La prima volta che si parla di Maria Goretti è sulle pagine del giornale romano IL MESSAGGERO, dove è riportata la cronaca dei tragici avvenimenti di Le Ferriere di Conca.
Maria Goretti tornerà agli "onori" della cronaca
per via di una banale e strumentale rivisitazione
della sua vita (Gen. 1985).
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Abbiamo da Nettuno 6 luglio chi ha letto La bestia umana di Emilio Zola, ha talvolta chiuso il volume, esclamando, nauseato alle scene brutali che in esso si svolgono: "Questo è impossibile". Il fatto truce e crudele, svoltosi ieri nella tenuta Ferriere di Conca circa 14 chilometri da Nettuno, è a confermare che tali scene, tali brutalità sono possibili nella vita reale.
Vengo senz'altro alla narrazione: il bifolco Alessandro Serenelli, un giovanotto ventenne, tarchiato, dalla fronte bassa, dallo sguardo torvo viveva con il padre e la madre nel casale della tenuta insieme alla famiglia del contadino Goretti, composta da sua madre e sua figlia Maria, una giovinetta dodicenne di aspetto placente e di sviluppo precoce.
Erano le 2 pomeridiane di ieri: il sole saettava sui campi.
Alessandro guidava i buoi lenti aggiogati all'aratro. Maria sul pianerottolo esterno della casa colonica, rattoppava canticchiando una camicia del giovinotto che, nella vita comune di lavoro, considerava come fratello.
Gli sguardi del giovane dal solco profondo si portavano alla gaia giovinetta e nell'occhio torvo passavano lampi di desiderio insoddisfatto. Quell'acre giovinezza destava in lui pensieri colpevoli, voglie inconfessabili, un torpore strano invadeva la sua fibra.
Fermò di colpo i buoi ed alla madre di Maria che era lì presso ad aiutarlo nel lavoro disse: "Devo andare a casa un momento; guardatemi i buoi". La donna accondiscese ed egli si allontanò con la testa bassa e a grandi passi raggiunse il casolare. Salì la scala. Alla giovinetta che lo accoglieva con un sorriso si curvò all'orecchio e le fece proposte oscene.
"Vieni, ti voglio - le soffiò in faccia imperioso". -Aiuto! - gridò la fanciulla, terrorizzata dallo sguardo truce del giovinotto, e tentò di svincolarsi e fuggire.
L'altro le tappò la bocca, mentre con l'altra stringendola nervosamente con un braccio la trascinava nella prima camera del casale.
La madre intanto, inconsapevole di quanto accadesse, sorvegliava i buoi. Nella squallida stanza si svolse allora una scena raccapricciante.
Alessandro aveva atterrato la misera giovinetta e tentava di lei l'oltraggio supremo. Maria si difendeva con coraggio indomito dall'assalto di quel satiro immondo.
Le nudità vedute nella lotta crudele eccitarono vieppiù i sensi pervertiti del degenerato che sentì allora il bisogno di distruggere ed annientare l'oggetto che aveva tanto desiderato e che ora si ribellava alla soddisfazione delle sue voglie.
Afferrò un punteruolo a manico fisso e si diede a tempestare di colpi feroci quel povero corpo. Il ferro acuminato squarciava, penetrava in quelle carni fresche e il sangue sprizzava dalle ferite aperte e il bruto rideva di un riso ebete, di belva soddisfatta.
Al grido disperato di aiuto erano succeduti i lamenti affannosi della povera vittima.
Stanco di colpire il bifolco lasciò la misera giovinetta immersa nel proprio sangue e si chiuse in un'altra stanza.
Sotto il casale passavano due contadini, due fratelli: Antonio e Domenico Cimarelli.
Udirono i lamenti e salirono impressionati la scala.
La povera Maria giaceva nella pozza rossa formata dal sangue uscitole dalle ferite, cogli occhi sbarrati dal terrore, incapace di pronunciare una parola.
Gridarono al soccorso.
La madre e il padre della povera vittima, soccorsero nel miglior modo possibile, la loro disgraziata figliola. Le autorità di Nettuno e di Cisterna furono avvisate del fatto raccapricciante.
In Nettuno il bravo brigadiere Lorenzo Fantini e i militi a cavallo Leonardo Ruggeri e Adolfo Pierottini superarono la distanza di 14 chilometri in 35 minuti.
Poco dopo li raggiungeva il dottore Bartoli e il tenente della pubblica assistenza Stella d'Italia, Giovanni Barbuto.
Da Cisterna pure giungeva il brigadiere dei carabinieri con altri militi.
Fu aperta la stanza dove il brutale assassino si era rinchiuso. Tutti si aspettavano che si ribellasse ma al contrario egli si lasciò legare senza tentare la minima resistenza e senza pronunziare parola, cupo, torvo, come quando dai campi contemplava la sua vittima sull'alto della scala.
Dalla vicina tenuta di Carano intanto giungeva il carro barella della Croce Rossa e il tenente Baliva.
Con mille cure la giovinetta fu trasportata all'ospedale di Nettuno dove giunse circa alle otto di sera.
I dottori Bartoli, Perotti e Baliva l'operarono di laparatomia, perché i colpi del punteruolo erano stati di preferenza vibrati nel ventre.
Inutile strazio per l'infelice che alle 4 pomeridiane di oggi ha cessato di vivere.
Il bruto interrogato ammise tutte le circostanze del delitto, da noi narrate, e cinicamente affermò che, non avendo la disgraziata giovinetta accondisceso nelle sue voglie, l'aveva uccisa.
Nella notte il miserabile pianse!
Quando questa mattina alle ore 11 fu fatto salire nel treno per essere trasportato a Roma le folle minacciose gridarono all'assassino per via, con grida di morte.
I carabinieri lo dovettero proteggere. "Oh sante leggi di Linch, quanto sei giusta in simili casi...". |