianti della contracrea. All'orizzonte, i bagliori delle cannonate disegnavano il perimetro semicircolare del fronte.
Io ed altri amici si dormiva in una casa colonica a pianterreno. Ci addormentammo tardi a causa dei colpi e dei motori dei carri armati che continuavano a dìrigersi verso la prima linea che trovavasi a qualche chilometro a Nord. Eravamo su giacigli di fortuna io, un mio amico meridionale, che era rimasto da noi dopo lo sbandamento dell!8 settembre, ed
altri.
Verso le 3 fummo svegliati da un boato. La porta della stanza venne scardinata. Uno Stuka tedesco - lo apprendemmo il giorno dopo era penetrato tra le maglie della difesa americana e aveva centrato una nave carica di munizioni. L'esplosione fu tremenda. Svegliandomi notai la porta divelta. Nel vano, contro il ciclo stellato, si staglia la sagoma di un soldato. Veniva avanti mugolando qualcosa. Credetti fosse ferito. Si avvicinò a noi che stavamo ancora sdraiati e ci illuminò con un accendino Indicò il mio amico meridionale e disse: " Segnorina? " il giovanotto si alzò di scatto e cominciò a gridare: "Sono uomo, sono uomo I ".
A questo punto si verificò un fatto paradossale che ancora mi muove al riso quando lo ricordo. L'americano ci fece capire chiaramente che non importava che si trattasse di un uomo; che quel ragazzo andava bene lo stesso per lui. Compreso che ebbe le intenzioni dell'americano, il mio amico balzò dal giaciglio, in un attimo guadagnò la porta scardinata e si allontanò urlando nella notte fredda di quel fatidico gennaio del '44. La mattina dopo lo rividi, stravolto dalla nottata insonne. Con aria cupa mi disse: " Tutto avrei pensato durante i mesi di attesa per tornare a casa. Ma non che il primo americano, il primo " liberatore che avrei incontrato, volesse... " e qui, da buon meridionale, usò un'espressione co-loratissima che si usava quarant'anni fa. Ma che si usa, tale e quale, anche oggi. L'avete capita.
Paolo Senise |