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QUEI GIORNI
A NETTUNO

22 GENNAIO - 26 MAGGIO

di
FRANCESCO ROSSI
SILVANO CASALDI

Edizioni Abete

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09 - LE TRE GIORNATE


 


Vittorio Emanuele III

Torniamo all'occupazione dei tedeschi. Misero un cannoncino anticarro all'angolo del palazzetto di Porfiri (dove si gira per andare al mercato) e lo puntarono contro le mura del presidio militare, intimando con un megafono agli ufficiali italiani di venir fuori con le mani in alto. Il comandante, che era il colonnello Bruno Toscano, rispose: "Datemi il tempo di far uscire le donne e i bambini, e poi fate quello che volete". Questo avveniva poco dopo le sette del mattino del 9 settembre, quando già da due ore un altro reparto tedesco, fatta la salita di via Santa Barbara, aveva puntato le armi contro la caserma Piave, e la teneva sotto il tiro delle mitragliatrici dalle terrazze intorno.
Nello stesso tempo, a Roma, tre macchine nere sortivano furtivamente non dal portone del Quirinale, ma da una delle porte secondarie del ministero della guerra in via XX Settembre. Era, dopo l'annuncio dell'armistizio con gli anglo-americani, la fuga di Vittorio Emanuele III e Badoglio. I quali arrivarono puntualmente a Pescara e puntualmente s'imbarcarono su una corvetta e altrettanto puntualmente si misero al sicuro, guadagnando il porto di Brindisi. E gli italiani? Provassero a spicciarsela da loro con i tedeschi.
Ci provarono a Nettuno. Il cannoncino di piazza Mazzini, dal quale partirono poi tre colpi che centrarono il primo piano del presidio, ebbe tuttavia l'effetto di una scintilla tra i nettunesi. Non a caso, il disegno del cannoncino, scortato da due sentinelle, è stato scelto per la copertina dell'unico libro che ha saputo raccogliere le testimonianze della gente semplice che per tre giorni fu capace di difendere la propria libertà, mentre le notizie della radio non smettevano di dare l'elenco dei paesi del Lazio che si erano arresi.
L'autore del libro, pubblicato nel 1984 con il titolo "Nettuno, antologia di ricordi", è il prof. Augusto Rondoni, un nettunese. Lo conoscono bene gli studenti della scuola media Sangallo, dove insegna materie tecniche. Con i galloni di caporale, faceva parte del reggimento d'artiglieria della caserma Piave; ma il suo comando stava ad Anzio presso il circolo della Tevere Remo, e lì si presentò regolarmente dopo l'armistizio, badando a compiere il proprio dovere. Questa dignità si ritrova nel suo libro.
Non pochi degli ufficiali del presidio, invitati a ritirare un salvacondotto, e invece accerchiati e spinti nei camion, iniziarono così il viaggio senza speranza verso i lager; altri, dopo essersi trovati con le spalle al muro, poterono unirsi alla popolazione insorta anche contro il saccheggio dei negozi. I tedeschi rispondevano con due parole a chi pretendeva che si presentassero alla cassa: "Paga Badoglio". Il colonnello Toscano, che era agli arresti nel suo alloggio, sgattaiolò dal giardino per raggiungere i soldati e i civili che avevano alzato le barricate al castello Sangallo e al Belvedere.
Oltre alla caserma Piave (assegnata nel dopoguerra alla scuola per sottufficiali di pubblica sicurezza) e alla caserma Tofano dentro il poligono, c'era a Nettuno la caserma Donati. Un complesso di edifici, dei quali è rimasta in piedi soltanto una palazzina nell'area che, nei pressi del mercato, viene oggi adibita a parcheggio delle auto. La caserma Donati fu il deposito d'armi cui maggiormente attinsero i nettunesi.


Lapide
in piazza Mazzini

La rivolta era cominciata in piazza Mazzini. Al di sopra dello spazioso marciapiede che, prima dell'archetto di via del Quartiere, fa da atrio a viale Matteotti, ed è il punto di raduno dei nettunesi e dei villeggianti per le passeggiate verso San Rocco, è stata affissa una lastra di marmo a una specie di spigolo spianato, che sembra il fianco fortificato o il contrafforte del muro più esterno del Borgo medievale. Bisogna un po' cercarsela, la lastra, alzando gli occhi oltre l'insegna luminosa del bar Nettuno. Tutt'altro che invadente, stenta a farsi vedere. Anche la sua epigrafe, senza firma e senza superlativi, è la negazione della vanagloria: "In questa piazza ad iniziativa di alcuni animosi il popolo di Nettuno insorse contro i nazi-fascisti. 8-9-10 settembre 1943".
La data è sbagliata, perché l'insurrezione cominciò il 9. Quegli animosi, eccettuati il sottotenente dei carristi che li capeggiava, e altri tre o quattro scampati al marasma della disgregazione militare per grazia d'una licenza, non avevano mai maneggiato un'arma. Erano dei ragazzi, come Marcello Simeoni, appena diciassettenne. A sospingerli, tuttavia, fu il grido d'uno che gli poteva esser padre: Giuseppe Ottolini, il commendatore. Altro personaggio, nella galleria dei notabili nettunesi. Ha legato il suo nome alla costruzione del grattacielo e del complesso residenziale di Scacciapensieri. Sicuramente, almeno per chi non ha perduto il ricordo del profilo regolare della costa e considera il grattacielo un pugno nell'occhio, gli fanno più onore le parole con cui seppe incitare i giovani: "Nettunesi, andiamo a prendere le armi!".
Da piazza Mazzini alla caserma Donati, abbandonata dai militari, fu un salto. Venne fuori di tutto, perché a Ottolini si unirono anche gli affamati. I rivoltosi si rifornirono di fucili mitragliatori, moschetti e bombe a mano. Trovarono pure una mitragliatrice pesante, che aveva però il difetto d'incepparsi.
La ripararono nella bottega dei fratelli Barattoni, i fotografi. A saperci mettere le mani, per la precisione, fu soltanto uno: Costantino Cestarelli. Abitava in via dello Steccato, la soprelevata del Borgo. Era tornato dal fronte, e l'esperienza gli servì a insegnare ai ragazzi di piazza Mazzini come si sparava. Il che non impedì che, nel provare la mitragliatrice, gli scappasse una raffica che ruppe i fili della corrente, lasciando il paese al buio per diverse ore.
È stato faticoso rintracciare Costantino e avere i nomi dei suoi compagni. Più d'uno è deceduto: Lorenzo Lucci, detto "Poppetto"; Giuseppe Bruzzi, il collaudatore dell'Ansaldo; Umberto Mastrogirolamo, detto "Gazzone"; Giuseppe Roveri, l'elettricista comunale. Soprattutto di loro, ha parlato Costantino, che dal Borgo è andato a vivere in campagna, fra Tre Cancelli e il fontanone della Seccia. La casa, se l'è fatta da sé, e ha un bel pezzo di terra, con la vigna, l'orto, il gallinaio.




OPERA APPARTENENTE AL FONDO BIBLIOGRAFICO
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