Nel 1930 Nettuno fu scossa da un avvenimento clamoroso. Alla Scuola d'artiglieria, durante un'esercitazione, il cavallo ombroso del capopezzo di una batteria ippotrainata, si ribellò al suo cavaliere disarcionandolo prima con enormi salti a "montone", poi aggredendolo a morsi, calci e rampate, fin quando uccise il militare. Era consuetudine in questi casi eccezionali che tali animali assassini venissero abbattuti, per far sì che non provocassero altre tragedie.
La cosa destò enorme scalpore. La notizia si diffuse presto e Nunzio Ciavatta, noto domatore nettunese, venutone a conoscenza, si presentò al Comando della caserma affinché il cavallo in questione venisse affidato alle sue cure, per un paio di settimane. Avrebbe pensato lui a piegarlo e a renderlo docile. Il Colonnello comandante dapprima l'ascoltò con sufficienza, poi dalle sue argomentazioni, rendendosi conto della grande esperienza che aveva in fatto di cavalli, si decise ad affidarglielo.
Non passarono neanche due settimane, che una sera verso l'imbrunire ecco Nunzio che cavalcando il cavallo assassino, divenuto "manzo"come una pecora, attraversò la Piazza per dirigersi al Circolo Ufficiali, passando per il giardino del Comando. Una moltitudine di civili dal di fuori, ed un cospicuo assembramento di ufficiali che stavano riuniti dentro, richiamati dal clamore popolare, assistettero a questa scena. Il cavaliere nella sua posizione eretta si portò col busto avanti in prossimità delle orecchie dell'animale, sussurrandogli, con la sua vocina nasale qualcosa; poi riassumendo la posizione eretta, si accinse a salire la scalinata che dal giardino portava al primo piano del Circolo, come se fosse stato un cavallo da circo; ridiscendendo poi maestosamente dall'altra rampa della scalinata. Smontando quindi dalla cavalcatura e rivolto agli ufficiali, che gli fecero capannello, disse: "Il cavallo ormai può essere cavalcato anche da un bambino".
Uomo di rare qualità, ottimo cavallerizzo, conosceva tutto sui cavalli fin da quando erano "vannini" (puledri), li aiutava a crescere bene, li domava, li guariva se erano ammalati, senza l'intervento del veterinario. Aveva una comunicativa con essi più unica che rara. Riusciva a far loro eseguire qualsiasi evoluzione, senza l'uso della frusta e speroni. Era "tutt'uno" con essi quando li cavalcava. |