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QUEI GIORNI
A NETTUNO

22 GENNAIO - 26 MAGGIO

di
FRANCESCO ROSSI
SILVANO CASALDI

Edizioni Abete

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16 - L' ANAGRAFE NEL POLLAIO



Casale dei Borghese

Eufemi fungeva da capo, anche per l'abilità con cui aveva rimesso in circolazione più d'un camion di Nettuno, falsificando i permessi dei tedeschi. Adesso, insieme con Angelo, Caterina e Ada, era però costretto a un lavoro da ambulante, per rintracciare gli amministrati allontanati dal mare.
Si erano riempiti i cascinali, le baracche, le stalle, dalle parti della Seccia, dei Cioccati, Zucchetti, Piscina Cardillo, Tre Cancelli, fino alle Ferriere. Ma il grosso dei nettunesi, tutt'uno con i fratelli di Anzio, dovette rovistare tra i rifiuti per sopravvivere. Non più utilizzati, erano stati abbandonati lungo la litoranea di Anzio Colonia, fuori della caserma S. Barbara, dei prefabbricati di legno e cartone pressato. Avevano costituito una specie di nido per la milizia fascista, nel periodo in cui fu adibita alla guardia costiera. Scatoloni pieni di fessure, nei quali ci si poteva però mettere a tavola, oltre che stendersi su un giaciglio. I tedeschi lasciarono che gli sfollati li caricassero sui carri e se li portassero via, come in un esodo biblico.
La loro terra promessa non era che una frazione di Nettuno. Ci si va, prendendo la strada per
Velletri e voltando a Cadolino. In altura, oltre il bosco dei sugheri e la spianata che d'estate si riempie di cocomeri, la pineta della Campana. Il turismo le ha dato il nome di Isola Verde, con il camping e tutte le comodità per la roulotte. Lì il popolo dei nettunesi e degli anziati - non più cani e gatti, come vuole l'atavica rivalità - si accampò e attese che passasse il peggio, tra le pareti fredde degli scatoloni della milizia.

La Campana era pertanto la meta dei quattro camminatori comunali, che arrivavano con i libroni e le pratiche sotto il braccio. C'era pure un altro volenteroso, Nanni Serra, a dargli una mano. Ma dove mettersi? Sulla strada, che era una carrareccia, prima della discesa verso la marrana del Sambuco, si sporgeva uno dei tanti casali dei Borghese. È ancora in piedi con le sue scale esterne, a dispetto della guerra e degli anni, al di là della siepe. Ci abitava il fattore con la famiglia: che doveva essere numerosa, giacché Eufemi, Ada, Angelo e Caterina, bene accolti con il loro aiutante, vennero tuttavia relegati con un tavolinetto e poche sedie nel chiuso d'un pollaio (dove evidentemente, con la fame che c'era in giro, i pennuti avevano dovuto cedere il posto).
Partito lo sceriffo, la notte era diventata più notte. Al dio Nettuno, domiciliato però in piazza del Mercato, restò soltanto la compagnia delle voci basse dei fornai che si riunivano presso la sua fontana, prima di cominciare a impastare il pane. Oltre al forno di Bernardini in via Cavour, si accese sempre quello di Margherita Ricci all'interno di via Cattaneo (l'allora via Conte di Torino). Uno dei più intensi bombardamenti aerei, alla metà di dicembre, aveva messo fuori uso il forno di Palazzetti in piazza Mazzini, e anche Porfirio Ottolini, all'angolo di via S. Maria, dovette chiudere. Tuttavia, nel periodo più duro dell'occupazione tedesca, quando il cuore di Nettuno era alla Campana, un po' di conforto, addirittura la sensazione d'una festa, gli sfollati l'ebbero dalla figura di Margherita, alta e sorridente, la chioma corvina, che veniva col carretto a portargli il pane, insieme con Castore e Alessandro Marigliani, i figli di Clemente che, da Anzio, aveva trasferito il suo forno nella vigna al Miglioramento, presso via della Cannuccia. Accertata la presenza dei fornai, si può calcolare intorno alla trentina il numero dei nettunesi rimasti in paese fino all'ultimo. A parte i collaborazionisti (qualcuno del tutto innocuo, come il barbiere che ogni mattina doveva precipitarsi a raderli), i tedeschi non poterono negare il permesso agli elettricisti Salvatore Bertolini e Vincenzo Roveri, all'idraulico Umberto Graziosi e infine ai Donati, proprietari dell'ultima villa in via Romana, quella in alto. La villa fu anzi requisita come albergo per gli ufficiali; ma i Donati, sistemati i loro letti in una grotta vicina, qualcosa riuscirono a strappare ai tedeschi, grazie a Ciro e Pietro, ambedue medici. Chiesero di poter soccorrere i feriti, gli infermi, che erano allo stremo, consci del loro peggior male: la mancanza dei farmaci e di cure appropriate.




OPERA APPARTENENTE AL FONDO BIBLIOGRAFICO
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