Hitler |
Avevamo lasciato il feldmaresciallo Kesselring al centro dell'area di rigore, sul punto d'andare in gol. Accanto a lui, von Mackensen. Ma i fili dell'intera operazione, li tirava Hitler dalla dimora prediletta di Berchtesgaden, nell'alta Baviera. Osannato dalla propaganda come "il più grande Napoleone di tutti i tempi", non lasciò in pace nessuno dei suoi generali. Ne sapeva qualcosa Erwin Rommel, la wiistenfuchs, la volpe del deserto, il brillante comandante dell'Afrika Korps, caduto in disgrazia per aver proposto nel novembre del '43 una ritirata strategica a nord di Roma, dopo quella di El Alamein. "Sono stufo dei generali che indietreggiano", lo apostrofò Hitler, decidendo all'istante di passare a Kesselring il comando delle armate in Italia.
Il caporale non si peritò d'impartire le sue lezioni anche ai nocchieri. Dopo l'affondamento della Bismark, il grandammiraglio Erich Raeder, capo della marina prima di Karl Donitz, si sentì con le mani legate da disposizioni che sottoponevano all'autorizzazione di Hitler qualsiasi spostamento delle grosse unità in Atlantico. Nessuna meraviglia che a Nettuno-Anzio fosse sempre lui a ringhiare ordini. Oltre a stabilire che il privilegio di assestare il primo pugno toccasse al reggimento di fanteria Lehr, un reggimento di nazisti scelti, mandato apposta dalla Germania, modificò il piano di Kesselring e von Mackensen, che avrebbero voluto muoversi in profondità e nello stesso tempo allargarsi, contro la concentrazione dell'artiglieria e dei bombardamenti aerei alleati in un unico punto.
Hitler non lo permise: la XIV armata doveva affondare il colpo verso il mare, senza disperdersi su obiettivi laterali. La stessa fanteria Lehr - tutti giovani addestrati al grido di "heil Hitler", ignari però del terreno in cui stavano per inoltrarsi - impose a Kesselring un'altra inversione di marcia. Era solito agire con il buio della notte e il tempaccio, che gli assicuravano l'assenza dell'aviazione americana. La maggior offensiva tedesca, invece, si mise in moto all'alba, affinchè gli ultimi arrivati vedessero dove mettevano i piedi.
Il generale Harmon |
Non bastò a salvarli. Vi fu un po' di buriana sul fronte di Cisterna, che era un diversivo. I giovani nazisti, rannicchiati alle spalle dei panzer, si mossero alle 6,30 a est di Aprilia e avanzarono fin quando non si scoprirono ai cannoni che, a mezzogiorno, li dispersero. Kesselring giudicò ignominioso il loro comportamento, e attese la notte per tornare alla carica con gli uomini adatti. Da un punto della Nettunense, profondo fino a lambire il cavalcavia di Campo di Carne e largo fino alla torre di Padiglione, venne travolta la difesa alleata e si aprì il cuneo cui ha fatto riferimento Churchill. La mattina del 17, mentre Truscott, nominato vice comandante, stava facendo le consegne della III divisione a O' Daniel e Darby, e nella grotta di via Romana si chiedeva con impazienza di lui, il generale Keiser, capo di stato maggiore, commentò: "È bene che si sbrighi, perché non so se domani ci sarà ancora il quartier generale".
All'indomani si presentò Clark a bordo del suo aereo, un "Cucciolo", scortato da spitfire. La pista del poligono, appena rimessa in sesto dai nettunesi che lavoravano per il genio americano, era stata bombardata, e Clark dovè atterrare su una strada adiacente. "Che cosa proponete - chiese a Lucas e Truscott - per fermare i tedeschi?". Rispose Truscott: "Dobbiamo contrattaccare con ogni mezzo". Clark assicurò che l'intera aviazione del Mediterraneo sarebbe intervenuta - un'incursione dopo l'altra - a sospingere l'esercito.
Il contrattacco che evitò una seconda Dunkerque, effettuato a nord del cavalcavia di Campo di Carne da una colonna del generale Gerald W.R. Templer, comandante della 56a divisione di fanteria, e dai mezzi corazzati del generale Harmon ai margini del bosco di Padiglione, oltre Campoverde, raggiunse qui il suo scopo. I tedeschi persero la battaglia su un tracciato, quello destinato alla Pontina, che gli alleati avevano segnato sulle loro mappe con la denominazione di pista di bowling. Il 19 febbraio, su questo terreno spianato, adatto appunto al gioco delle bocce, i carri armati americani fecero fuoco ininterrottamente dalle 6 del mattino alle 4,20 del pomeriggio.
A quel fuoco assistè un ragazzo calabrese, Ernesto Astorino, figlio dell'esattore delle tasse di Nettuno. Studente di liceo, prossimo all'esame di maturità classica, aveva smesso l'8 settembre di pendolare tra Nettuno e Roma, dove frequentava il Giosue Carducci. La sua famiglia era sfollata nel casale di Paolo Bragalone, il fattore d'una delle più estese tenute di Campo di Bove: una ventina d'ettari, al confine con la Campana. Ernesto fu tra i primi a farsi assumere dagli americani, che lo aggregarono a una compagnia di genieri, la 36a. Per poche am-lire, ma tante scatolette contro la fame, il suo lavoro consisteva nella raccolta dei calcinacci, della montagna di detriti dalle case crollate, che con l'aiuto dei bulldozer venivano utilizzati nella campagna, specie sulle distese acquitrinose, per il passaggio dei carri; e inoltre, non si finiva mai di scavare le trincee.
Da una di queste, a non più di cinquecento metri, Ernesto vide all'opera gli sherman: "Prima di poter avanzare, almeno un centinaio di essi si era interrato a semicerchio, sparando un proiettile dopo l'altro contro la massa dei tedeschi. Per ore e ore, le bocche dei carri armati sprigionarono fiamme, finché non si cominciò a scorgere, attraverso il fumo, la figura confusa dei nemici che voltavano le spalle. Poi, le braccia levate, vennero avanti a gruppi, tra i panzer che bruciavano. Di fianco, sulla strada di Carroceto, passarono altri sherman. Il sole stava tramontando, e allora mi accorsi che dalle torrette d'un gran numero di carri armati pendevano le canne roventi dei cannoni, incurvate, quasi fuse dal calore dei colpi a ripetizione". |