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NETTUNO
OTTO/'900

Persone, storie e tradizioni
a Nettuno nel 1800-1900

di AUGUSTO RONDONI

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60 - La corsa dei cavalli


Era importante e si svolgeva in un'intera giornata durante le manifestazioni dei festeggiamenti della Madonna delle Grazie a maggio. Di solito occupava la domenica tra la processione di andata e quella di ritorno.
Punto di concentrazione era il Colle San Rocco, dove in verità, all'infuori dei due villini pendenti, (ora officina meccanica e ristorante) non v'era altro.
Di buon'ora cominciava la calata. Vignarole, barozze e stracini che provenivano da Tre Cancelli, Ospedaletto, Piscina Cardillo, Acciarella, Pocacqua e Tinozzi portavano la quasi totalità delle colonie emigrate da Guarcino, Jenne, Piglio, Trevi, Vallepietra e tante altre località del basso Lazio.
Era già uno spettacolo vederli arrivare. Tutti vestiti a festa, con sgargianti camicie a colori, calzoni a sbuffo e gambali neri lucidi, col cappello in testa gli uomini, mentre le donne vestivano in cotone o flanella colorata e scarpe di copale, che dopo un pò sostituivano con altre più comode. Ornate di coralli e catenine d'oro pesanti, pendenti alle orecchie e in testa fazzoletti di seta. I ragazzi erano quasi tutti col vestito della prima comunione, abbastanza stretto, e scarponcini neri alti. Le nonne invece vestivano ancora la lunga pollacca nera ciociara, originaria dei loro paesi.
Sulla quale ostentavano un alto busto esterno, allacciato a spina di pesce, sotto il quale, conficcato, tenevano una specie di pugnale di legno (crocé) che usavano di quando in quando, durante gli intervalli della festa, per fare calzette colorate ai loro nipoti.
I bulli, muniti di baffi arrotati e sguardo spiritato e assassino, portavano camicie di flanella colorata senza collo, col cinturino soltanto e l'ultimo bottone metallico sotto il quale annodavano a mò di cravatta un fazzoletto di seta a colore vivace. Cappello alla ventitré e calzoni alla cavallerizza, con sbuffo accentuato e gambali neri lucidi.
Gli zampitti o zanfcri, che dir si voglia, (i poveracci insomma) appiedati, con la camicia bianca, probabilmente quella da sposo, calzoni scuri stirati, con qualche pezza nera al culo, e scarpe inzaccherate dal lungo cammino fatto, erano seguiti dalle loro donne che, con grandi fagotti, ravvolti in grossi fazzoletti a quadri variopinti,portavano le cibarie per la giornata. Non di rado si vedevano bambini piccoli, avvolti nelle fasce, dentro ceste portate con la "coroja", sulla testa delle loro mamme. Comunque tutti i manifestanti erano provvisti di ombrelloni con manico di legno, ceste e canestri con dentro il pranzo per la loro famiglia, consistente in pane di grano, formaggi, carne insaccata e bottiglioni di vino.
La casta privilegiata, gli organizzatori: arrivavano in calesse, vestiti da giacche alla cacciatora in velluto verde o marrone, calzoni alla zuava e stivali neri o gialli, lucidissimi. Calzavano un cappello di marca con una penna di fagiano oppure di capoverde infilata nella fascia. La giuria aveva camicie colorate e gambali neri ed al braccio sinistro una grossa fascia celeste di riconoscimento.
La prima preoccupazione era quella di organizzarsi per la sosta della giornata. Poi gli uomini si riunivano sotto la direzione degli organizzatori, e cospargevano il percorso della pista con sabbia e pozzolana per non far slittare i cavalli sul selciato del fondo stradale.Intanto i fantini, colle bluse variopinte, facevano riscaldare i cavalli a capezza lungo la spiaggia, per attrenarli maggiormente.
L'atmosfera generale era proprio da "Gran Prix"!
Tutti i fantini, durante la corsa dovevano cavalcare a pelo, per non gravare ulteriormente il cavallo con l'uso della sella. Nell'avvicinarsi dell'ora della gara, i fantini montavano il loro cavallo portandolo sul piazzale, presso la linea di partenza. Si vedeva allora tra la moltitudine, cavalli che scartavano, altri che scalpitavano, altri ancora che scattavano, imbizzarriti, tra la gente che s'allontanava spaventata.

 

Erano nervosi, vogliosi di correre. Tra i più quotati, "Peperino", un bel cavallo grigio 'della scuderia dei Perica, lo cavalcava Paolo Gabrielli detto Cianchino e lo vantava ad ogni piè sospinto: "Gliu cavaglio meo èPeperino. La capanna mea è zeppa de stennardini! ".
Spesso vinceva anche nelle corse a Cisterna.
I cavalli di Mecheri erano due sauri di stanza a Fogliano; uno lo montava Puncichitto e l'altro Insuricitto, Federici. - "Gliù cavaglio 'mperiale" lo cavalcava Sciaboletta che col suo frustino duellava di continuo. Era un roano di statura superiore alla media, imponente.
Carlo Rosati montava Broccolo, il sauro di Marietta "la pecorara", sua nonna. Oltremonte, il sauro della scuderia Spirito a Ponzerico, lo cavalcava Tubiolo Maiozzi, alternandolo col morello Oltremare.
Occorreva più di qualche sparo per la partenza della corsa,perché alcuni partivano in anticipo, altri più tardi ed altri ancora nienteaffatto. Ciò dava adito alle più accanite dispute. Si sentiva dire: "No. Nun vale! Aricomincemo da capo!" - "Ariportamoli aglio traguardo" - "Non è un cazzo!"
"Rimettemose 'n fila!" Tu, coglio cavaglio teo, devi stane più dereto, lo tuo è mezzo sangue!" - "Pure gliò teo è 3/4!"
A mettere ordine in ultimo valeva la parola del giudice più anziano che ammoniva gli "scardusi" è ribadiva, sempre a voce alta: - "Le corse dei eavagli se fanno a paro a paro e chi arriva pe' primo à vinto!" Ristabilita la calma e tutti i cavalli di nuovo allineati, se allo sparo riuscivano a partire contemporaneamente, a giudizio della giuria, si riteneva la partenza rata e valida. Però di spari ce ne volevano sempre cinque o sei. Si vedevano allora partire i cavalli spronati sfrecciare come saette, ventre a terra, coi fantini che seguitavano a seviziarli con frusta e speroni, pur di arrivare primi. Il gran vociare della gente, alle ali del percorso, cessava di colpo per lasciare posto solo allo scalpitio degli zoccoli dei cavalli al galoppo. Passato il primo tratto del percorso, dopo il ponte del Loricina, cominciava la salita che, essendo crescente fino al traguardo, rallentava sensibilmente l'andatura di quelle povere bestie continuamente sferzate. Arrivavano al traguardo letteralmente spompate.
Stabilito l'ordine ed i tempi d'arrivo, il primo classificato ripercorreva a ritroso la pista a piedi, tenendo a capezza con una mano il cavallo vincente, e con l'altra, ben in vista mostrava trionfalmente lo stendardo vinto, puntato alla cintola. Al suo passaggio il pubblico si spellava le mani per applaudire. Dietro veniva l'allevatore che portava pomposamente la coppa conquistata. A poca distanza seguiva tutto un fiero codazzo di gente della stessa contrada. Alloro passaggio, il più delle volte si udivano invettive, insulti, proferiti da quelli che avevano perso: "Che ci si dato da magnà, aglio cavaglio?" - "Ce si dato o peperoncino?" - "Gliù peperoncino ce lo si misso aglio cuglio! Tenghi da ringrazià che gliù cavaglio nu (nostro) nun era tanto attrenato sin da terzi sera (l'altroieri), sinnò sarebbe vinto gliù meo!". Altri dicevano come era andata che "Tra lo municipio e lo traguardo, 'nsuricitto e o cavaglio 'mperiale 'neveno friccichenno friccichenno, 'nfino aglio traguardo, sinnò.. .
Altri ancora: "Pé nò labbro m'ha fregato gliù cavaglio de Zampa Corta, quann' è stato davanti gliù traguardo!". Tutte queste liti e invettive più tardi si sedavano all'osteria di Pio De Luca, in Via Santa Maria, tra l'andirivieni notevole di litri di vino, pugni sui tavoli e bestemmie varie. Gli animi, dopo svariati litri, si rappacificavano. Il vino faceva miracoli.
Pestecchia si senti chiedere dal compare di un altra contrada: - "Perché tu padre non è venuto alla corsa?"
-"Perché stanotte, invece d'attaccasse alla cupclla, s'è attaccato alla bcttja deglio petroglio, n'ha fatta 'na voccata e pò l'ha rasputo."
Una volta aperti al dialogo cominciavano a fare il gioco "deglio cappeglio", che consisteva nel misurarsi ognuno il cappello nuovo dell'altro, scambiandoselo definitivamente, se stava meglio e cedendo il proprio.
La giornata finiva lì, quando le loro donne, stufe d'aspettare al piazzale di S. Rocco, attaccavano il cavallo al carretto ed andavano alla ricerca del proprio uomo che, inevitabilmente veniva trovato sbronzo all'osteria di Via 5. Maria; lo caricavano e rientravano a sera tarda nella contrada.





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