Nostra Signora
delle Grazie |
Nemmeno la veneratissima Madonna delle Grazie, patrona di Nettuno, potè evitare l'esilio. Memore delle peripezie che dalla lontana Ipswich la spinsero alla riva di San Rocco, non dev'essersi minimamente spaventata del nuovo viaggio che le fu imposto nella mattinata del 6 dicembre, dopo aver passato la notte in un vagone ferroviario, sotto la galleria di villa Borghese. Ormai, di tutti i suoi figli (erano allora circa dodicimila gli abitanti di Nettuno: un terzo della popolazione odierna), non rimanevano che quattro gatti. I tedeschi avevano dovuto ripetere il 2 ottobre l'ordine di sfollamento e, visto che non gli si dava retta, disposero dieci giorni più tardi la fucilazione per chi si fosse fatto sorprendere in paese o nelle vicinanze.
Una delle maggiori preoccupazioni del clero riguardò la sacra statua. Anche don Nicola De Franceschi, l'anziano arciprete, e don Angelo Mariola, il vice parroco, don Vincenzo Cerri e don Pietro Burge si erano dovuti piegare all'ordine di sfollamento e avevano chiuso la chiesa di San Giovanni. Don Vincenzo, affacciatesi dal campanile, aveva sentito nei giorni successivi all'armistizio le pallottole dei tedeschi fischiargli intorno. Si ritirò a Piscina Cardillo. In paese, rimase soltanto don Angelo, e fu lui a portare in salvo la lignea statua.
Non fu uno scherzo. Con tutta la comprensione divina, si trattava sempre di trafugare qualcosa che non si poteva far scivolare in tasca come un oggettino. Due frati, Vincenzo e Gabriele, trasferirono furtivamente la Madonna nell'unico treno, un accelerato, che continuava a unire Nettuno a Roma. Lo stesso don Angelo e Gabriele la depositarono nell'oratorio della Scala Santa in Laterano, da dove venne in seguito affidata alla basilica dei SS. Giovanni e Paolo al Celio, e qui esposta al culto.
Il fischio e lo sferragliare del treno, che seguiva la vecchia linea di Cocchina, parvero fino al giorno dello sbarco gli ultimi segni di vita di Nettuno. Aveva dovuto sgomberare perfino l'amministrazione comunale, trasferitasi nella capitale, sempre col nome di Nettunia, in un palazzo di via delle Terme di Diocleziano, appena dodici giorni prima dell'arrivo degli alleati. Trasferito a Roma anche l'ufficio postale, che era uno sportello a via della Vite 113.
Questo per la burocrazia. La direzione di Nettunia - personificata dal commissario De Matteis, come lui scrisse - aveva però alzato i tacchi fin dal 24 settembre, rimettendosi per l'anagrafe e il servizio annonario ai quattro impiegati rimasti sul posto: Mario Eufemi, Angelo Catanzani e le sorelle Ludovisi, Caterina e Ada. Quest'ultima, incaricata di ritirare a Roma le tessere del pane in via dei Cerchi, doveva più degli altri farsi il segno della croce, non avendo altro mezzo che il treno, divenuto il bersaglio degli aerei che calavano a mitragliarlo. |