Nel 1939, Giacomo Della Fornace, allora direttore amministrativo della Paramount, fu costretto dal governo italiano, in considerazione della situazione politica internazionale, a porre in liquidazione la società presso cui lavorava, essendo una società estera e, soprattutto, statunitense.
Da distributore di film, nello stesso anno, decise di diventare esercente cinematografico e prese in gestione le sale di Nettuno, Cinema Arena Italia, Cinema Sangallo e Cinema Giardino, ed a Orvieto la sala Palazzo e la sala Supercinema. Nello stesso tempo, ad Anzio, il cinema in piazza Garibaldi che apparteneva ed era gestito dalla famiglia Cosmelli.
Il cinema Arena Italia, a Nettuno, era anche Teatro e, dal 1939 al fatidico otto settembre 1943, il venerdì, il sabato e la domenica, vi si faceva avanspettacolo. Sul suo palcoscenico, in quel periodo, apparvero alcuni dei più grandi comici di quella particolare forma teatrale cui tanto debbono (ancora adesso), sia la rivista che il cabaret: voglio citarne solo alcuni: Cacini, Fanfulla, i fratelli De Rege, (riportati, poi fedelmente, sullo schermo televisivo e in teatro, da Walter Chiari e Carlo Campanili), i Bonos e i fratelli Tomas. In quegli anni, nonostante ci fossero allora al locale Poligono di artiglieria reggimenti di soldati, molti in procinto di partire, sembrava a tutti che lo scontro bellico fosse lontano e, forse, tutti cercavano di scacciarne l’idea; c’era appunto l’avanspettacolo e c’erano film italiani e cito per tutti: “La corona di ferro” di Alessandro Blasetti del 1940, che è stato il valido progenitore di tutti i fantasy moderni, da “Conan il barbaro” di John Milius dell’ormai lontano 1981, alle tre pellicole tratte da “Il signore degli anelli” di J.R.R. Tolken, alla lunga serie filmica, dedicata a Harry Potter, il maghetto creato nella letteratura da J.K. Bowling. Fatto curioso fu che, nonostante, le società di distribuzione inglesi e statunitensi fossero ormai chiuse dal 1939, il partito della propaganda fascista che, proprio nello stesso anno, aveva requisito tutte le pellicole, soprattutto americane, nel nostro Paese, decise di rimetterle sul mercato, senza il nome degli attori e degli autori e con un titolo diverso che non avesse niente a che fare con l’Italia: ad esempio “Le avventure di Marco Polo”, con Gary Cooper, divenne “Uno scozzese alla corte del gran Khan”!
Non mancavano anche film italiani di propaganda come “Giarabub” di Goffredo Alessandrini e “Bengasi” di Augusto Genina, entrambi del 1942, mentre, dalla Germania, arrivavano pellicole di una propaganda molto più sottile e perniciosa, quali potevano essere i nostri film di guerra in cui c’era l’italiano eroe e l’inglese nemico e vinto: una propaganda nella quale, narrando, ad esempio, la vicenda di un personaggio, inserito lontano nella storia, si provocava, negli spettatori meno preparati, una sorta di rifiuto totale nei riguardi del popolo ebraico che già dopo le leggi razziali del 1938, sopravviveva, a stento, in mezzo a soprusi di ogni genere. E l’esempio più eclatante tra questi film fu l’inquietante “Suss l’ebreo” di Vèit Harlan del 1940, ambientato nel secolo decimottavo, ma saturo di odio e di disprezzo contro gli ebrei verso cui Hitler stava iniziando il suo piano di “soluzione finale”.
Da questa breve disamina di ciò che l’avanspettacolo e il cinema potessero offrire al pubblico nettunese, soprattutto di militari, nel periodo precedente all’otto settembre 1943, si può capire perché le sale fossero sempre piene fino a quel tragico giorno in cui ci trovammo la guerra in casa. Non è questa la sede per narrare ciò che, storicamente, accadde: comunque Giacomo Della Fornace, con la sua famiglia, fu costretto a chiudere i suoi cinema e a trasferirsi a Roma.
Il ventidue gennaio del 1944, le truppe alleate sbarcarono a Nettuno e ad Anzio e le nostre due città dovettero subire la reazione dei Tedeschi che, sebbene avessero lasciato sguarnita la costa (fatto di cui non approfittarono gli alleati), il giorno dopo organizzarono una dura resistenza. Il quattro giugno 1944 le truppe angloamericane giunsero a Roma e, già il giorno dopo, Della Fornace era a Nettuno per vedere quale fosse la situazione delle sue sale, che trovò in condizioni rovinose, tranne, stranamente, il cinema Sangallo che, situato dietro l’omonimo Forte e di fronte al mare, avrebbe dovuto essere quello maggiormente danneggiato: probabilmente fu protetto dal Forte che Giuliano di Sangallo costruì, alla fine del secolo decimoquinto per Alessandro VI Borgia.
Giacomo Della Fornace, che tutti i nettunesi avevano cominciato a chiamare semplicemente “il commendatore”, al più presto rimetteva a posto le sue sale, a prezzo di inenarrabili fatiche, sia per trovare mano d’opera, sia economicamente.
Nel frattempo ad Anzio (tanto per non rimanere con le mani in mano e con il cinema di Cosmelli in Piazza Garibaldi completamente distrutto) il “commendatore” aveva aperto una piccola sala da circa duecento posti in via dei Fienili, in cui gli anziani poterono vedere alcuni film, entrati nella storia del cinema, come “Luci della ribalta” di Charlie Chaplin.
Alla fine del 1945, a Nettuno, tutte e tre le sale furono riaperte e al cinema arena Grande Italia (non più solo Italia!) si iniziò anche l’avanspettacolo.
Fatto interessante (e da considerare sociologicamente) è che il Sangallo, il Grande Italia (conosciuto, da sempre, dai nettunesi solo come l’Arena) e il Giardino avessero, pur con film simili, affluenze di pubblico diverse.
A parità di condizioni, i nettunesi preferivano, e finché ha funzionato hanno preferito sempre, l’Arena mentre il Sangallo andava benino e il Giardino, collocato nell’allora parte finale di via Romana, sopravviveva.
Ad Anzio intanto, la situazione si andava evolvendo. I tre fratelli Leoni, Pietro, Bruno e Montino, aprivano il Moderno mentre Giacomo Della Fornace che, nel frattempo aveva chiuso la piccola sala, in società con Mario Francisi e Ugo Savarese, creavano l’Astoria continuando a gestire l’Arena “Antium” .
Contemporaneamente a Nettuno, durante il periodo estivo, il Commendatore aveva messo in piedi altre due arene: una piccola, in via Santa Maria e l’altra, l’arena Ariston, più grande, dietro il Comune. Il grande impegno che ormai costituiva la piazza di Nettuno, spinse Della Fornace a lasciare la sala di Anzio per dedicarsi esclusivamente ai cinema nettunesi.
Dal 1945 al 1960 i cinema di Nettuno vissero un periodo d’oro: la produzione cinematografica era vastissima calcolando che, durante il periodo bellico, film americani non erano arrivati in Italia, per cui gli spettatori si trovarono dinanzi a pellicole diverse e tutte di grande successo, come il western “Ombre rosse” di John Ford (1939), l’avventuroso “Il segno di Zorro” di Rouben Mamoulian (1940), lo storico “I lancieri del Bengala” di Henry Hathaway, che era addirittura del 1935, il musical “Due ragazze e un marinaio” di Richard Thorpe (1944) o il drammatico “Bernardette” di Henry King (1943), sulla storia della piccola cui, a Lourdes, apparve la Madonna.
A proposito di questo film, chi scrive ha un ricordo che ancora adesso le dà tanta tenerezza. Alle proiezioni di “Bernardette” all’Arena, arrivarono molte vecchiette che forse, era la prima volta che entravano in un cinema; ma la storia delle apparizioni della Madre di Gesù alla contadinella analfabeta, le aveva spinte a venire. Ebbene, nella scena in cui Bernardette, in attesa della seconda apparizione della Madonna, recita il rosario e la gente che le è intorno risponde, quasi tutto il cinema partecipava vivamente, pronunciando anch’esso l”ora pro nobis” che proveniva dallo schermo.
I nettunesi, come del resto tutti gli italiani, accettarono anche i film di guerra hollywoodiani come, ad esempio, “Agguato sul fondo” del 1943 di Archie Mayo, forse perché, anche se l’Italia aveva combattuto contro gli USA, non ci fu mai un film che ci considerasse nemici: coloro contro cui gli americani, nel cinema, combattevano, o erano tedeschi o giapponesi. Anche l’industria cinematografica italiana “di cassetta” si risollevò. Ho la necessità di spiegare che i grandi film del nostro neorealismo da “Roma città aperta” di Roberto Rossellini a “Sciuscià” di Vittorio De Sica, non vennero ben accolti dal nostro pubblico perché, come afferma Carlo Lizzani in un suo libro, in queste opere gli italiani vedevano una realtà recentemente vissuta, che non volevano ricordare. La nostra cinematografia, si direbbe oggi nazional popolare, in quel periodo, si dedicò a vari filoni filmici di successo, come l’avventuroso (Aquila nera e Il diavolo bianco, entrambi di Riccardo Freda), il comico in cui si affermò il grande Totò (“Fifa e arena”, “Totò le Moko”, “Totò cerca casa”, ecc.), il drammatico “strappalacrime” (i capolavori del genere furono “Catene”, “Tormento” e “I figli di nessuno” di Raffaello Matarazzo) ed il letterario d’appendice che si riallacciava ai romanzi di Carolina Invernizio, da “La sepolta viva” a “Il bacio di una morta”.
Questi film, pur essendo esclusivamente commerciali, (anche se alcuni di buona fattura), contrastarono validamente il passo al cinema statunitense.
Tra il sessanta e il settanta, nella città di Nettuno avvennero fatti nuovi. Mentre il Sangallo veniva chiuso, veniva aperto il Roxy in piazza della Stazione da Ugo Barracchia, fuggito dall’Africa orientale ed i Leoni entravano nella piazza prendendo in gestione il Giardino che il Commendatore aveva lasciato.
Sempre nello stesso periodo Pietro Leoni, uno dei tre fratelli, cominciò con la disponibilità della società di distribuzione, a proiettare ad Anzio film in prima visione. Della Fornace e Barracchia, all’inizio, non si resero conto del pericolo di diventare, vista la vicinanza tra i due paesi, una “seconda visione” e, quando ne presero coscienza e tentarono di correre ai ripari, era troppo tardi. Anzio incassava di più (sic) e quindi toccava prima ad Anzio proiettare per primo i film!
Nel 1968, Della Fornace per motivi di salute, poi felicemente superati, lasciò il cinema Arena e le arene all’aperto a sua figlia Luciana e a suo genero Franco Fiammeri che, insieme col figlio dell’altro socio del Commendatore, Maurizio Francisi, risistemarono il cinema che divenne il Capitol e affidarono la programmazione a uno dei tre: Luciana Della Fornace. Fu il momento d’oro per il Capitol ma, purtroppo, si stava avvicinando la grande crisi del cinema e, quando il Commendatore, nel 1979, morì, a causa di questioni ereditarie il cinema venne venduto e scomparve. Il Giardino era ormai chiuso e il Roxy vivacchiava anche perché, invecchiando il signor Ugo, nessuno dei figli volle occuparsi del cinema che, dopo qualche tempo, venne preso in gestione dai Leoni e, nei primi anni del duemila, fu chiuso. Intanto ad Anzio, alla morte di Pietro che aveva preso in gestione tutti i cinema del paese, sorsero dei contrasti tra i figli ed i cugini del “sor Pietro”, che era ormai divenuto un’istituzione: contrasti che oggi, dopo infinite battaglie legali, si sono risolti in tale modo. Sandro, figlio di Pietro, ha l’Astoria (un multisala con due schermi), Bruno, fratello ultraottantenne di Pietro, gestisce il Moderno (quattro schermi); entrambi questi cinema sono nel centro anziate. Cesare, figlio di Montino, il terzo fratello di Pietro, è proprietario in località Padiglione, subito dopo la stazione di Lavinio (un posto dove, tanti anni fa, era impensabile potesse sorgere un cinema) della multisala Lido, con quattro schermi.
Praticamente Anzio, oggi, ha dieci schermi e Nettuno, anche se con maggiore densità di popolazione, nessuno.
E questo è un gran dolore per tutti i nettunesi!
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