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Durante il periodo della vendemmia (ultimi di settembre) si vedeva, fin dalle prime luci dell'alba, un gran movimento di donne andare in campagna per la <<vellemmia>>. Chi andava a piedi e chi era prelevata col carretto, tutte festanti come per una gita. Vignaroli con carretti e <<stracini>> carichi di <<bigonzi>> si soffermavano ora qua ora la. Presso le case era tutto un vociare e quando erano tutte salite, alcune anche dentro i <<bigonzi>> si ripartiva. Lungo la strada cominciavano i canti che animavano i viaggi fino alle partite di vigna. Per ogni gruppo di femmine di vi era un caporale che inquadrava il lavoro di raccolta con la dislocazione della mano d'opera nei filari per la concentrazione dell'uva. Il lavoro veniva svolto gioiosamente con canti paesani. A volte si udivano stornelli di botta e risposta anche di altri dialetti laziali dalle vigne vicine. Era infatti usanza reclutare mano d'opera femminile anche da Cori e da Piglio. I padroni dei vigneti più grandi se le andavano a prelevare dal paese con carretti e <<stracini>>. A frotte rispondevano per venire giù a lavorare. Si arrangiavano a dormire tutte insieme nelle capanne e mangiavano alla vigna, per ripartire a raccolta finita. Non di rado dopo mangiato fra le combriccole più affiatate, per ridere, operavano la stira al giovane più intraprendente, consisteva nell'immobilizzarlo, sbottonargli la patta dei calzoni e spiaccicargli un grappolo d'uva fra le gambe. Le paesane, invece, all'ora di pranzo aprivano il fagottello portato da casa e mangiavano. Il luogo preferito era sempre l'albero di fichi più grande, che oltre a dare generosamente l'ombra, era prodico dei saporosi frutti settembrini, oppure, sempre all'ombra, vicino un pezzo sodivo, coltivato a pomodori per farsi la panzanella.
I viaggi dei carretti giornalmente erano tanti, portavano 5 o 6 <<bigonzi>> alla volta. Gli stracini 12, con una filagna divisoria tra le due file, onde fissare bene i <<bigonzi>>. Questi erano marcati a fuoco con le iniziali del padrone oppure avevano cerchi tenuta verniciati di colore vario. Venivano portati a <<barella>> dagli uomini , dal punto del <<ricaccio>>
a quello di carico. I cavalli erano muniti di sonagliera al collare (serie di campanellini) che tintinnando, annunciavano il loro passaggio per gli stretti tratturi delle campagne. Si evitava così l'incrocio con altri carretti scarichi, che, al primo slargo si mettevano a lato. Se il tempo era piovoso, a volte si vedevano quelle povere bestie affondate fin sotto la pancia con i carretti impantanati fino agli assali delle ruote. Una processione continua dalle campagne di Spino Bianco, Zucchetti, la Seccia, Piscina, Grugnole, Tre Cancelli, Scopone che convergevano tutte in paese. Arrivati a San Rocco le bestie venivano ancora sottoposte a dura prova per via della salita, allora molto più accentuata. I carrettieri scendevano dal mezzo e tenevano a capezza le loro bestie incitandole con la frusta e suoni gutturali. Nei punti più scabrosi passavano alle ruote per aiutarle a girare. Cavalli, muli e asini, non di rado accadeva che nel trainare grossi carichi, slittavano sul selciato. Quando gli andava bene si sbucciavano le ginocchia, quando gli andava male invece si rompevano una zampa e per loro era finita. Finivano al macello invariabilmente a bistecche e coppiette. |