Il generale Penney |
Come nelle insanabili controversie di suocera e nuora, lo stesso Lucas avrebbe però difettato di spirito conciliativo. Glielo rimproverano gli inglesi, interessati a dimostrare di non averlo lapidato per partito preso o cattiveria. Il loro pollice verso, rivoltogli in primo luogo per la conduzione bellica, sarebbe stato provocato anche dalle sue asserzioni che, da come vengono riproposte, non erano fatte per ammansirli e andare d'amore e d'accordo. Lucas avrebbe preferito un'armata interamente yankee e non queN'"ermafrodito" (la sua espressione intesa a dare rilievo al fifty-fifty del corpo di sbarco, naturalmente, e non a dividerlo in maschi e femmine) che gli procurava continue complicazioni; ma su questo non poteva che concordare Clark, tra i pasticci e i bisticci di Cassino: "Disponevo pure di truppe inglesi, francesi, neozelandesi, indiane, e io capivo Napoleone: il quale disse che è meglio combattere contro alleanze che farne parte".
Con maggiore attenzione, dev'essere esaminato l'episodio in cui Lucas avrebbe avventatamente urtato la suscettibilità di Penney. Vi si diffonde Trevelyan, menzionando un euforico bollettino dei tedeschi che il 7-8 febbraio, all'avvio del loro contrattacco in direzione di Aprilia, si vantarono d'aver fatto di colpo ottocento prigionieri: guardie scozzesi, irlandesi e parte d'un battaglione della contea di Stafford. Una batosta che fece scrivere a Lucas: "Vorrei avere al posto degli inglesi una divisione americana. Non riesco purtroppo a capirli, e forse è colpa mia. Penso che subiscano troppe perdite. Sono certamente coraggiosi, ma i nostri, secondo me, sono meglio addestrati e anche i nostri ufficiali hanno una migliore istruzione militare". "Sfortunatamente - conclude Trevelyan - non teneva per sé tali opinioni, e non può sorprendere che il generale Penney si mostrasse alquanto irritato".
Disposte così le cose, una nota di biasimo a Lucas non gliela leva nessuno. Un buon trainer sa che, se manca la solidarietà nel team, se non viene incoraggiato il giocatore meno dotato, se non ci si aiuta a vicenda, si lavora per la sconfitta e non per la vittoria. Ma, le sue critiche, Lucas le mise per iscritto giorno per giorno, durante il mese trascorso a Nettuno, riponendole in quell'intima cassaforte che è ogni diario di carattere autobiografico. Da questo diario, depositato, nell'archivio militare della Pennsylvania, Trevelyan ha potuto trarre tutto ciò che passò per la mente e il cuore del comandante americano. Come fa a dire che passò pure di bocca in bocca? Con chi si sarebbe confidato Lucas? Chi il pettegolo che avrebbe messo sull'avviso Penney?
In un'opera così documentata come quella dello scrittore inglese, arricchita da interviste di prima mano, non sarebbe stata fuori posto un'affermazione altrettanto documentata anche su un argomento apparentemente secondario: tanto più che proprio Penney, il diretto interessato, non certo disposto a tacere i difetti di Lucas, questo della mancanza di riserbo, della mancanza di discrezione, della mancanza di tatto, non glielo ha mai contestato. Va detto che, con i tanti memorialisti che s'affaccendavano in rivelazioni e pubblicazioni, Penney (nato a Edimburgo nel 1896 e morto nel 1964) non ha voluto mischiarsi: si è rifiutato di dare alle stampe i propri appunti, cedendo soltanto alle insistenze di Vaughan-Thomas, che ha ottenuto di prenderne visione sul finire degli anni cinquanta.
A quell'epoca, il generale scozzese si era da poco ritirato nella sua residenza di campagna nel Berkshire. Dopo la resa della Germania, aveva dovuto imbarcarsi per la guerra contro il Giappone, al seguito di Louis Francis Mountbatten, lo zio materno di Filippo d'Edimburgo. Con Mountbatten - prima comandante delle forze britanniche nel sud-est asiatico, poi viceré delle Indie fino alla proclamazione dell'indipendenza nell'agosto del 1947 e, per pochi mesi, governatore a Delhi - Penney assunse l'incarico di capo del servizio d'informazione. Il suo campo di battaglia era ormai una scrivania. Nella testa di sbarco, il 18 febbraio, una scheggia l'aveva ferito al collo. Soffriva d'insufficienza renale, ed era stato operato. Concluse la sua milizia a Londra, in un ufficio dell'Ammiragliato, dove gradiva sempre più l'invito d'una passeggiata nel Mall.
Da noi è tornato nel 1952, dopo Alexander e la regina Elisabetta, per visitare il cimitero britannico alle Falasche. Più frequenti le visite della sua famiglia, che ha potuto perfino piantarsi con una specie di propaggine nel bel mezzo di Nettuno. La nipote Anne, infatti, figlia del suo fratello maggiore Josè, sposata all'ingegnere italiano Sidney Prina Ricotti, risiede stabilmente dal 1971 in un appartamento del palazzo baronale, tra piazza Colonna e il sagrato di San Giovanni. Delle due figlie del generale, Sarah e Mary, quest'ultima ha spesso approfittato dei viaggi a Roma del marito, funzionario della banca d'Inghilterra, per stare un po' con Anne e vedere i luoghi in cui suo padre aveva combattuto.
- Che cosa, dunque, diceva in famiglia il generale Penney dello sbarco e della sua polemica con Lucas?
"Devo premettere - risponde la nipote - che io e mio zio c'incontravamo di rado, giacché lui era quasi sempre in giro per il mondo anche in tempo di pace, per conto dell'esercito. Sono nata ad Alessandria d'Egitto, dove mio padre aveva un incarico del governo inglese presso le autorità del Cairo. Le scuole, le ho frequentate in Inghilterra; ma, con il matrimonio, ho finito con l'allontanarmi del tutto dalla casa dei nonni in Scozia".
- Qualcosa avrà saputo dalle sue cugine...
"Certo. Sono molto unita a loro. Mi reco ogni giorno a Roma per il mio lavoro al Cidim, un'organizzazione italiana per la musica, che esplica la sua funzione in seno all'Unesco. Appena rientro a Nettuno, una delle cose che faccio più volentieri è di telefonare a Mary e Sarah. Senz'altro Mary, che gli era più vicina, conosce tutto del papa: tutto quello, però, che ha potuto apprendere dai giornali e dai libri, perché suo padre non raccontava niente di sé, relativamente alle " questioni militari".
- E quando Lucas lo prese di mira col suo diario?
"Nemmeno mezza parola. Mio zio era riservatissimo. Dal posto di responsabilità che ha occupato, considerava ogni sua esperienza top-secret. Soltanto da pensionato, permise che venisse fuori qualcosa di personale sul suo conto. Mary sa quanto l'ha dovuto pregare Vaughan-Thomas: alla fine, il generale non ha saputo dire di no al corrispondente di guerra che gli era stato accanto nei momenti difficili".
Dagli appunti o dal diario inedito di Penney, qualcosa d'importante ha estrapolato Vaughan-Thomas e inserito nel proprio libro: il dispaccio con cui lo scozzese, mentre cresceva la pressione tedesca, fece presente a Lucas che le sue truppe non potevano più difendere Aprilia e Carroceto: "La I divisione ha bisogno di aiuto" e un brano della lettera che, dopo la perdita di Aprilia, ritenne di scrivere la sera del 10 febbraio, sempre al comandante del corpo d'armata, per esporgli in ogni particolare l'indebolimento della sua divisione: "È stata logorata da una difesa disperata e dal continuo contatto col nemico... Un periodo di riposo e l'opera di ricostituzione e riorganizzazione sono assolutamente indispensabili. Il processo di ripresa è stato iniziato, ma a mio parere una effettiva stabilizzazione può essere raggiunta soltanto mediante una forte controffensiva... Niente di quanto sopra va interpretato come critica o disfattismo...".
Il "processo di ripresa" si riferiva al fatto che Lucas aveva già mandato un reparto corazzato e un raggruppamento di artiglieria e fanteria della 45a divisione americana a soccorrere il settore in crisi. Era stato inoltre deciso di lanciare un contrattacco. Il capo di stato maggiore di Lucas aveva telefonato a Penney che la stessa 45a divisione avrebbe dovuto riconquistare Aprilia. Ma gli americani, scattati alle 6,30 dell"! 1 febbraio, si ritrovarono il mattino dopo al punto da dove erano partiti, anche perché il maltempo - raffiche di pioggia e vento per tre giorni di seguito - li aveva privati del sostegno dell'aviazione.
Per gli inglesi, la colpa era sempre di Lucas: "II contrattacco, di nuovo tardivo e condotto con forze insufficienti, non poteva che avere l'esito di tutti gli altri suoi attacchi. Sapeva che la tempesta scatenatasi sulle sue linee non aveva raggiunto la massima violenza e, con il ritornello: "II peggio deve ancora venire", continuò a tesaurizzare le riserve". Questa la diagnosi di Vaughan-Thomas. Il quale, visti i fascicoli della parte e della controparte, ebbe pure la visione di ciò che compromise la compattezza degli alleati: "Sarebbe vano fingere di credere che a questo punto della battaglia Penney avesse fiducia nel vigore del comando del corpo d'armata o che Lucas si sentisse sicuro della capacità inglese di resistere. Così, dietro le linee, infuriavano le discussioni...".
Il generale Mackensen |
Intanto i tedeschi, raccoltisi ad Aprilia e Carroceto come su un trampolino di lancio, potevano apprestarsi all'assalto ordinato da Hitler: "La testa di sbarco - si leggeva nel suo messaggio alle truppe - è un ascesso da incidere con urgenza". Per disposizione di Kesselring, il comando della . XIV armata aveva lasciato Verona per il sud, e quindi l'intera zona di Roma era stata affidata al generale Eberhard von Mackensen. Questi e Kesselring (che teneva sott'occhio l'intero fronte, levandosi in volo ogni mattina dal Soratte, dove il quartier generale tedesco si era dovuto trasferire da Frascati, devastata dal bombardamento aereo dell'8 settembre) avevano programmato per il 16 febbraio l'operazione Fischfang, che avrebbe dovuto gettare in pasto ai pesci gli anglo-americani. |