Pochi giorni dopo, quattro bambini, Anna, Iole, Sergio e Luciano, appartenenti alla numerosa famiglia di Armando Ottaviani, uscirono dalla loro capanna di Piscina Cardillo e vennero a piedi a Nettuno. Avevano lasciato sulla rapazzuola. tra le braccia della madre in lacrime, altri due fratelli: Stefano, nato da pochi mesi, e Rosanna di due anni. La mamma si disperava, perché Armando e il figlio più grande, Eugenio, andati incontro agli americani, non si erano più fatti vedere, né sentire.
Venivano dati per morti, a causa delle mine. Per saperne di più, Anna, Iole, Sergio e Luciano camminarono per ore, in mezzo a centinaia di soldati, centinaia di jeep, centinaia di altre cose, senza che qualcuno gli prestasse attenzione. Quando arrivarono davanti alla loro casa - nello slargo che è insieme la via per San Giacomo e lo stradone del cimitero americano - era sera. Videro le finestre illuminate, e subito sperarono d'aver ritrovato il padre e il fratello. Ad aprirgli la porta, venne invece un sergente americano. Rimasero a bocca aperta, imbambolati. Che ci faceva lì? Che era successo? Come spiegargli che quella cucina, quel breve corridoio, e il bagno e le camerette da letto, erano della loro famiglia?
Il sergente capì quello che doveva fare subito e, presi per mano i bambini, li accompagnò nella grotta più vicina, che era la cava dei Martini (dove seppero da altri nettunesi che Eugenio e il padre si erano messi a lavorare con gli americani e stavano bene). Non riuscirono però a dormire, perché il cannone tuonò per tutta la notte, e bisognava tapparsi le orecchie per le esplosioni e lo spostamento d'aria. La voce dei tedeschi era tornata a farsi sentire.
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