"L'ultima sera - riferì Natalina a Rondoni - eravamo rimasti in dieci-undici, e stavamo in trepidazione per la scelta che avrebbero operato i tedeschi, ma non vennero. Dopo un po' ci assopimmo, per essere poi svegliati dal rumore incessante di un pesante bombardamento, che durò fino alla mattina. Erano già quattro giorni che io non andavo al gabinetto per la vergogna. Quando vennero giù all'alba, ci prelevarono tutti; ci slegarono e ci condussero fuori. Tra noi dicevamo: "È la fine", lo aggiunsi a me stessa che era meglio così, però ci accorgemmo subito che i modi di quei soldati erano più morbidi".
Tanto morbidi da riservare ai malcapitati, oltre alla libertà, un servizio completo. A uno dei piani superiori di quello che, più della sede dei tribunali romani, meritava l'appellativo di palazzaccio, furono lavati, asciugati e disinfestati. Poi ebbero di che vestirsi: maglie, mutande, camicie, calzoni, un paio di zoccoli per ognuno; infine tutti a tavola, con la minestra, le scatolette di carne e fagioli, il formaggio, la cioccolata, le bustine di latte in polvere e di caffè. "Dalle finestre - fu l'epilogo che la chiromante non vuole più rammentare - vedemmo un nugolo di palloni e il mare nero di navi. Era lo sbarco degli americani. Solo allora ci rendemmo conto di averla scampata bella".
Nell'archivio della memoria, queste cose di solito s'annebbiano. A Nettuno però, di quella mattina in cui finalmente si capì che cosa era avvenuto, un fotogramma è rimasto intatto, nitido, nonostante la polvere di quasi mezzo secolo: quello del mare così colmo, stracolmo di navi che non si vedeva più. Fosse dipeso dal fenomeno d'un'interminabile bassa marea, che avesse risucchiato le acque per diverse miglia al largo, si sarebbe riconosciuto il fondo del mare. Sembrò piuttosto che la terra, fattasi avanti, lo avesse interamente riempito, da Torre Astura ad Anzio; ed era appunto l'effetto del nereggiare di navi, accostate, messe in fila. come in quei parcheggi d'auto che sono ormai, in ogni città, i coperchi metallici delle maggiori piazze.
Quello spettacolo è ancora negli occhi di chi lo vide. "Alle cinque, alle cinque e mezza, ancora alle sei - ricorda Fernanda, la nipote di Pietro e Ciro Donati - eravamo tutti in terrazza. Più che le esplosioni e il cannoneggiare della notte, ci aveva messo sull'avviso la precipitosa partenza dei tedeschi, che avevano sgombrato la villa all'improvviso. Dalla grotta, salimmo le scale, prima con circospezione e poi di corsa. La nostra terrazza era allora la più alta del paese. Di lassù, con l'aria rarefatta, si poteva scorgere Ponza. Quella mattina, però, il mare non c'era più. Mi colpì soprattutto il grappolo dei palloni al di sopra delle navi. Servivano a proteggerle, mi spiegarono, dagli attacchi a volo radente degli aerei; ma l'impressione era che le tenessero frenate, meglio delle ancore". |