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QUEI GIORNI
A NETTUNO

22 GENNAIO - 26 MAGGIO

di
FRANCESCO ROSSI
SILVANO CASALDI

Edizioni Abete

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56 - IL RICONGIUNGIMENTO



Ricongiungimento della
testa di sbarco con la
V armata

Cisterna non cadde subito. Resisteva ancora il 24, ma la fanteria di O'Daniel potè oltrepassarla e prendere la salita di Cori. Adesso Truscott non aveva più dubbi: stava sbaragliando la squadra che per quattro mesi lo aveva insaccato. Quella sera, ricevette il secondo avvertimento di Clark: "Hai pensato all'eventualità di una deviazione da Valmontone?". "Certo: se il nemico s'accorge del pericolo che corre qui, e vi dirotta le sue forze, noi sterziamo per i colli Albani". "Bene: non lasciamo cadere questa possibilità".
All'indomani, Truscott si convinse presto che fosse invece da scartare. Ciò che restava di Cisterna, la diroccatissima Cisterna, finalmente sgombra, era un filo di fumo prolungato e lento come il respiro d'un resuscitato; e intanto la brigata di Frederick viaggiava oltre Cori, dopo aver scalato l'Arrestino, e tanto correva verso Rocca Massima e Arteria da perdere i collegamenti con la III divisione ed esporsi ai colpi di fianco dei tedeschi; e avveniva pure, di buon mattino, lo storico abbraccio di Borgo Grappa, dove una pattuglia di genieri americani ed esploratori inglesi, spintisi in ricognizione da Borgo Sabotino a Fogliano, s'incontrò con una pattuglia del II corpo d'armata americano che, conquistate Fondi e Terracina, si stava mettendo alle spalle il Circeo. Il capitano Ben Souza di Honolulu e il tenente Francis Buckley di Filadelfia, quando arrivò sul posto Clark con i giornalisti, dovettero ripetere per i fotografi la scena del ricongiungimento.
Ma, la prova che l'operazione Bufalo stesse per intrappolare i tedeschi, Truscott l'ebbe col successo dei carri armati. Parte di quelli di Harmon stentava a varcare la soglia di Velletri. Un'altra colonna corazzata, al comando del colonnello Hamilton Howze, aveva però trovato nella valle a est della città un'apertura che portava a Valmontone. Quell'apertura non fu sfruttata per colpa di Clark. Nel tardo pomeriggio, il generale Donald W. Brann, uno dei portaordini del comandante della quinta armata, aspettava Truscott fuori del comando: "II capo dice che devi dirigere l'attacco a nord-ovest e mandare a Valmontone soltanto la III divisione con gli uomini di Frederick. Te l'aveva già accennato ieri...".
Truscott ammutolì. Si fece ripetere l'ordine. "Non posso crederci - protestò - e prima di mandare a monte tutto, voglio sentirlo. Non era questo il mio accordo con Clark. Abbiamo parlato d'una ipotesi che non s'è verificata. Possiamo invece distruggere sulla Casilina l'armata tedesca in ritirata".
Clark fu introvabile. Chissà dove s'era ficcato. Truscott non potè discutere con lui e dovette ubbidire. A Valmontone, rimase aperta ai tedeschi l'uscita di sicurezza. La via di Roma - più corta sulla mappa, seguendo l'Appia - si rivelò all'atto pratico più lunga agli americani. La mattina del 26 maggio, mentre Truscott tornava a volgersi a Campoleone e Lanuvio con i mezzi corazzati di Harmon, la 45a, la 34a e la 36a divisione (la ricostituita texana che, ultima arrivata a Nettuno, al comando del generale Fred Walker, si sarebbe riscattata quattro giorni dopo della débàcle sul fiume Rapido, scoperendo il buco per salire in cima all'Artemisio e prendere alle spalle i tedeschi asserragliatisi a Velletri), il corrispondente della BBC Vaughan-Thomas trasmise la sua ultima notizia da Nettuno-Anzio: "La testa di sbarco ha cessato di esistere".
Alexander venne messo di fronte al fatto compiuto. Pure con lui, Clark non si fece vivo. Glielo fece dire dal generale Alfred Gruenther, suo capo di stato maggiore: "Riteniamo che, dalla parte di Anzio, i tedeschi non si reggano più in piedi, e quindi Clark ha pensato di caricarli qui". La reazione di Alexander fu un sorriso. Alcuni anni più tardi, mostrava diversamente i denti: "Se Clark avesse attuato il mio piano, Valmontone sarebbe stata la catastrofe dei tedeschi. Suppongo che il carico di pubblicità che la conquista di Roma prometteva, l'abbia indotto a modificare la direttrice della sua avanzata".


Il generale Clark

Da quella pubblicità fu anche lui solleticato. Quando si trovò di fronte a Clark, il 2 giugno, volarono parole grosse proprio per la Città Eterna. Il generale americano, in una intervista rilasciata a Sidney T. Mathews nel 1948, ha condito l'episodio di sconcertanti particolari, confessando d'essersi comportato da cow-boy con Alexander che voleva immettere l'ottava armata nella marcia su Roma: "Gli dissi che non avrei obbedito a un ordine del genere e che, se l'ottava armata si fosse avvicinata, le avrei fatto sparare addosso dai miei uomini".
Dopo la sterzata di Valmontone, passarono dieci giorni prima dell'ingresso a Roma degli americani. Negli archivi di Washington, è conservata una deposizione giurata del generale Frederick: "All'alba del 4 giugno 1944, alle ore 6,20, l'avanguardia delle truppe d'assalto, formata da elementi della prima unità di servizio speciale e da elementi della divisione corazzata, varcò i limiti della città di Roma e vi entrò". Per Churchill, il traguardo che contava era un altro: "Alle 19,15 del 4 giugno, l'avanguardia dell'88a divisione americana entrava in piazza Venezia, cuore della capitale".
Alexander avrebbe voluto non solo evitare un bollettino straordinario per Roma, ma buttarne con noncuranza il nome tra quelli delle "località abitate" conquistate giorno per giorno. Churchill gli fece capire che si sarebbe coperto di ridicolo: "La conquista di Roma è un avvenimento d'importanza mondiale e non dovrebbe essere minimizzato". Soprattutto quando c'era da far buon viso a cattivo gioco, la classe del premier usciva fuori. Clark sostava con la sua camionetta in piazza S. Pietro, e lui telegrafava ad Alexander: "Mi congratulo con voi e vi prego di elogiare a nome nostro i comandanti e le truppe di Stati Uniti, Gran Bretagna, Canada, Nuova Zelanda, Sud Africa, India, Francia, Polonia e Italia che si sono distinti su tutto il fronte".
Per noi, fin allora bocciati da tutti, era la prima pagella con un sei in democrazia. Il sacrificio di Anzio-Nettuno-Cisterna- Campo di Carne- Aprilia-Campoleone-Latina non era stato vano. Ma era proprio indispensabile lo sbarco? Fosse scattata la tagliola di Valmontone (un'altra occasione da gol sciupata), non saremmo stati fin qui a discuterne. L'incolumità di Roma, della quale si è dato merito a Hitler (il 2 giugno, a Kesselring che chiedeva di evacuarla senza resistere, rispose: "D'accordo: è un centro di cultura che la guerra deve rispettare"), non sarebbe stata forse immediatamente accordata, senza la pressione del VI corpo d'armata.


Il trionfo di
Chuchill

Inoltre, non è insignificante il bilancio con cui si consolò Churchill. Il 5 giugno - con l'intestazione: II Primo Ministro al Primo Ministro Stalin - Londra trasmetteva a Mosca un lunghissimo messaggio che può essere sintetizzato: "Sebbene lo sbarco ad Anzio e Nettuno non abbia dato immediatamente i frutti sperati allorché l'operazione venne progettata, è stato tuttavia una mossa strategica corretta, che alla fine ha avuto il suo tornaconto. Anzitutto, esso è servito a tirar via dieci divisioni tedesche dai seguenti settori: una dalla Francia, una dall'Ungheria, quattro dalla Jugoslavia, una dalla Danimarca e tre dall'Italia settentrionale".
Con questa premessa, appena ventiquattr'ore più tardi, lo sbarco in Normandia. Non per niente, tra le parole convenzionalmente usate per custodire la segretezza della colossale operazione, figurava anche il nome di Nettuno: che - soppresso con il decreto n. 1958 del 27 novembre 1939, firmato da Vittorio Emanuele III, che aveva sanzionato la fusione di Nettuno e Anzio in Nettunia - stava per riprendere vita con la firma di suo figlio Umberto, nominato luogotenente del regno proprio il 5 giugno. Assieme a lui, quasi un anno dopo, il 3 maggio del '45, poco più d'un mese prima del referendum che proclamò la repubblica, il capo del governo Bonomi e il guardasigilli Tupini siglarono l'atto n. 265 con cui Anzio è tornato a essere Anzio, e Nettuno Nettuno.
Ma, più che riaffermare la propria identità, si trattava di riacquistare la proprietà dell'eden perduto. All'annuncio della liberazione di Roma, cominciò con ogni mezzo la corsa del ritorno a casa. Da Napoli, da Salerno, dall'lrpinia, dalla Calabria, dalla Sicilia - senza più le navi alleate a disposizione - parecchi nettunesi si misero in viaggio a piedi, confidando in un mezzo di fortuna che non sempre arrivò. Eugenio Ottaviani, trascinatosi così da Cicciano, vicino Noia, rimase quattro giorni a letto per le vesciche.
Il 9 settembre tornò pure la Madonna delle Grazie. Andarono a prenderla a Roma con un camioncino infiorato don Nicola, don Vincenzo e i passionisti Mauro, Tito, Pietro, Gerardo. La popolazione di Nettuno-Anzio, unita, aspettava davanti a Santa Teresa. La Madonna arrivò alle 15. Se la caricarono sulle spalle gli anziati fino al confine con Nettuno, in fondo a viale Mencacci, e poi fu il turno dei nettunesi che, sempre in processione, la riportarono nella dimora di San Rocco.
Della sua presenza c'era più che mai bisogno. Dopo cinque mesi d'occupazione tedesca e quattro di guerra in casa, si ricominciava da zero.




OPERA APPARTENENTE AL FONDO BIBLIOGRAFICO
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