Alle due di notte del 22 gennaio 1944 il VI Corpo d'armata agli ordini del generale John Porter Lucas, approdò a Nettuno e Anzio. Immediatamente prese vita una speranza; una speranza che aveva un solo nome: Roma.
La storiografia ha ampiamente documentato tutti gli andamenti di una battaglia che per oltre quattro mesi inchiodò lungo le pendici dei Colli Albani un contingente armato, che Churchill aveva concepito come un "gatto selvaggio" e che invece la delusione del momento portò a paragonare ad una "balena arenata".
Certo, in quei mesi di impasse la delusione fu grande. A questo proposito Croce così scriveva nel diario datato 5 febbraio: "purtroppo le speranze di una imminente entrata in Roma sono cadute ed anche sul fronte dello sbarco alleato ci si avvia alla stasi".
Fu un arresto che costò sangue, lutti e rovine. La resistenza romana fu duramente colpita e l'eccidio delle Fosse Ardeatine costituì il tragico suggello della reazione nazista contro vite innocenti. Furono i giorni di una tragedia italiana ed europea che Nettuno visse, quasi preludio di quello che quattro mesi dopo sarà lo sbarco in Normandia. E sarà proprio in Normandia che la lezione imparata ed applicata ad Anzio e Nettuno darà i suoi frutti.
Oggi, in un mondo figlio di quelle lotte e di quei sacrifici noi ricordiamo, insieme ai caduti di Nettuno, i centomila caduti italiani della guerra di Liberazione: martiri che con il loro sacrificio riscattarono l'onore italiano, ponendo premesse del pieno inserimento del nostro paese nel consesso degli organismi internazionali. Ecco come noi oggi sentiamo quei fatti lontani sullo sfondo di quella concezione della storia che è sempre storia vivente e mai compiuta, perché la storia è morta solo quando gli uomini pensano al presente in termini di passato anziché al passato in termini di presente.
Di quest'Italia nuova, fondata sui valori di civiltà, di tolleranza e di democrazia, i giorni di Nettuno sono stati in certo modo la premessa.
GIOVANNI SPDOLINI
Presidente del Senato |