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QUEI GIORNI
A NETTUNO

22 GENNAIO - 26 MAGGIO

di
FRANCESCO ROSSI
SILVANO CASALDI

Edizioni Abete

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54 - INCETTA DI PORTE E FINESTRE



Ernie Pyle
corrispondente
di guerra

Non si deve dimenticare nulla. I libri degli storici sorvolano sul periodo - quasi tre mesi, dai primi di marzo al 22 maggio - in cui i due pugili di Nettuno-Anzio abbassarono un po' i guantoni, dopo le sventole e il corpo a corpo. Il pubblico del ring trova noioso il break. Ma quel periodo, liquidato in poche righe come il periodo della bonaccia, fu l'abbrutimento per chi c'era dentro. Il corrispondente di guerra Ernie Pyle - pseudonimo di Ernest Taylor, caduto poi nel Pacifico, durante un assalto di marines - ha scritto: "...II soldato che ho conosciuto in prima linea era un uomo che viveva come un animale... Viveva nella sporcizia, mangiava se e quando poteva, dormiva sulla nuda terra, senza un riparo sopra la testa... Chi ignorava tutto questo non aveva il diritto di mostrarsi impaziente per la lentezza della marcia sulla strada di Roma".
Lo stillicidio non risparmiò i 500-600 civili autorizzati a rimanere nella testa di sbarco. Quasi tutti lavoravano con gli americani (che, tra l'altro, due giorni dopo l'arrivo a Nettuno, avevano già dato il primo colpo di piccone per la monumentale opera che è il loro cimitero, nel terreno espropriato ai Brovelli, Pirri, Isgrò, Palladini, Pietroboni, risarciti a cose fatte dal governo italiano). Veniva impiegato negli scavi un gruppo di militari italiani, alloggiati alla chiusa di San Giacomo, oltre a un centinaio di prigionieri tedeschi. Dei nettunesi, anche quando si rese obbligatorio lo sgombero, fu sempre presente Antonio Combi, giardiniere del cimitero fino al giorno della pensione.
Gli americani avevano però sentore di alcuni clandestini, mescolatisi nelle fattorie ai pochi contadini che erano stati lasciati a governare il bestiame. Ne derivò un altro giro di vite della Military Police che, sollecitata a stroncare lo spionaggio, non stette a sottilizzare negli arresti. Vi fu più d'un abbaglio. A Ernesto Astorino, prelevato a Campo di Bove, misero al collo il cartello di prigioniero di guerra e lo chiusero in un recinto con i nazisti e i fascisti, dietro le mura di Santa Teresa: soltanto perché parlava il tedesco e possedeva una radio. Lo interrogò il capitano Charles Forte, e lui - da studente sveglio che conosceva pure l'inglese - non faticò a spiegarsi: "La radio, me la sono fatta con un pezzette di galena; ed è ricevente, non trasmittente".


Il cartellino dei prigionieri

Lo riaccompagnarono a casa, caricandolo di viveri. Come Ernesto, fu rapidamente rilasciato Mario Eufemi, arrestato il 7 maggio con Angelo Catanzani. Quali impiegati di Nettunia, erano accusati di appartenenza al fascismo. Alla perquisizione, saltò fuori qualcosa di compromettente dalle tasche di Angelo: una lettera, da lui indirizzata al cognato e alla sorella, sfollati al sud, per ragguagliarli delle cose di famiglia: "Gli americani hanno occupato la vigna, piazzando cannoni e armi dappertutto". Proprio quello che cercava la Military Police. Angelo, senza possibilità di difesa, dovette scontare un mese di prigionia a Napoli.
Anche le case di Nettuno, in quegli ultimi mesi, furono perquisite e interamente spogliate. La guerra di trincea divorò tutto. La richiesta di soccorsi per la popolazione che, il 18 novembre del '44, don Steno fece pervenire in Vaticano a Myron Taylor, ambasciatore di Roosevelt presso la Santa Sede, aveva questa pezza d'appoggio: "La necessità per ogni soldato che non poteva stare in paese di costruirsi un ricovero in aperta campagna, e ciò per centinaia di migliaia di combattenti che si sono accumulati e susseguiti sempre sullo stesso ristrettissimo territorio, ha fatto sì che questi si sono dovuti procurare il materiale per rendere più sicuro il loro ricovero ed hanno perciò asportato dalle abitazioni non occupate tutte le porte, persiane, finestre, sportelli di armadi, cancelli, reti di letti, legname e quanto altro potesse servirgli per coprire la loro buca, il cosiddetto fox-hole".
Il resto, fuori del paese, non era stato messo sottosopra solamente dalle esplosioni. Le vigne e i campi di grano trivellati, le macchie dischiuse ai carri armati, agli automezzi, ai depositi di munizioni e carburante, tra migliaia di buche che - come tempestivamente prospettava don Steno, invocando medicinali e anche macchine per spianare la terra - sarebbero divenute con le piogge altrettanti focolai di malaria ed epidemie. Da questa bolgia, Truscott aveva sperato di poter sortire alla svelta con una manovra denominata operazione Panther, programmata per il 19 marzo. Il via doveva venire da Cassino, dove però i tedeschi riemersero dalla voragine aperta da tonnellate di bombe e rimandarono indietro, insieme con gli inglesi, l'armata neozelandese del generale Freyberg e gli indiani.
Sfumò così l'operazione Panther che presupponeva lo sfondamento della linea Gustav. Churchill, che aveva già assaporato nella mente il ricongiungimento con l'isola di Truscott, non tacque la propria delusione ad Alexander: "Dovete spiegarmi come mai questa vallata presso la collina dell'abbazia di Montecassino, larga appena dai tre ai cinque chilometri, rappresenti l'unico fronte contro cui non fate che cozzare continuamente". Alexander replicò con una relazione che il premier giudicò esauriente, e concluse: "Dobbiamo prepararci ad attaccare su un fronte più largo e soprattutto aspettare che si sciolga la neve sui monti".




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