Il generale Henry
M. Wilson |
Contro questo tipo d'incidenti, non infrequenti nei campi di battaglia, le precauzioni non erano mai troppe. Se ne sarebbe accorto di persona lo stesso Clark che, durante una delle sue escursioni dalla foce del Volturno alla zona dello sbarco, il 28 gennaio, passò un brutto quarto d'ora. Il cacciasommergibili su cui viaggiava, il PT 201, scambiato per un mezzo tedesco, non ebbe il tempo di farsi riconoscere. Lo colpirono i proiettili del dragamine americano AM 120, e vi furono morti e feriti. Il comandante della quinta armata, sbalzato dal suo sedile, se la cavò senza neanche un graffio.
Non poteva che uscir male, invece, dalla polemica sui para. Lasciamo perdere il processo del lunedì. Sapere se il 504° reggimento fosse o no da paracadutare - ammesso che sussistano ancora dei dubbi - interessa fino a un certo punto. Il fatto grave, imperdonabile, è che, cambiato in extremis il programma (o non cambiato affatto, perché nemmeno sarebbe stata presa in considerazione l'eventualità del lancio), nessuno si sia sentito in dovere di metterne al corrente Churchill. Il quale, assai turbato, secondo le sue parole, ha dovuto telegrafare il 6 febbraio al generale Wilson per avere spiegazioni: "Perché il 504° reggimento di paracadutisti non fu impiegato ad Anzio, così come era stato previsto?".
A questo punto, anche il comportamento di Churchill non aiuta però a far luce sul caso, e sembra anzi che sia lui a tener in vita gli interrogativi, sempre più inquietanti, come nell'introduzione d'un film-dossier. La risposta di Wilson non poteva farsi attendere. Uno se la immagina precisa, dettagliata, esauriente. Invece, si condensò in due righe per il capo: "II 504° è stato trasportato via mare, e non a mezzo di apparecchi, perché così ha deciso all'ultimo minuto il generale Clark".
Questo, e niente altro, nei libri di Churchill. Ha incassato, e basta. Che si facesse così bruscamente liquidare, dopo essersi alzato per un'interrogazione che non era un quiz, non potevamo proprio aspettarcelo da lui. Di sicuro, non ha voluto scoperchiare la pentola. A che scopo? Quello di non infierire su Clark, rimettendo le conclusioni e ogni giudizio ai lettori? Oppure quello di chiudere non uno, ma tutti e due gli occhi sulla negligenza di Alexander che, gomito a gomito con Clark, non avrebbe dovuto ignorarne le intenzioni, oltre a esigere che gli venisse esposto ogni particolare del piano di sbarco? Ma pure il baronetto, come il premier, era soltanto disinformato?
Eppoi un'altra domanda: perché Churchill, non più all'oscuro dei paracadutisti rimasti a dondolare sulle navi, dalle quali scesero a mezzogiorno del 22 gennaio, se ne è stato zitto per quindici giorni e, soltanto dopo che le cose si erano messe per traverso, non ha più esitato a protestare? Forse non era tanto sicuro di sé, e può aver riflettuto così: "Chissà che non abbiano ragione gli americani ad andarci coi piedi di piombo. Restiamo alla finestra e vediamo cosa succede".
Successe il finimondo. Sul tavolo di Churchill, poche ore dopo la perduta battaglia di Cisterna e Campoleone, un dispaccio del generale Wilson era stato posato come il quadro d'un nero today e d'un più nero tomorrow: "La testa di ponte è circondata e le nostre forze che si trovano all'interno di essa non sono più in grado di avanzare". Fu subito chiaro a Londra e Washington che Lucas e i suoi uomini erano finiti nelle sabbie mobili, e rischiavano di esserne inghiottiti. Churchill, fattosi inquisitore, non si limitò ai para. Pretese l'inventario delle merci e il conto di tutto: quanti camion, quante camionette, quanti autisti, quanti meccanici, quanti inservienti gremivano Nettuno-Anzio, senza utilità per la prima linea?
Ne scaturì un rapporto che era un tarlo nelle orecchie di Marshall e dei suoi collaboratori, indotti
- un po' come è avvenuto ai tifosi del Napoli per lo scudetto tenuto in pugno per tanto tempo e all'ultimo consegnato al Milan
- a sospettare qualcosa d'illecito ai danni della loro squadra. L'inchiesta dei capi di stato maggiore americani venne accolta da Churchill con un assenso da pubblico ministero: "Non ne sono affatto sorpreso". Perfino Lucas, che non era fazioso, si schierò con lui in quel frangente. Come strategia, visto soprattutto l'esito della sua tardiva sortita, non poteva che condividere il rammarico del premier per il mancato impiego del 504° reggimento. Più precisamente, "ammise che la presenza di questi paracadutisti a mezza strada tra la testa di sbarco e Campoleone sarebbe probabilmente stata per lui un incentivo a stabilire il contatto con tale forza il primo giorno".6 Come si concluse l'inchiesta degli americani? Di nuovo il silenzio, da parte di Churchill. È strano. Nessun dubbio, tuttavia, che gli si dovessero delle scuse, e può darsi che qualcuno si sia premurato di fargliele, almeno verbalmente. La correttezza prima di tutto, specie se si fa parte d'una équipe. Nella cesta - dicono a Nettuno i contadini, collocandovi le mele - bisogna saperci stare.
È il caso di ridare una sbirciatina alla casa in cui abitò il generale Lucas a Nettuno. Ne avete l'indirizzo. Una costruzione a un piano, oltre al pianterreno, con davanti un giardinetto e due palme. Apparteneva a Domenico Combi. Sua figlia Laura l'arredò nel dopoguerra per un alberghetto, segnalato da una scritta al neon - pensione villa delle palme - che sovrastava ad arco il cancello d'ingresso. Doveva in effetti possedere i requisiti del buon ostello, compresa la cantina per ripararsi dai bombardamenti, se era stata prescelta pure dal luogotenente Querbach, comandante del presidio tedesco (di lui, obbligato a traslocare senza preavviso, rimasero sulla tavola imbandita gli avanzi dell'ultima cena nettunese: un pezzo di salsiccia e un bicchiere di vino bianco, appena sorseggiato). |