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QUEI GIORNI
A NETTUNO

22 GENNAIO - 26 MAGGIO

di
FRANCESCO ROSSI
SILVANO CASALDI

Edizioni Abete

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50 - L' INCHIESTA DI BERCHTESGADEN



Il generale
S. Westphal

Hitler - "la forza di volontà personificata", ha detto di lui Churchill in quella occasione - non si diede per vinto. Più che supporre, dava per scontato che, dissanguato, sfinito, il corpo di sbarco fosse sul punto di crollare, e ingiunse a Kesselring e von Mackensen di raccogliere le forze e spostare l'attacco contro il fianco americano, da Cisterna verso Nettuno. Kesselring sapeva d'aver speso tutto e che, più degli alleati, sanguinavano i tedeschi. Ma come dirlo al caporale che strepitava: "Attaccare, attaccare"?
Messo alla frusta, il comando della XIV armata non potè tuttavia fare a meno di alcuni giorni di preparazione, durante i quali si sforzò di dissimulare le proprie intenzioni. Di trucchi, su ogni fronte, se ne inventarono in continuazione. Alla conferenza di Teheran, Stalin si era compiaciuto di mostrare a Churchill come l'armata rossa avesse sempre ingannato i tedeschi nelle sue offensive, ammassando altrove carri armati e aeroplani di cartapesta. Gli americani, forti di un'industria che era all'avanguardia in tutto e quindi anche nella lavorazione della gomma e delle materie plastiche, escogitarono qualcosa che evocava uno dei più grandi incanti dei bambini: quello dei palloncini colorati che, legati a un filo, si portano dietro i primi sogni della vita, quando sfuggono alla presa infantile e spariscono in cielo. Tutt'altro che palloncini, gli involucri d'aria gonfiati fino ad avere la grossezza e le forme degli sherman, venivano deposti di notte alla larga dai depositi di munizioni, e spuntavano con la luce del giorno, come uno specchietto per le allodole dell'artiglieria tedesca.
Con altri mezzi, ossia il lavoro forzato di diverse falegnamerie romane, specie quella delle messinscene di Cinecittà, Kesselring compose dei mazzi di panzer e cannoni finti intorno a Genzano, Albano, Ardea, alludendo a un'altra carica alle posizioni britanniche. Ma Truscott ebbe da Tompkins l'avvertimento di ciò che il nemico aveva in mente, e non si fece spiazzare. L'ultimo tentativo tedesco prese le mosse da Cisterna il 29 febbraio, con il favore degli acquazzoni che davano lo stop agli aerei: non andò lontano e durò poco. Dopo aver compiuto qualche progresso a Carano, dove era stata sopraffatta una compagnia di paracadutisti del 509° battaglione, la wehrmacht dovette tornare sui propri passi.
"Il 1° marzo Kesselring si riconobbe sconfitto. Egli era riuscito a far fallire la spedizione di Anzio, non riuscì però a distruggere la testa di sbarco":
Lo scriveva Churchill, congratulandosi con Roosevelt per lo scampato pericolo e, in particolare, per l'eroismo della III divisione. Ne prese atto con sportività Kesselring: "Generalmente, le divisioni nemiche erano il doppio delle nostre; in questo attacco, invece, la superiorità era da parte tedesca. Pure con le manchevolezze riscontrate nella nostra azione e
il dominio aereo degli alleati, appoggiati da forze navali, devo dire che il VI corpo misto americano diede una prova magnifica, respingendoci".
Per Hitler, l'avvisaglia della casa che gli cadeva addosso. Reagì con la sua collera, convocando presso di lui una ventina di ufficiali e soldati del fronte italiano, perché lo aiutassero a scoprire chi era stato a far fallire l'operazione Fischfang.
I testimoni, trasportati il 4 marzo in aereo a Berchtesgaden, dovettero sottostare a due giorni d'interrogatorio. La risolutezza del generale Walther Fries placò Hitler: non c'era stato tradimento, non c'era stata negligenza, non c'era stato collasso morale, non c'era stata incapacità: c'era stata solamente la preponderanza dei cannoni, dei carri armati, delle navi e, soprattutto, degli aerei alleati (una sproporzione di 300 apparecchi contro 4000 a perfino 5000).
Il che collimava con quanto, per conto di Kesselring, era venuto a esporgli di persona il generale Westphal. Fu ricevuto per ultimo la sera del 6 marzo, e gli ci vollero tre ore per convincere Hitler della realtà che stava prendendo alla gola la Germania: "Sul punto di congedarmi, appariva commosso. Disse che si rendeva conto di quanto fosse grande la stanchezza del popolo tedesco e della wehrmacht e che avrebbe cercato una rapida soluzione. A tale scopo, aggiunse che gli occorreva una vittoria".
Una vittoria che fosse stata d'appoggio a una trattativa con gli alleati, nell'intento di eludere la resa incondizionata. Fu l'estrema illusione del fuhrer: che lo accompagnò nei sotterranei della Cancelleria di Berlino, dove - abbracciato a Èva Braun - affrontò con lei il suicidio il 30 aprile del '45, mentre all'esterno irrompevano i russi a due isolati di distanza: "Mia moglie ed io - ritenne di precisare nel testamento - preferiamo morire per sottrarci all'onta della disfatta".




OPERA APPARTENENTE AL FONDO BIBLIOGRAFICO
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