Era stata liberata Roma da alcuni giorni quando, in quattro, ci recammo a bordo di un camioncino 514 a Porto d'Anzio. Sergio M., proprietario dell'automezzo, per incarico del padre doveva vedere se era arrivata una nave di vino dal Sud. C'erano con noi anche Gaetano M. e Checchino S. l'autista.
Io stavo sul predellino poiché sul sedile erano già in tre. Nell'andare ad Anzio, all'altezza del Belvedere, un camion condotto da un negro, per non farci passare cominciò a fare zig-zag lungo la strada. Proseguì questa serpentina, sino davanti il villino Masini; qui fermò di colpo l'automezzo in mezzo alla carreggiata alquanto stretta della strada, mettendo in serio pericolo noi tutti per la frenata repentina. Era estate, indossavo i calzoni corti ed una camicetta e portavo gli occhiali da sole. Scesi dal predellino coli'intenzione di chiedere all'autista di parcheggiare lateralmente onde consentirci di passare. Il villino Masini era un concentramento di soldati di colore che, in quell'ora pomeridiana, sostavano seduti e sdravaccati ai lati e lungo la strada. Chiesi il passo all'autista negro, di notevole mole, ma questi, giratosi per scendere, mi acciuffò per i capelli con la mano sinistra e, poggiando con tutto il peso del suo corpo sulla mia testa, mi vibrò con la destra alcuni colpi alla vita, costringendomi a flettermi anche a causa del suo peso. Non sapevo che cosa fare. Reagire non era possibile, se m'avesse colpito al viso mi avrebbe rotto gli occhiali accecandomi. In un lampo sprofondai velocemente seduto a terra, per svincolarmi dalla sua presa e, senza perdere tempo gli assestai, dove si sentiva meglio, una pedata che disorientò per poco il bisonte negro. Riavutosi dalla sorpresa, lo vidi armeggiare minacciosamente col coltello. Ormai non avevo scelta. M'infilai sotto il camion per non farmi prendere; lui prontamente girò dall'altra parte ed io carponi, mi spostai dalla parte opposta. Per fortuna tutti gli altri negri assistettero passivi alla vicenda. Lui, più che mai infuriato, saltò sul camion mettendolo in moto con l'intenzione di schiacciarmi, ma io, più svelto, uscii di sotto ed a gambe levate mi diressi in linea retta verso il cancello di ingresso di Villa Borghese. Lui, vedendo dove andavo, cercò di raggiungermi con il camion, ma fu costretto a deviare a causa della carreggiata obbligatoria e dei gran mucchi di terra disseminati sulla pista che io percorrevo. Era mia intenzione andare dritto, su per Via del Colle ed imboccare quindi il cancello che io raggiunsi per primo. Non appena lo ebbi varcato, sempre a gambe levate, percorsi a ridosso del muro, senza essere visto, il tratto di strada era stata sgombrata, aveva ripreso la marcia per Anzio. arrivato in prossimità del muro di cinta verso la strada provinciale, saltai a pie pari il muro, togliendomi dalla visuale del negro che stava allora varcando il cancello. Non so nemmeno io come feci e chi mi diede tanta vigoria e lucidità. Feci persino in tempo a raggiungere il camioncino che, una volta che la strada era stata sgombrata, aveva rpreso la marcia per Anzio. Saltai di nuovo sul predellino dell'auto, dopo averlo rincorso per una cinquantina di metri, e solo allora m'accorsi d'essere stato accoltellato. Sentii un leggero bruciore nella zona lombare, vi passai sopra la mano e la ritrassi insanguinata. Giunti al Porto di Anzio, fui medicato da un capitano medico a bordo di una corvetta inglese. Ancor oggi si vede la cicatrice. |