Ha poi parlato di Mario Trippa, un altro di quelli che istruirono i ragazzi; di Angelo Simone, così attento alla mitragliatrice da non staccare mai le dita dal caricatore, nel timore che s'inceppasse di nuovo; del giovanissimo Simeoni che, piazzatesi con un mitragliatore sul terrazzo della caserma dei carabinieri in via S. Maria, fece capovolgere una motocarrozzetta con due tedeschi. "Non cercate - si è raccomandato - di farci passare per eroi. Non abbiamo fatto niente di straordinario. Prima ancora che ci dicessero che stava venendo avanti da Anzio Colonia una colonna corazzata, sapevamo della nostra impotenza. Per un attimo, ci siamo tuttavia sentiti un esercito vero, per merito di Angelo Lauri".
Carro armato M13 |
Era lui il sottotenente dei carristi. Di questi tempi, lo si può incontrare al porto, dove ha un ufficio che s'interessa di nautica. Non ha mai smesso di lavorare, passando dall'azienda agricola dell'Acciarella alle imprese edilizie e quindi alle barche. Per tre volte di seguito, nelle elezioni amministrative del 1960, del 1965 e del 1970, i nettunesi lo premiarono con i voti. Nel primo quinquennio, fu assessore allo sport e ai lavori pubblici, e ci mise più dello zampino nella realizzazione dello stadio comunale che, con i campi di calcio, baseball e tennis, la pista di pattinaggio e atletica leggera, gli spogliatoi, le tribune e la casa del guardiano, costò in tutto 64 milioni.
Angelo era stato promosso sottotenente a Bologna, presso il III reggimento corazzato, dopo aver superato il corso per sottufficiali e quello per ufficiali. Come decimo del corso, aveva diritto a scegliersi la destinazione, che fu Roma. Arrivò così, nei mesi che precedettero l'armistizio, alla caserma del IV reggimento di via Tiburtina. Con un'ora di treno poteva raggiungere Nettuno. Per prendere posto in piazza Mazzini dalla sua casa (dove, la sera dell'8 settembre, gli era parso d'essere un disertore), bastò che scendesse le scale.
La sua idea, naturalmente, non poteva che essere quella dei carri armati. Oltre a rifiutarsi di consegnare la pistola ai tedeschi, ebbe la fierezza di non togliersi la divisa, che era quella estiva, con i calzoncini corti e i calzettoni. Questo, più che i gradi, lo mise alla testa dei paesani. "Alla caserma Donati - ha dichiarato - era stato compiuto il primo passo. Presi allora con me un gruppetto di amici, e andammo al poligono, dove c'erano i carri. Li rendemmo inutilizzabili, asportando l'otturatore dai cannoni e la pompa d'iniezione dai motori. I tedeschi non poterono mai servirsene. Uno, però, lo lasciammo intatto per noi. Era un M13, cioè un carro medio da 13 tonnellate. Mi misi al posto di guida, mentre altri due o tre si occupavano del cannone e della mitragliatrice. Tornammo così in piazza, e il rumore dei cingoli ci riempì d'entusiasmo".
|