Il loro Comando non perse tempo; mise alle strette i nostri ufficiali superiori e li convinse alla resa, non avevano altro scampo.
Il giorno successivo, il 10-9, permise al nostro coman-dante ed agli ufficiali superiori di accedere incolonnati in caserma. Saranno state le 10. In poche parole fu detto agli ufficiali e soldati, appositamente riuniti nell'ampio cortile, di cedere le armi. Non tutti obbedirono però; la maggior parte preferì, anche incitati da alcuni ufficiali, a" squagliarsi ", con tutte le armi, dalla porta carraia.
Chi obbedì depose le armi presso il corpo di guardia che, più tardi; fu fatto saltare.
Gli altri, armati, preferirono la campagna fuori della cinta della caserma, che pur stando a distanza, seguitarono a vigilare.
Fù un fuggi fuggi generale.
Dopo la resa delle armi, alcuni camions tedeschi che sostavano lungo 1a Via Santa Barbara, ebbero libero accesso. Uno di questi camions andò difilato verso 1'autodrappello per razziare tutti i mezzi leggeri in nostra dotazione. Una loro sentinella armata di tutto punto si pose, spalle al muro, nei pressi, onde proteggere il reparto di autisti che dovevano pren-dere le macchine. Per fortuna, i nostri dell'autodrappello previdentemente avevano asportato le puntine platinate dai motori, per cui l'operazione subì un ritardo, quando un artigliere, arrampicatosi dall'esterno sopra il muro, accoppò con una bomba la sentinella armata. Il fatto fu così magistralmente eseguito che scatenò, ipso facto, la rivolta. Tutti i militari si avventarono sui tedeschi colpendoli con bastoni, ed altro. Fu il via all'insurrezione interna che riuscì a cacciare tutti i tedeschi, dalla caserma, pure loro pressoché disarmati.
Contemporaneamente dagli spalti del forte Sangallo alcuni civili insieme con alcuni ufficiali assaltarono un pullman di tedeschi, proveniente dalla caserma Piave, bloccandolo, disarmandolo e dando il via alla resistenza armata nettunese, che tenne lontano i tedeschi fino al giorno dodici.
A questo punto il comandante tedesco riallacciò, seduta stante, le trattative col nostro colonnello, tenuto agli arresti, ritenendolo responsabile della reazione, minacciando di far bombardare il paese se non si fossero arresi subito, aggiungendo che aveva già chiamato una divisione corazzata per sedare i tumulti. Infatti, la stessa sera subimmo una incursione da parte di stukas, che lanciarono alcune bombe nei pressi di Villa Borghese - Viale Mencacci, creando sulla strada un grosso cratere.
Così, a mezzogiorno dell'11, il col. Toscano, sotto minaccia, riunì di nuovo sul piazzale della caserma tutti quelli che erano rimasti e cercò di convincerli ad arrendersi incondizionatamente, davanti allo stesso colonnello tedesco che poi prese la parola. Disse che eravamo ancora alleati con la Germania, che il Re aveva tradito e che si poteva fare quello che si desiderava: continuare a combattere al loro fianco o ritornare a casa. Che i nemici rimanevano sempre gli angloamericani, che si dovevano consegnare le armi e che chi avesse aderito, sarebbe stato poi riarmato. Ci fù l'ammaina bandiera, quindi le armi furono riconsegnate. Alcuni camions tedeschi sostavano lungo Via Santa Barbara ed altri, questa volta, dalla parte opposta, presso la porta carraia. La radio continuava a dare notizie: a Roma violenti combattimenti a porta S. Paolo, a Firenze ancora si resiste, a Bologna si combatte, e via dicendo. |