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QUEI GIORNI
A NETTUNO

22 GENNAIO - 26 MAGGIO

di
FRANCESCO ROSSI
SILVANO CASALDI

Edizioni Abete

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51 - LA GUERRA DI TONY



I paracadutisti
del 504° reggimento

Non c'è che la bicicletta, al mattino, per sorseggiare la frescura, la quiete, il giallo delle mimose a primavera, l'ombra estiva dei filar! di pini, acacie ed eucalipti, nel giardino che si estende da Nettuno a Latina, e da Latina a Cisterna, e da Cisterna ancora a Nettuno, in un cerchio che una volta era l'anticamera della morte inoculata nel sangue dalla puntura delle zanzare. Da Nettuno - dove si paga ancora la tassa della bonifica delle paludi pontine, malgrado le istanze dei contribuenti che la reputano un'imposta anacronistica - si può proporre con qualche giravolta il seguente percorso ai pedalatori che non hanno fretta: Acciarella-Borgo Bainsizza-Borgo S. Maria-Borgo Sabotino-Foce Verde-Borgo Isonzo-Borgo Piave-Borgo Podgora-Borgo Montello- Le Ferriere-Tré Cancelli-Nettuno.
Non è un giro lungo; ma ogni tanto bisogna frenare, guardarsi attorno e ascoltare l'unico nettunese, Antonio Taureli, che ha diritto a indossare l'uniforme dell'US Army e fare da cicerone lungo i canali che dall'anticamera introdussero nella stanza della morte, quando la guerra si sostituì alla malaria.
Antonio, ribattezzato Tony dagli americani, è un pezzo d'uomo, oltre cento chili, che conosce palmo a palmo il terreno, ogni ciuffo d'erba, anche perché dal 1961 il suo posto di lavoro - guardiano dell'università agraria - sono la macchia e il bosco di Tre Cancelli e Foglino, ahimè non protetti abbastanza dallo sciame dei raccoglitori di funghi che l'invadono con l'affacciarsi dell'autunno.
All'aria aperta, Tony c'era pure la mattina dello sbarco. Aveva diciotto anni e già alcuni mesi d'esperienza militare, essendo riuscito ad arruolarsi in marina come volontario, matricola numero 80018. Da Fola, nel caos dell'8 settembre, il suo rientro fu un'odissea: dalla quale era passato in una baracca di legno, nella vigna della sua famiglia alla Seccia, dove vivevano ammucchiati lui, la madre Tommasina, le sorelle Egle e Marisa e la zia Angelina con cinque figli.
Incontrò gli americani alla vaccheria di Martufi, mentre faceva giorno. Era andato a prendere il latte, loro si riscaldavano il caffè. Che sollievo, sentendoli parlare in italiano, un misto d'abruzzese e napoletano! Ma la voce che, diverse ore più tardi, ebbe per lui l'effetto dell'invito a entrare nell'esercito statunitense, apparteneva a un ufficiale d'origine spagnola: il tenente Stanley R. Navas, che marciava alla testa d'una compagnia di paracadutisti del 504° reggimento, proprio quelli che Churchill avrebbe voluto lanciare dietro le linee tedesche.
Si erano dovuti invece introdurre a piedi, lentamente, arrancando dalla spiaggia del poligono, dopo mezzogiorno. Sullo stradone dei Frati - sterrato e largo, solcava già a quel tempo la campagna fino alla via di Velletri - Navas vide Tony. Gli chiese: "Dove sono i tedeschi?". Tony, seguito dal cugino Rolando, si avvicinò al tenente: "Laggiù, alle Ferriere", e gli andò appresso.
L'itinerario dei paracadutisti era un altro. Sulle loro carte, una freccia conduceva a un ponte, contrassegnato col numero 2, sul canale Moscarello. Il ragazzo si offerse come guida: "Portatemi con voi". Navas lo squadrò da capo a piedi: "Okay"; scosse invece la testa per il cugino: "Lui è troppo piccolo. Mandalo a casa".
"Da allora ali "11 aprile, quando il 504 s'imbarcò a Napoli per l'Inghilterra - racconta Tony - sono stato uno di quei paracadutisti, e la guerra per difendere Nettuno dal ritorno dei tedeschi, me la sono cibata tutta".
- Armato e in divisa, come loro?
"Passammo la notte nella macchia di Sant'Antonio, alla sinistra del casaletto nuovo, sulla strada di Gnif Gnaf. Al mattino, consegnandomi al caporale Branchi, il tenente Navas comunicò quello che era stato deciso per me: ammesso alla quarta squadra, secondo plotone, compagnia F, secondo battaglione, 504° reggimento. Ebbi la divisa, un fucile e l'incarico d'infilare il nastro dei proiettili nella mitragliatrice".
- Dove sparaste?
"La nostra guerra con i tedeschi cominciò e finì attorno a Borgo Podgora, tra i canali Moscarello e Pantano, nel marciume dei fossi limacciosi e neri, come quello di ponte Smerdino. Pancia a terra, incollati agli argini, spesso messi in mezzo dal fuoco nemico e dai tiri dell'artiglieria alleata, non abbiamo visto che morti e feriti".
- E quando i tedeschi provarono a sfondare dalla vostra parte?
"Ogni momento era per noi un momento brutto, con il nemico a 300-400 metri, al di là dei canali. Una sera, prima dell'ultima offensiva di Kesselring, lo stesso tenente Navas guadò il Moscarello con una trentina d'uomini. In cima all'argine, furono rigettati giù dalle mine. Accorremmo a tirarli fuori. Navas aveva il braccio sinistro tranciato e il viso sfigurato dalle schegge. Lo sostituì il tenente Richard W. Swenson. Dell'assalto dei tedeschi, la notte in cui non smettemmo mai di sparare, piena di lampi accecanti, ricordo la desolazione che mi apparve con la prima luce del giorno, quando gli occhi mi si chiudevano. Il bosco, che aveva fatto da sipario tra noi e il nemico, non c era più: come mozziconi di sigarette, fumavano i resti dei tronchi". - Perché poi la stasi, fino a maggio?


Il sergente Williamson

"Il 504 fu ritirato il 23 marzo per l'Overlord e partii anch'io. In ultimo, sul canale Pantano, bisognava guardarsi dalle scorrerie dei tedeschi. Al buio, un agguato dopo l'altro, erano scene spaventose. Ci si uccideva in silenzio, il pugnale in bocca, la faccia tinta di nero. A turno i paracadutisti dovevano penetrare in una casa colonica nella terra di nessuno, restarci per ventiquattr'ore e segnalare con un telefono il passaggio notturno delle pattuglie tedesche. Questo servizio di guardia, indispensabile per non finire sgozzati, toccò a me tre volte".
- Come mai, a Napoli, è stato lasciato a terra?
"Il tenente Swenson e il sergente Mark C. Williamson non hanno saputo spiegarmelo. Come ogni paracadutista, mi riposavo alla caserma Costanze Ciano di Bagnoli. L'11 aprile, il giorno della partenza per Liverpool, salimmo sul treno diretto a Napoli, mentre il mio sacco con gli effetti personali, il fucile e l'elmetto, veniva caricato sui camion che trasportarono alla nave il bagaglio del reggimento. Ancora, da piazza Garibaldi al porto, nessuno mi disse niente. Sotto la passerella, in fila con gli altri, venni bloccato dal tenente Swenson: "Sorry, Tony: non puoi venire con noi". Mi mise in mano un foglio con la sua firma, che attestava che avevo combattuto con l'esercito americano contro i tedeschi, nella mia terra. Avevo immaginato ben altro congedo".




OPERA APPARTENENTE AL FONDO BIBLIOGRAFICO
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