100libripernettuno.it

 

MARIA GORETTI
Storia di un piccolo fiore di campo

di
GIOVANNI ALBERTI

La presente opera si può acqistare presso
il Santuario Madonna delle Grazie a Nettuno
Tel./fax 06 9854011
E-mail: lastelladelmare@libero.it
www.santuarionettuno.it

 

HOME - OPERE

INDICE -
01 - 02 - 03 - 04 - 05 - 06 - 07 - 08 - 09 - 10 - 11 - 12 - 13 - 14 - 15 - 16 - 17 - 18 - 19 - 20 - 21 - 22 - 23 - 24 - 25 - 26 - 27 - 28 - 29 - 30 - 31 - 32 - 33 - 34 - 35 - 36 - 37 - 38 - 39 - 40 - 41 - 42 - 43 - 44 - 45 - 46 - 47 - 48 - 49 - 50 - 51 - 52 - 53 - 54 - 55


8 - Il pianeta delle zanzare


"Voi non sapete quale energia nasconde il silenzio", scrive Kafka.

Dopo Terracina il lento sbuffare della locomotiva tracima tra miasmi maleodoranti e zirlìo di cicale. Il cielo uggioso è fasciato da una nebbiolina livida e popolata di insetti.

Annegati tra pozzanghere e canali, le carcasse di vacche e di cani lasciano una scia di cupa maledizione.

Ai rari passeggeri del treno Roma-Napoli viene consigliato di tener sigillato il finestrino e tutti i vagoni sono immersi in un silenzio spettrale.

Distanti dalle acque, si possono scorgere capanne di frasche a forma circolare, con il tetto conico (lestre). Dinanzi allo spiazzo si rincorrono bambini e animali, le donne portano larghe e lunghe vesti e attorno alla testa immensi fazzoletti.

Dietro i cardi e le felci appaiono come fantasmi uomini dalla barba lunga e ispida.

Al poeta tedesco Goethe un secolo prima tutto quel mondo sembrava abitato da "selvaggi minati dalla febbre".

Stiamo narrando storia e segreti delle Paludi Pontine, un rettangolo di fango e di miseria di 50 Km. x 30 fra Nettuno, Cisterna, Terracina e il Circeo.


Antica mappa delle Paludi Pontine (1705)

 

Una terra di splendori e di miserie dove gli elementi della natura (i vorticosi torrenti che scendono disordinati dai monti Lepini) e l'ingordigia degli uomini (200 proprietà, molte delle quali superiori ai 5000 ettari per lo più latifondo abbandonato) hanno creato una superficie di degrado e di perdizione.

Lungo i secoli i tentativi di bonifica sono sempre penalizzati da difficoltà insormontabili e da incapacità sia tecniche sia politiche.


Villaggio di "lestre" vicino a Nettuno
(Archivio di Stato - Latina)


Pastori dinanzi alla "lestra"
(Archivio di Stato - Latina)


Pescatori della palude in un momento di riposo
(Archivio di Stato - Latina)


Bufalari che caricano i bidoni del latte sulla barozza
(Archivio di Stato - Latina)


Fochisti sulle carbonaie


Venditori ambulanti delle paludi


La foto alla fine dell'800
e ritrae una tipica strada dell'Agro Romano

Un posto di primo piano lo ha papa Sisto V che nel 1586 incarica Ascanio Finizi di intraprendere il tentativo di bonifica delle Paludi. I risultati sono talmente incoraggianti che lo stesso Pontefice si reca nelle Paludi 1' 11 ottobre 1589 per dimostrare il suo personale compiacimento.

Ironia della sorte, papa Sisto muore di malaria presa in quella terra. È il 1590, da quel momento il ritmo dei lavori di bonifica diminuisce e le acque ritornano ad allagare e a distruggere.

I lavori nelle tenute durano di solito 9 mesi, durante i quali 4000-5000 montanari e contadini originari delle Marche e dell'Abruzzo abitano la palude.

Non mancano i residenti, ospitati in casali in muratura (nella zona di Conca ci sono 40 case) i quali con i padroni della borghesia romana hanno stipulato un contratto a mezzadria.

Dei 9800 ettari di terreno di sua proprietà il Mazzoleni ne da 20 ai Goretti: una terra impossibile, dove si possono solo coltivare le parti asciutte.

Il lavoro dei campi si svolge ancora in maniera rudimentale e primitiva.

Si comincia con la sterpatura (dicembre-marzo), poi si deve arare la terra più o meno cinque volte. Ora i campi sono pronti per la semina se si tratta di grano, mentre per il granturco la lavorazione richiede tempi più lunghi.

Il granturco nelle Paludi cresce fino a 3 metri, si coglie a novembre, poi c'è la battitura. Per il grano la mietitura arriva a giugno, il lavoro inizia di buon mattino e termina alla sera.

L'altro lavoro importante è la trebbiatura o ara: il grano viene portato nelle aie e fatto passare sotto gli zoccoli degli animali. In alcune tenute si coltivavano anche il favino, i lupini e la veccia.

Il cibo comune è il pane di granturco (fallone), la pizza (farina di granturco mista ad acqua e cotta sotto la brace) condita solo di sale e con qualche erba raccolta nei campi.

Carne, salumi e formaggi sono una rarità, per bere c'è acqua e nei giorni di lusso l'acetella (acqua fermentata nel mosto del vino).

Curiosi i soprannomi degli abitanti le lestre, usati anche dai capoccia nei libri-paga: Gobbo, Luterano, Bronzetto, Stoppino, Zuppa, Volpe, Ciambella, Falchetta e Papero.

Una famiglia media, su un terreno come quello descritto, dopo anni di lavoro crea con il proprietario debiti di 60-70 lire per l'anticipo ricevuto in semi, attrezzi e denaro prestato.

La situazione praticamente non ha soluzione di sorta perché con il trascorrere degli anni la famiglia viene annientata dalla malaria. Stravolta dalla disperazione e dalla fame abbandona il campo e si propone per un'altra dolorosa emigrazione.

Una giornata di spensierata follia è quella della merca, la marcatura del bestiame in maggio.

Lungo la staccionata del recinto si accalcano tutti, uomini della Palude e signori della città.

Prima tocca ai vitelli correre e sbizzarrirsi, poi il massaro con un gesto di presuntuosa onnipotenza, col ferro rovente, marchia sulla coscia e sulla spalla sinistra le cifre padronali, il numero e l'anno in corso sull'anca destra.

Per bufali e i tori i convenevoli sono più elaborati e l'emozione raggiunge la soglia più elevata.

La malaria è la vera grande maledizione della Palude, così comune e familiare che i lestraioli la chiamano commare.

Conca e Campomorto sono la capitale più malarica del mondo cosiddetto civile.

Malattia temuta da sempre, descritta da Plinio, viene curata agli inizi del 1900 ancora con metodi superstiziosi e primordiali.

La spiegazione della malattia raggiunge elaborazioni tra le più colorite, dando la colpa ora alla umidità, ora ai terreni incolti, poi ai venti umidi, al troppo caldo, alla putrefazione delle erbe e addirittura alla mescolanza di acqua salata con quella dolce.

Quale ne sia la causa ipotizzata, tutti sono convinti che il male abiti nella "mala aria" e la celebre guida di Baedeker consiglia di non girare nei dintorni di Roma senza premersi le narici con il fazzoletto.

Nel 1900 già si conosce che è l'anofele l'origine della malattia e viene applicato il chinino come rimedio. Ma i pregiudizi a riguardo sono insormontabili e i malcapitati medici sono spesso costretti alla fuga precipitosa da padroni poco sensibili alla solidarietà.

I signori delle tenute non solo osteggiano la diagnosi di malaria ma scoraggiano i soli 10 medici destinati alla regione, sicché il loro lavoro è inutile e disprezzato.

È Angelo Celli, divenuto senatore del Regno, a imporre dopo durissime lotte il rispetto delle nuove leggi sulla "cura della malaria". La prima del 1900 istituisce l'azienda del chinino di stato e la seconda obbliga i proprietari alla distribuzione gratuita ai contadini.

Bizzarro e schizofrenico il cammino della malattia. Il primo segno è il freddo intenso e ossessivo, accompagnato da una estrema debolezza che bruscamente dopo qualche ora scompare; la persona sta quasi bene.

Un ruolo determinante, nella sindrome malarica, lo hanno le febbri che possono essere quartane se vengono un giorno sì e due no, terzane se vengono un giorno sì e uno no. Possono durare anni a questo ritmo discontinuo fino a diventare quotidiane o perniciose.

Dopo questa fase la fine giunge rapida e inaspettata. La febbre altissima muta le abitudini del malato, il fegato e la milza si ingrossano enormemente, rendendo la pancia gonfia e la pelle giallastra.

La fortuna è morire in fretta e per i parenti l'imperativo categorico è scappare quanto prima.

Lestraioli, carbonari e butteri ammalati vagano nella Palude finendo di morire in un fosso o in una grotta semidivorati dagli animali.

Nel 1538 viene fondata la Compagnia della Morte allo scopo di recuperare cadaveri nelle campagne.

Dal 1552 al 1899 sono raccolti ben 5000 cadaveri, per gli altri neanche la pietà e il rispetto della morte.

In questo scenario fatto di realismo rigoroso e documentato non possiamo ignorare un aspetto poco conosciuto del pianeta delle zanzare.

Quel mondo selvaggio e lugubre alle porte di Roma ha esercitato un fascino particolare su scrittori, artisti e pittori.

Il mistero delle Paludi Pontine dorme dimenticato non solo nell'immaginario collettivo ma sulle tele e sugli scritti di nomi tra i più celebrati della cultura europea.

Scrive l'onnipresente Gregorovius:
"Uscendo dalle ombre della foresta, l'aspetto di questo panorama è uno dei più belli che l'Italia presentì. Su di me ha prodotto un'impressione così forte che non ho trovato sul momento e neppure ora so trovare le parole adatte per esprimerla.Mi si era vantata assai a Roma la bellezza di questo colpo d'occhio e mi si era detto che non avrei potuto trovare nulla di più bello della traversata dei Monti Volsci e della vista di lassù delle Paludi Pontine e del mare. Nulla di più vero" (5).

Durante i secoli la Palude diviene un caso patologico e allo stato delle cose il suo destino è segnato. Lo sviluppo della tecnologia e la volontà di Mussolini danno vita ad uno dei più straordinari esperimenti di bonifica mai realizzati dall'uomo.

Un autentico terremoto ecologico sconvolge negli anni Trenta il panorama della Campagna Romana, un'impresa titanica presentata subito come geniale soluzione all'eterno problema delle Paludi.

Il tempo trascorso sempre più impone una riflessione su quel mondo cancellato, senza riguardi, con un colpo di spugna.

Settori ambientalisti e di ispirazione verde affermano senza mezzi termini che forse "è stata gettata l'acqua sporca ed anche il bambino che vi faceva il bagno".

Probabilmente la Palude è cancellata in maniera troppo drastica, facendone un capro espiatorio di colpe che in realtà non sono solo sue.

Il vastissimo bosco, esempio secolare e meraviglioso di macchia mediterranea, viene dicioccato e al paesaggio sono sovrapposti elementi nuovi e inautentici.

Migliaia di specie animali sono scomparse e il clima ha subito variazioni sensibili.

Così l'acqua, che pure è l'elemento più diffuso del paesaggio, non viene considerata un bene da proteggere ma da far sparire, incanalata in fossi di drenaggio.

I numerosi pozzi costruiti in seguito rischiano di provocare il fenomeno della subsidenza, cioè l'abbassamento del terreno per effetto dello svuotamento delle falde sotterranee, con il rischio di compromettere la scarsa pendenza dei canali e cagionare il ritorno alla palude.

Il nuovo paesaggio offre una immagine accentuata di ripetitività e di geometrismo e la soluzione della malaria più che alla bonifica viene attribuita all'abbondante ddt, generosamente offerto dalle truppe anglo-americane in occasione dell'ultima guerra.

In attesa di un sereno ripensamento culturale, necessario e doveroso, lasciando in sordina nostalgie e passioni, il pianeta delle zanzare vive incontaminato negli splendidi acquerelli di Duilio Gambellotti, Salomon Corrodi, Giovanni Costa, Carlo Coleman, Enrico Ortolanu, Pietro Barucci, Ettore Ferrari, Amedeo Bocchi, Clelia Bompiani, Mario Ciancia, Ettore Roesler Franz, Jorgen Valentin Sonne, Aristide Sartorio e Johann Jakob Frey.

Un album di ricordi di un universo amaro e selvaggio, cornice inquietante del vivere e del morire di tanti uomini dimenticati e senza nome.

Questa "memoria" non potrà scivolare mai sui sentieri del banale e quelle sofferenze rimarranno per sempre un monito per chi della vita umana fa gioco perverso di orrore e di potere.

 

NOTE

(5) GREGOROVIUS F. - Passeggiate per l'Italia - Roma 1906.

 



OPERA APPARTENENTE AL FONDO BIBLIOGRAFICO
"100 LIBRI PER NETTUNO"
AUTORIZZAZIONE PER LA PUBBLICAZIONE
CONCESSA DA GIOVANNI ALBERTI

Nessuna parte di questo libro può essere riprodotta e trasmessa in qualsiasi forma
o con qualsiasi mezzo elettronico, meccanico o altro senza l’autorizzazione scritta
dei proprietari dei diritti.