Avevo appena nove anni e con la mia famiglia andammo, sfollati, a Piscina Cardillo insieme con altre famiglie. In quella famosa notte, ricordo che fummo svegliati da un gran fragore di bombe, che ci schiodarono precipitosamente dal letto per farci rintanare nel rifugio scavato nella terra, fatto da mio padre e da altri capifamiglia. Nel breve tragitto, vedemmo lampi e tuoni gragnuole ed abbagli tali che il cielo sembrava stesse andando a fuoco. Sostammo nel ricovero fino a mattina inoltrata e, quando ne uscimmo, si presentò alla nostra vista come una moltitudine di ombrelli aperti verso il mare. Non comprendemmo subito la cosa, ma quando d. Vincenzo, sfollato come noi, ci prestò il binocolo, mio padre ed io, salimmo su di un albero e riconoscemmo in quegli ombrelli tantissimi palloni frenati ancorati sulle navi sottostanti, delle quali il nostro mare era pieno Lascio immaginare lo stupore. Scendemmo lestamente per portare la novella e, non eravamo ancora rientrati nel nostro baraccone, quando ci trovammo in mezzo alle prime colonne di americani dirette verso l'interno; i soldati, alla vista di noi bambini, cominciarono a profondere cioccolata e caramelle.
Altro fatto che non riesco a cancellare dalla mia memoria si riferisce a quando ci prelevarono frettolosamente di peso, con lo stretto indispensabile, ci fecero pernottare all'addiaccio a Santa Teresa, per ricaricarci all'alba ed introdurci con tutto il camion nella stiva della nave che ci condusse direttamente al Sud. |