Il forno della Sora Maria
in via Conte di Torino |
Una quarantina di donne, come tutte le mattine, facevano la fila in Via Conte di Torino per prendere il pane direttamente dal forno della Sora Maria quando sopraggiunse una camionetta di tedeschi che facendosi largo tra le donne, prelevò tutta la sfornata di pane, 'senza preamboli e ripartì subito.Lascio immaginare lo stupore e lo sdegno che ne derivò in seno a quelle madri di famiglia che aspettavano da più di un'ora lì fuori. Nacque subitamente il malumore e si pensò alle misure da prendere contro i tedeschi. La notizia si propagò in un battibaleno e l'antidoto fu presto trovato. Ci recammo con alcuni animosi presso il piano sottostante del Comando, dove ci armammo di fucili e bombe a mano, vennero con noi anche alcuni ragazzi di 13 e 14 anni. Di li a poco ci appostammo come ritenemmo giusto su balconi e terrazze sulla piazza Umberto I. Poco dopo transitò da Anzio un motosidecar con due tedeschi sopra. Dall'alto della terrazza sopra il Caffè Roma fu lanciata una bomba che andò a scoppiare proprio davanti il mezzo facendolo ribaltare. I due tedeschi sbalzati fuori si arresero subito. Sbucarono quattro o cinque giovanotti armati che li condussero nella caserma dei carabinieri, ma siccome non avevano disposizioni, non li accolsero. Decidemmo seduta stante di portarli sotto al Sangallo a mare, presso la guardiania. Il più anziano dei prigionieri era ferito e capiva un pò l'italiano per cui, alla nostra decisione, ci pregò: " No a me, non buttare a mare. Avere familia ".
Intanto la radio diffondeva che tutti si erano arresi, compresa la caserma Piave con i suoi 2.000 uomini. Non era vero però.
Nel frattempo arrivò un piccolo distaccamento di fanteria, proveniente da Sabaudia, dotato di una mitraglia. Furono subito destinati, insieme ad altri paesani, al Castello Sangallo ed a Belvedere.
A1 comando Tedesco di Anzio, non vedendo tornare la motocarrozzetta, capirono che la popolazione era ormai insorta ed armata ed inviarono subito un'altra camionetta, munita di bandiera bianca, che andò a fermarsi davanti il Comando dove era rimasto il colonnello Toscano in stato d'arresto. L'ufficiale salì e parlò con il colonnello ordinandogli d'intervenire presso la popolazione per far cessare la resistenza altrimenti i tedeschi avrebbero messo a ferro e fuoco il paese. Il colonnello costretto, parlò alla popolazione dal balcone del comando riferendo la richiesta dei tedeschi di cedere le armi.
Dopo circa un'ora, constatando che i nettunesi non desistevano i tedeschi cominciarono a sparare, dal loro poligonetto di tiro di Anzio Colonia, su Nettuno con proiettili che esplosero sulle nostre case bucando e danneggiando seriamente i nostri tetti.
Rintanati noi aspettavamo gli eventi. La radio continuava ad elencare i paesi del Lazio che si erano arresi, noi non vi figuravamo.
Nel pomeriggio, dalla torretta della Piazza del mercato notammo verso Lavinio una colonna di fumo nero. Guardammo col binocolo e notammo che i tedeschi in partenza, bruciavano i documenti dei loro uffici, si ritiravano. Purtroppo arrivati a Campoleone s'imbatterono con una loro colonna corazzata che si recava in rinforzo sul fronte di Cassino. I comandanti parlarono tra loro e, d'accordo, dirottarono il transito per Anzio e Nettuno, facendo ritornare sui loro passi anche i nostri diretti oppressori. Tanto è vero che nella notte sentimmo un continuo rumore di cingoli e la mattina seguente ne trovammo una buona parte schierati lungo la piazza.
Trovammo pure affissi degli editti che dicevano di arrenderci, che tutti i civili avevano l'obbligo di consegnare le loro armi presso la caserma Piave, pena la fucilazione.
Dal mio osservatorio file di paesani che si recavano con le armi presso la caserma Piave e ne ritornavano senza. Io nascosi il mio moschetto, con alcuni caricatori e bombe a mano in mezzo a fasci di canne che stavano ammucchiati nel retro cortile della mia casa.
Trascorse tutta la mattina, quando i carri armati ripresero la strada per Cassino, portando con sè anche quel nostro carro armato che era parcheggiato a ridosso delle mura castellane.
Qui rimase un distaccamento per presidiare la città. |