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QUEI GIORNI
A NETTUNO

22 GENNAIO - 26 MAGGIO

di
FRANCESCO ROSSI
SILVANO CASALDI

Edizioni Abete

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03 - UN GIOCATORE D'AZZARDO



Winston Churchill

Di sicuro, si chiamava Winston Churchill l'uomo che più di ogni altro si adoperò per lo sbarco. Si può considerarlo il numero uno della squadra che salvò il mondo dal nazi-fascismo. I suoi connazionali, a cominciare dalla regina, hanno sempre ammesso di dovergli come minimo una colonna più alta di quella di Nelson in Trafalgar Square, anche se nelle elezioni del 1945, allorché in ogni casa d'Inghilterra si venerava la sua immagine di eroe nazionale, non esitarono a bocciarlo e preferirgli il laburista Attlee.
Dato anche il suo abito di conservatore, dev'essere stato giudicato, non solo in quella occasione, più adatto ai problemi della guerra che a quelli della pace e delle trasformazioni sociali. Fu tuttavia in grado, prima d'uscire dalla scena politica di prendersi la rivincita e tornare in possesso dell'appartamento di Downing Street, a riprova d'una personalità indomabile e fatta di tante cose, compresi la penna per i libri e i pennelli per i quadri.
Nel caso che ci riguarda, più che il temperamento da pugile, le intuizioni, l'abilità dello statista che sapeva sbrogliare ogni matassa, fece valere il bernoccolo dello stratega, quale in effetti era, con la tendenza a giocare d'azzardo. Non per niente, aveva studiato in un collegio militare, dove l'uso delle navi rappresentava la prima materia d'insegnamento. Si capisce la sua predilezione per gli sbarchi e, in genere, per ogni azione basata sull'audacia e l'imprevedibilità.
Né, passando alla pratica, lo scoraggiò il suo disastroso esordio di Gallipoli nella prima guerra mondiale. Accusato d'aver mandato allo sbaraglio la spedizione nei Dardanelli, si era dovuto dimettere nel 1915 da ministro dell'Ammiragliato, senza però arretrare d'un pollice dalle proprie convinzioni.
Con il sigaro in bocca, la sua risposta alle difficoltà, specie nelle situazioni più drammatiche, fu sempre quella delle due dita in alto, aperte a "V". Succeduto a Chamberlain nel maggio del 1940, assurse così a simbolo della riscossa, sprezzante delle minacce e delle proposte di Hitler, mentre si arrendeva la Francia e l'Inghilterra raccoglieva i superstiti di Dunkerque.
Questo giocatore d'azzardo, per di più esasperato dalla lenta avanzata delle armate alleate in Italia, costrette a segnare il passo dallo sbarramento degli Appennini e dalla solidità della linea Gustav, non poteva che eccitarsi all'idea del "lancio d'un gatto selvatico", come scrisse, alle spalle dei tedeschi. C'era già stato nel novembre del 1943 un piano di Eisenhower (allora comandante supremo nel Mediterraneo) e Alexander per lo sbarco d'una divisione a sud del Tevere, che avrebbe dovuto essere il pugno del ko, quando i tedeschi fossero stati messi alle corde da un massiccio attacco lungo i 130 km dell'intero fronte, dal Tirreno all'Adriatico.
Per lo sbarco, subordinato comunque all'esito dell'offensiva, bisognava soprattutto attendere che Clark si aprisse il varco a Cassino e arrivasse con la quinta armata a Frosinone. Il che non avvenne.
Nemmeno dalla parte dell'ottava armata, dove pure il generale Montgomery aveva il compito di convergere verso Roma, i tedeschi si fecero mettere alle corde, e quindi addio all'operazione Shingle. Con una comunicazione ufficiale del 20 dicembre, il progetto venne buttato nel cestino, anche perché Eisenhower, sul punto di cedere al generale Wilson il comando del Mediterraneo e trasferirsi in Inghilterra per l'operazione Overlord, ossia l'invasione della Normandia, aveva ormai ben altro in mente.




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