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QUEI GIORNI
A NETTUNO

22 GENNAIO - 26 MAGGIO

di
FRANCESCO ROSSI
SILVANO CASALDI

Edizioni Abete

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36 - LA RAPAZZUOLA



La rapazzuola

Lontani dalle famiglie (tranne Kammerloher, sposato con una nettunese, Luigina Di Pietro, sfollata a Spino Bianco, e tranne Peppino che aveva la moglie e la figlia a Borgo Montello), preferirono rimanere con i nettunesi. C'era posto per tutti nelle capanne e nei cascinali degli sfollati. Sembra impossibile che in pochi metri riuscissero a convivere diecine di persone. Fu un altro dei miracoli dei poveri, forti della più antica risorsa della loro condizione di contadini-pescatori: lo spirito d'adattamento, ossia la capacità di estrarre la vita dai sassi e dagli scogli, che è qui un gesto semplice, come quello della semina del grano e delle reti a mare.
Una parola di sapore arcaico - rapazzuola - rimasta intatta sulla bocca dei nettunesi, che correntemente la usano, da l'idea di tutto. Non ha niente a che vedere con le rape e, a riprova d'un habitat gemello, appartiene sia al pastore che al navigante. La rapazzuola, sulla barca, indica la cuccetta più umile, quella dei mozzi; nella capanna, è un grosso pagliericcio, riempito per lo più di foglie secche di granturco, poggiato su tavole e tavolette messe di traverso e sollevate da altri pezzi di legno.
Su questo tavolaccio, intricato nella descrizione, ma facile da montare e smontare, hanno dormito intere famiglie, ed è stato un letto generoso anche per i carabinieri della stazione di Nettuno. Il brigadiere Pitruzzello e il suo vice Di lorio, amici di Giovanni Monaco, detto Nino, erano nascosti nella vigna di lui, in contrada Zucchetti. Nell'ottobre, in seguito al secondo ordine di sfollamento dei tedeschi, dovettero allontanarsi di più, e ancora Nino trovò la soluzione, con il soccorso della premurosa Elvira Passa, che gli aveva messo a disposizione una baracca a Piscina Cardillo.
Nino, proprietario a quei tempi d'una rivendita di tabacchi e giornali (la stessa della famiglia Vaccari, di lato all'archetto di via del Quartiere), si era dovuto separare dalla moglie e dai figli sfollati a Pomezia. Ebbe sempre accanto un ragazzo di quindici anni, Adriano Birzi, che valeva più d'un garzone, sapendo districarsi in ogni faccenda, dal bancone allo strillonaggio in piazza, ai tini della vendemmia. Non più strillone di giornali, Adriano si è ritirato nello sgabuzzino d'un portierato in via Napoli. La sua memoria è rimasta nel punto in cui vide morire il brigadiere Pitruzzello per un equivoco, come quello che aveva ucciso il noleggiatore di Otricoli.
Una storia che è un groviglio, con più d'un punto oscuro. Nessuno potè sapere come avesse fatto il brigadiere, dalla clandestinità, a entrare in contatto e accordarsi con i tedeschi. Lo spinsero, in ogni modo, le necessità della popolazione che, sparsa per la campagna, era sempre una folla da tenere in ordine. Tanto per cominciare, bisognava che la distribuzione del pane avvenisse senza confusione; né si poteva dire che tutto fosse chiaro con gli infiltrati. C'erano certe facce in giro, che davano l'angoscia soprattutto alle donne, perché ogni giorno pervenivano dal paese, a parziale (e comoda) giustificazione delle fucilazioni, le notizie delle ruberie negli appartamenti incustoditi. Accadde così, ai primi di dicembre, di rivedere Pitruzzello in divisa.
Ai tedeschi, non era forse parso vero che, dopo i vigili urbani, anche i carabinieri riprendessero di loro iniziativa il servizio, impegnandosi a tener buoni gli sfollati. Il brigadiere cercò di stare alla larga dal comando di piazza Mazzini e, richiamati attorno a sé Di lorio e gli altri, se li portò al convento della Casa del Sole, dalle parti del vecchio mattatoio, dove c'era pure la grotta per il rifugio antiaereo. Le monache erano andate via, e la sede d'una comunità religiosa doveva essergli sembrata più indipendente, anche come caserma. Inoltre, gli permise di restituire l'ospitalità a Nino, potendo riservare una stanza sia a lui che ad Adriano.


La Casa del Sole

Alla Casa del Sole, la mattina dello sbarco, si presentarono alle 10 due paracadutisti italo-americani con il mitra. Sapevano tutto, ma fino a un certo punto. Per loro, gli otto carabinieri, più i due in borghese, erano dei collaborazionisti. Gli chiesero: "Siete fascisti?" . "Siamo soldati del re", risposero i carabinieri. Ma li arrestarono lo stesso, e furono bravi - da soli - a farli marciare in gruppo, prendendo la strada della caserma Piave.
A metà della salita, i colpi d'una mitragliatrice, che sparava dall'olivete dei fratelli Brovelli, alla loro sinistra, li sparpagliarono. Un po' qua, un po' là, si erano raccolti dietro i platani. Monaco fu il primo a capire che, dall'altra parte, non c'erano i tedeschi, ma altri americani, e urlò ai due paracadutisti di farsi riconoscere. Per tutta risposta, partì un'altra sventagliata. Pitruzzello disse a Monaco: "Non possiamo rimanere così: io vado", e saltò fuori immediatamente, seguito da Di lorio.
Fece pochi passi. Forse aveva proprio creduto che per lui e gli altri non vi fosse che lo scampo della fuga, attraverso la scorciatoia delle grotte. O forse, più che il timore d'essersi compromesso con i tedeschi, lo rese precipitoso il pensiero di dover dare spiegazione del suo comportamento. Fu colpito all'addome, e si spense a poco a poco. Il fedelissimo vicebrigadiere, ferito dalla raffica, se la cavò con le cure dei Donati. "L'equivoco nacque dal fatto che noi eravamo dieci e i paracadutisti due. Vedendoci dall'olivete, gli americani non potevano convincersi che i prigionieri fossimo noi, e spararono per liberare i compagni": Adriano Birzi non ha detto altro.
Per lui, ragazzo in mezzo ai grandi, fu un trauma. Sulla tomba di Pitruzzello, sepolto a Nettuno, si legge: "Tragicamente deceduto a 38 anni con la radiosa visione dell'Italia liberata". Le parole del suo amico Giovanni Monaco. In effetti, ben altro ci voleva, quella mattina, per rannuvolare il cielo dei nettunesi. Come dubitare di quei raggi di sole? I tedeschi erano scappati, e gli americani stavano lì, davanti a loro, con la cioccolata, le Carnei, il chewing-gum, e forse si poteva già metter su un'orchestrina per il boogie-woogie. Gli sfollati accorrevano da tutte le parti, e più d'uno tirò fuori la damigiana del vino, offrendoglielo. Le grida erano dovunque le stesse: "Siamo liberi, siamo liberi: la guerra è finita. Viva i liberatori".




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