Quando, qualche giorno dopo l'armistizio, fummo costretti a lasciare il paese per ordine del comando tedesco, mi rifugiai, con la mia famiglia, in località " Spino Bianco ". Parlo di " rifugio " perché la nostra sistemazione fu veramente precaria e d'emergenza. Il tetto era di paglia, le pareti erano formate da balle di fieno, non c'era porta né tanto meno servizi.
Tutta la nostra giornata si svolgeva all'aperto, sull'aia, in comune per le necessità igienìco-fisiologiche possibili, dietro le siepi per quelle un pò più riservate e personali. La sera si andava a dormire all'interno, straiandoci sulla paglia a diverse altezze da terra seconda della quantità di essa prelevata al mattino come mangime per gli animali. Eravamo circa una trentina, sei famiglie; in più in un angolo di questa enorme capanna una mucca da latte e vicino ad essa un cucciolone bastardo senza nome e sen/a padrone. Un randagio certamente che si era scelto da solo quel posto, forse sconcertato dallo enorme movimento di gente che vedeva in quei giorni per le campagne. Lo chiamai "Fido" e quel nome gli piacque perché al/o la testa e scodinzolò venendomi tra i piedi. Diventammo amici e mi accettò come suo padrone.
I giorni passavano lenti, uno dopo l'altro sempre grigi e monotoni, e la speranza di poter tornare presto nelle nostre case si affievoliva sempre di più. Per ingannare Ìl tempo mi recavo spesso a trovare amici sparsi nei dintorni, si parlava solo di guerra, del fronte di Cassino che gli alleati non riuscivano a rompere, si facevano progetti, si azzardava previsioni. Fido mi accompagnava sempre nelle mie passeggiate, ascoltava, sdraiato ai mìei piedi, le nostre lunghe conversazioni che certo non condivideva. Era felice, lui.
Intanto l'autunno volgeva alla fine, incominciava il maltempo, le piogge, le lunghe notti fredde nel pagliaio, le giornate corte passate davanti al fuoco con il desiderio sempre più struggente delle nostre case tanto vicine e altrettanto proibite.
Natale 1943. Ricordo ancora il silenzio della notte senza un suono di campane, senza una cometa di un qualsiasi piccolo presepe, senza una luce se non quella della fede che, ancor più alimentata dagli eventi, sosteneva le nostre speranze. La mattina del 31 Dicembre si sparse improvvisa una voce per le campagne: i tedeschi stanno rastrellando giovani. Ricordo che era una giornata limpida ma fredda con un leggero vento di tramontana. Bisognava nascondersi. Ai piedi della collinetta dove eravamo accampati c'era un grosso canneto con al centro delle sorgenti. Istintivamente con mio cugino Gaetano corremmo a nasconderei tra le canne con l'acqua gelida che ci arrivava fin sotto le ginocchia. Fido volle seguirmi come era solito fare ma abbaiando rabbiosamente non riuscendo a capire la mia strana e inconsueta decisione. Rimase ancor più sconcertato quando si vide respingere con gesti minacciosi e addirittura con il lancio di sassi. Il suo abbaiare avrebbe potuto farci scoprire dai soldati tedeschi che erano lungo il viottolo che costeggiava il canneto e dei quali udivamo distintamente le voci. Passammo tutta la giornata in quella certo non comoda posizione. Ogni momento sembrava un secolo e il freddo dell'acqua sembra averci paralizzate le gambe. Venne finalmente la sera e, aiutati dai nostri familiari che ci erano venuti incontro, riuscimmo a risalire il breve pendio che ci riportava al riparo e al caldo. Fu quello per me l'inizio di nuove e drammatiche sventure. Dopo qualche giorno mi ammalai. Pleurite.
Quando sbarcarono gli alleati non stavo ancora bene e rimanevo quasi sempre sdraiate nel mio pagliericcio anche quando, di prima mattina, solitamente un aereo tedesco sorvolava la zona sganciando bombe che, in qualsiasi punto cadessero, procuravano enormi danni data la quantità di materiale bellico che era stato accatastato nelle nostre campagne. Una mattina, ai primi di febbraio, una bomba cadde vicino a noi. Uno scoppio pauroso, terrorizzante, da far tremare tutta la collinetta Mi feci coraggio e uscii fuori. Il mio sguardo si
fermò in fondo al pendio ove vidi, disteso al suolo, due pecore, e vicino ad esse Fido in un lago di sangue con il ventre squarciato. Mi avvicinai e lo accarezzai! Piangevo.
Ai primi di Aprile fummo di nuovo sfollati dagli alleati o questa volta lontano da Nettuno.
Pensai allora che, se Fido non fosse morto, sarebbe di nuovo tornato ad essere un randagio e non avrebbe mai accettato un nuovo nome ed un nuovo padrone.
Mario C.
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