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QUEI GIORNI
A NETTUNO

22 GENNAIO - 26 MAGGIO

di
FRANCESCO ROSSI
SILVANO CASALDI

Edizioni Abete

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48 - KESSELRING ERA SICURO


 


Il comandante
J. V. Borghese

Kesselring già assaporava la vittoria. Aveva respinto l'idea di cominciare - lungo la costa - con un affondo dei paracadutisti della 4a divisione, concentrati ad Ardea: da dove si sarebbero dovuti spingere sulla strada di Tor S. Lorenzo e Lido dei Pini. Il piano avrebbe consentito ai tedeschi di prendere di fianco lo schieramento alleato, esponendoli però alle bordate delle navi. Di qui, l'attacco frontale, dritto per dritto, appunto sulla dirittura di Campoleone (che è poi la Nettunense), come ha riportato Churchill. Dagli avamposti di Aprilia e Carroceto, già conquistati, sembrò a Kesselring di potersi aggiudicare il match con una spallata: "Anche prendendo in considerazione i potenti cannoni navali e la fortissima superiorità aerea degli alleati, ero convinto che con i mezzi a nostra disposizione saremmo riusciti a rigettarli in mare. La situazione del VI corpo d'armata americano, per me che cercavo di raffigurarmi la sua capacità di resistenza anche dal punto di vista psicologico, doveva essere ormai insopportabile".
È stato calcolato che, a quel punto, centomila soldati alleati fossero circondati da oltre centomila tedeschi (125.000, per l'esattezza). Anche tra questi, figurava una rappresentanza d'italiani, che non sarebbe giusto liquidare in fascio come fascisti. Non tutti lo erano, e gran parte di essi, arruolatisi nella X mas, aveva seguito l'esempio del suo comandante, un altro principe Borghese, Junio Valerio, capitano di fregata, sommergibilista, medaglia d'oro, che l'8 settembre si rifiutò di salpare da La Spezia con la flotta che, secondo l'ordine di Badoglio e le clausole dell'armistizio, si andava a consegnare agli alleati a Malta.
Per lo più studenti, cresciuti in una scuola che nei libri di testo aveva soppresso la parola democrazia, nutriti non di ideali di libertà, ma di concetti che li esaltavano - superuomo, arditismo, lirismo di D'Annunzio, attualismo di Giovanni Gentile, impero romano - avevano creduto che la scelta fosse tra il tradimento e l'onore militare e che non si potesse che essere dalla parte dei tedeschi, soprattutto con l'evidenza della sconfitta. Nella costrizione d'una cultura dalle gambe corte, che era una droga, ignoravano che la salvezza della patria, la pace, la giustizia sociale sono impossibili, senza la libertà; ignoravano che davanti alla X mas, sottomessa al capo delle SS in Italia, Karl Wolff, e utilizzata contro i partigiani, c'erano uomini come Sandro Pertini.
Nessuno gliene aveva mai parlato. Ci volle la liberazione per sapere di un italiano che negli anni delle adunate oceaniche, condannato dal fascismo al carcere e al confino, attaccato dalla tubercolosi, scrisse alla mamma: "Ti considero morta", perché aveva chiesto per lui la grazia a Mussolini. Quando Enzo Biagi intervistò Pertini a Montecitorio nel '74, e lui spiegò: "Era stata per mia madre una lettera crudele; ma avrei contraddetto me stesso con un atto di sottomissione alla dittatura", il giornalista si commosse: "Per la prima volta, un'intervista finisce con un abbraccio. Non mi era mai capitato".
Solamente un battaglione della X mas, il Barbarigo, un mese dopo lo sbarco, venne ammesso dai tedeschi al fronte di Nettuno, dove combattè a Cisterna, Campoverde e lungo il canale Moscarello. Un altro suo reparto, formato da artiglieri del gruppo S. Giorgio, entrò in azione a "Sérmoneta e Bassiano. Quasi contemporaneamente al Barbarigo, giunse il battaglione Degli Oddi delle SS italiane. Prima di loro, alcuni plotoni di paracadutisti della Nembo e un reggimento della Folgore erano stati inseriti nello schieramento che fronteggiava gli inglesi, dal fosso della Moietta verso Anzio.
A Nettuno, tuttavia, la presenza dei marinai della X mas fu già notata a metà settembre e in ottobre, in seguito all'occupazione tedesca. Era una pattuglia che entrava e usciva da villa Borghese, presidiandola, per ordine del comandante Valerio, cugino di Rodolfo, il papa di don Steno. Sarebbe stato quest'ultimo, per il timore che della villa si appropriasse il colonnello Scholl (che, soffocata la resistenza dei nettunesi, aveva assunto il comando per poi cederlo al luogotenente Querbach), a chiedere l'intervento dello zio. Il piccolo distaccamento della X mas salutò Nettuno appena i Borghese ebbero la certezza d'essersi garantita l'immunità dai tedeschi.
Questo, più del fatto che aveva retto l'amministrazione locale dopo l'8 settembre, fece di don Steno un elemento pericoloso per il servizio d'informazione alleato che lo incluse nell'elenco dei nemici. Gli americani ne ordinarono l'arresto (eseguito la mattina dello sbarco, come sappiamo, dal giovane colonnello Bill Darby, uno dei migliori allievi di West Point, che comandava i rangers); ma si accorsero in poche ore che era invece un amico e, scusandosi con lui, lo pregarono di continuare a far le veci di sindaco ad Anzio-Nettuno. La collaborazione divenne più stretta durante il forcing dei tedeschi. Don Steno, copertasi la testa con l'elmetto che aveva protetto suo padre nella prima guerra mondiale, si ritenne in prima linea e finì con lo spalancare volentieri la sua villa al quartier generale della quinta armata.


Il colonnello
W. O. Darby

La successione degli avvenimenti comproverebbe che Valerio e don Steno, schierati in campi opposti, non fossero poi così distanti nella tutela dei loro beni. Alla resa dei conti, nell'aprile del '45, il comandante della X mas non si fece trovare impreparato. Disponendo dei canali per contattare gli alleati e trattare la sua capitolazione, potè sottrarsi ai partigiani che intendevano appenderlo al distributore di benzina di piazzale Loreto. Due agenti dell'OSS si precipitarono a prelevarlo a Milano, gli diedero soltanto il tempo d'indossare la divisa d'un tenente americano e lo trassero nella più respirabile aura di Roma con la loro jeep.
Alla soluzione incruenta non era estraneo suo nipote: il quale, in definitiva, gli restituì il favore dall'altra parte della barricata, raccomandandolo per tempo a Clark. Junio Valerio morì in Spagna nell'agosto del '74, don Steno quattro anni dopo a Roma. Sono sepolti, sullo stesso piano, nella cripta della basilica di Santa Maria Maggiore all'Esquilino.




OPERA APPARTENENTE AL FONDO BIBLIOGRAFICO
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