Clemente Marigliani
I primi anni, subito dopo la guerra, nel cinema italiano si diffonde il filone che va sotto il nome di neorealismo. Le pellicole di questo periodo sono caratterizzate dalla «comune ansia del vero, la fame di realtà, la ricerca di un modo nuovo di narrare il reale, cioè i disastri, le sofferenze, i problemi mai risolti del paese, ora visti con una diversa coscienza politica e ideale, con una volontà radicale di cambiamento, che saranno base e sostrato vitale dei film neorealisti e del loro carattere di violenta scoperta, non solo tecnico-formale».(1)
Il film di Augusto Genina (1892-1957), Cielo sulla palude del 1949, ebbe un discreto successo ottenendo numerosi riconoscimenti: premio O.C.IC., Venezia, 1949; premio internazionale per la regia, 1949; premio internazionale della Presidenza del Consiglio per il miglior film italiano, 1949.
La storia del film è ispirata alla famiglia Goretti che come molti altri contadini si era trasferita nelle campagne delle Ferriere, località di Nettuno, allo scopo di poter coltivare delle terre in una zona paludosa dove regnava la malaria e bisognava duramente lottare con una natura ostile per letteralmente strappare dei frutti a quelle terre. La condizione dei Goretti si fece particolarmente difficile quando il sei maggio 1900, veniva a mancare, colpito dalla malaria, il capofamiglia. Da quel momento, la piccola Maria Goretti diviene un sostegno insieme alla madre per la sua famiglia sino a quando Alessandro Serenelli il cinque luglio 1902 la pugnala a morte.
La critica di parte cattolica sottolinea che Cielo sulla palude, “oltre che un film biografico, è una sorta di documentario sulle Paludi Pontine nei primi anni Cinquanta: la vita dei contadini, la fatica dei campi, il ritmo delle stagioni, le epidemie di malaria, la miseria. La fotografia è estremamente curata e l’interpretazione buona e incisiva. Genina conosce l’arte di raccontare e il suo film sorprende per alcune sequenze di stupenda fattura, come quella in cui si vede maturare la decisione del delitto: quell’aia assolata, la terra piena di serpi e di salamandre, il giovane Alessandro inferocito che non riuscendo a soddisfare i suoi desideri accoltella per quattordici volte il corpo della piccola Maria”.(2)
Di opposto avviso la critica laica: «Genina si prestò a due operazioni di pesante propaganda cattolica Cielo sulla palude, 1949, Maddalena, 1954, la prima delle quali gabellata per neorealistica e che in realtà, al pari di certa narrativa, usava un naturalismo ottocentesco di miseria e desolazione contadina in chiave di soluzioni finto ingenue e confessionali».(3)
In verità le due critiche si annullano a vicenda, la prima appiattita su un’acritica agiografica, la seconda accecata da tale furore anticattolico da non consentirgli di vedere il film. Iniziarono col dire che la pellicola girata sui luoghi che furono teatro degli avvenimenti nel 1949 riproduceva uno scenario praticamente sovrapponibile a quello in cui Marietta aveva vissuto la sua esperienza. Le capanne, riprese nel film, nelle quali si accalcavano decine di persone, infestate dal fumo per cucinare e riscaldarsi, erano esattamente le capanne che si potevano vedere in quei luoghi alla fine degli anni Quaranta come le aveva descritte nel 1900 Angelo Celli (1856-1917) docente di igiene a La Sapienza dal 1890 che così le descriveva: «Queste capanne son fatte di paglia, canne di granturco, strame e piante secche. L’ingresso è un buco sotto il quale bisogna abbassarsi per entrare. In fondo vi sono nell’interno i giacigli, fatti da tronchi d’albero, coperti con paglia o pagliericcio e pochi stracci: attorno sono le scarse masserizie e i pochi oggetti d’uso; nel mezzo, sulla terra nuda, v’è il focolare che, quand’acceso, riempie di fumo tutta la capanna. Le galline ed altri animali domestici vivono qui dentro e da vicino».(4)
In secondo luogo ad una visione attenta non sarebbe sfuggito che il film si avvaleva della collaborazione artistica di Duilio Cambellotti (1876-1960) (5) scultore, scenografo e costumista del Teatro Stabile di Roma e del Teatro dell’Opera, ma, cosa più importante, uno dei massimi esperti di quel territorio che conosceva palmo a palmo e delle suggestioni rappresentate da tanti artisti della Campagna Romana. La scena della trebbiatura sembrava uscita da un quadro di Charles Coleman (1807-1874) (6) o di Enrico Coleman (1846-1911) (7) che la osservava nell’identico gesto nei primi anni del Novecento. La cura dei particolari nel film si vede sino alle scene finali con l’intervento dell’ambulanza (8) e della folla raccolta davanti all’Ospedale Orsenigo registrate nei luoghi e sul posto, a Nettuno, dove realmente Maria Goretti venne trasportata e morì. La rappresentazione dei luoghi, la scelta degli interpreti del film conferiscono a tutto l’insieme la visione di una realtà non manipolata ma semplicemente vera. La trasposizione così aderente all’interno della pellicola lo colloca a pieno titolo nel filone del neorealismo, altrimenti non si spiegherebbe all’interno di quella temperie cosa significhi ansia del vero. Una seconda considerazione merita la storia di Maria Goretti troppo spesso svilita sotto l’acribia laicista del povero assassino, povera contadina. Le critiche di soluzioni finto ingenue e confessionali dovrebbero essere considerate alla luce degli atti del processo di Beatificationis seu declarationis martyrii servae Dei Mariae Goretti (9), quegli atti gettano nuova luce sugli avvenimenti. Rimanendo ancorati sul puro piano dei fatti accaduti e delle testimonianze rese, ne viene fuori una ragazzina pienamente consapevole del barbaro atto che aveva voluto evitare, ma soprattutto capace di perdonare il suo assassino, atto, che ieri come oggi, risulta incomprensibile o peggio banale ai sapienti ed agli intelligenti in genere.
bibliografia
1 G. Fofi, M. Morandini, G. Volpi, Il neorealismo in “Storia del Cinema”, II, Milano 1990, p. 126.
2 (A cura di) T. De Rosa, Cielo sulla palude Audiovisivi S. Paolo.
3 G. Fofi, M. Morandini, G. Volpi, cit., p. 143.
4 A. Celli, Come vive il Campagnolo nell’Agro Romano, note ed appunti, Roma 1900, pp. 20 sg.
5 Vd. (A cura di) P.A. De Rosa, P.E. Trastulli, La Campagna Romana da Hackert a Balla, Roma 2001, p. 241.
6 Cfr. C. Coleman, A series of subjects peculiar to the Campagne of Rome and Pontine Marshes, Rome 1850.
7 Cfr. La Compagnada, cit., c. XCI.
8 Vd. A. Folchi, L’Agro Pontino 1900-1934, Roma 1994, pp. 60 s.
9 C. Salotti, Beatificationis seu declarationis martyrii servae Dei Mariae Goretti, Roma 1938.
|