Ero sfollato con la mia famiglia in un vigneto a Tre Cancelli. Vivevamo in una capanna, quando, la mattina seguente allo sbarco, in compagnia di M. e G. T. e P.T., presso la
strada provinciale, passò un contadino in bicicletta tutto trafelato che ci disse che un centinaio di metri più avanti, a fianco d'un camion, aveva visto due tedeschi morti. Ci avvicinammo subito con cautela e constatammo che aveva detto il vero. Come per intesa, ci mettemmo a rovistare nel camion facendo bottino di ogni cosa. Io rimediai un servizio da tavola completo, una bussola da collo, due borse tedesche di cuoio nero ed un pastrano militare. M. invece una mitraglietta con una borsa di pelle piena di munizioni ed una macchina fotografica. Gli altri, a mani piene, si dileguarono prima di noi verso un'altra direzione. Stavamo rientrando verso le nostre dimore, quando ci imbattemmo in una pattuglia americana che ci intimò l'alt e, sotto la minaccia delle armi, ci condusse al comando, dentro il -bosco, dove c'era anche l'interprete che ci disse che, per fatti del genere, avevano carta bianca e che potevano anche passarci per le armi. Ci avevano scambiati per collaboratori fascisti, per via di quella dannata mitraglietta a tracolla che portava Mario.
Le cose si stavano mettendo proprio male quando, per fortuna, sopraggiunse insieme con un ufficiale americano, un colonnello italiano che, interrogatici sul fatto, traducendo al col. americano i fatti com'erano andati, riuscì a scagionarci e ci fece una lunga romanzina e quindi ci tolsero tutta la refurtiva e ci riaccompagnarono alle, nostre capanne. Ricordo anche che pretendevano di sequestrarmi l'orologio da polso, mio personale.
Tale lezione valse, almeno per me, a non mettere più piede fuori dalla vigna in cui stavo, fin quando ci trasferirono d'autorità al Sud. |