Sulla spinta del "miracolo" economico italiano e di una sostanziale ridefinizione del suo ruolo nel sistema economico e territoriale della provincia romana, la città era straordinariamente cresciuta nell'ultimo decennio.
2.1 Popolazione
Dal 1961 al '71 la popolazione residente era aumentata di 5.000 unità, al tasso di sviluppo del 26.7%, contando 24.811 abitanti. Nello stesso periodo, la densità di popolazione era passata da 261 a 347 abitanti per km quadrato, con un aumento percentuale del 33%. L'intensivo sviluppo urbanistico del centro era andato in parallelo all'estensione territoriale dei nuclei abitativi dei quartieri decentrati e all'aumento delle case sparse nelle grandi proprietà immobiliari frazionate.
2.2 Sviluppo urbanistico e abitazioni
Rimanendo al dato delle abitazioni, occorre mettere in rilievo l'aumento del numero totale di abitazioni: dal '61 al '71 si passava da 5.199 a 9.111 abitazioni,
con una crescita percentuale enorme del 75.2%. Una dilatazione eccezionale che per di più si era avviata senza controllo e indirizzo, in assenza della pianificazione del territorio dettata dal Piano Regolatore Generale (P.R.G.). La prima decisiva fase dell'espansione edilizia si era realizzata tra le larghe maglie del "Programma di fabbricazione" e del Regolamento sanitario, dispositivi che disciplinavano l'edificazione, ignorando la programmazione urbanistica generale.
2.3 Breve storia delle procedure amministrative di adozione e approvazione del P.R.C.
La storia del P.R.G. di Nettuno iniziava nel 1960, quando l'amministrazione comunale bandiva il concorso nazionale per l'affidamento dell'incarico di redazione. Il concorso veniva vinto dall'architetto Sandro Benedetti e dall'ingegnere Pietro Samperi. Quattro anni più tardi, il P.R.G. in prima stesura veniva adottato all'unanimità dal Consiglio Comunale. Scattavano finalmente le misure di salvaguardia, ma il primo strumento di programmazione urbanistica di Nettuno suscitava polemiche e controversie violente che di fatto per molto altro tempo impedivano il suo perfezionamento nei piani particolareggiati e ne determinavano la non attuazione sostanziale. Esso veniva quindi respinto nel 1967, quando il Consiglio Comunale adottava un nuovo P.R.G., inviandolo al Ministero del Lavori Pubblici (Min. LI. Pp.), allora competente in materia urbanistica. Quest'ultimo rinviava il Piano al Comune chiedendone la rielaborazione in ordine al ridimensionamento e alla maggiore tutela delle aree verdi. Il Ministero contestava al Comune l'eccessivo dimensionamento ed il notevole carico insediativo, la carenza di verde pubblico nel centro e l'impatto eccessivo delle aree industriali nell'area boschiva a nord e della zona artigianale nelle vicinanze dell'abitato ad est. Il ridimensionamento delle aree insediative richiesto dal Ministero riguardava soprattutto la zona SI (agricola), che nel Piano di fatto dava impulso alla tendenza già consolidata al frazionamento e alla lottizzazione delle proprietà agricole, snaturando eccessivamente il territorio.
Il Comune così rielaborava in parte il P.R.G., adottandolo quindi nel 1970 ed inoltrandone nuovamente gli atti elaborati al Min. LI. Pp. l'anno successivo. Le modifiche introdotte venivano giudicate insufficienti dal Consiglio Superiore dei Lavori Pubblici. Il Comune deliberava le controdeduzioni al voto del ministero nella seduta di Consiglio Comunale del 28 luglio 1972 (delibera n. 100), respingendo le direttive sulla tutela del verde pubblico, sul sovradimensionamento e sulla zona agricola. Le ragioni addotte erano che lo sviluppo previsto della città, soprattutto attraverso il turismo, e la ripresa economica rendevano necessario lo sfruttamento edilizio del territorio indicato dal P.R.G. e che l'espansione nella zona SI era la "più logica ipotesi di sviluppo dell'attuale centro". Acquisendo la delega alla gestione del territorio, la Regione Lazio si sostituiva al Ministero nella controversia con il Comune di Nettuno, e chiudeva la questione non ammettendo deroghe sulle zone agricole e richiedendo quindi che le previsioni insediative fossero contenute il più possibile entro i 50.000 abitanti. Il P.R.C, iniziava ad avere la sua reale efficacia con l'approvazione della Giunta Regionale del Lazio il 22 maggio 1973, con delibera n. 568, alle seguenti condizioni e modifiche d'ufficio:
-villa Borghese: la zona ad est destinata a parco privato edificabilc, la zona ovest a parco privato inedificabile;
- ex villa Brovelli: la zona ovest destinata a verde pubblico, la zona est a contenuta urbanizzazione;
-Pineta di Torre Astura: destinata interamente a verde pubblico; Poligono di Tiro (già destinato a parco territoriale dal primo P.R.G.) destinato a zona militare;
-Zone S1 stralcio e annullamento di tutte le prescrizioni, in attesa furono vincolate con indice fondiario 0.03 mc/mq;
-Arteria di scorrimento veloce: modifica del tracciato (in zona SI e passante per la Caserma di P.S.) con spostamento verso nord.
2.4 II P.R.C, di Nettuno: breve analisi critica
Con le sue norme, le sue prescrizioni, i suoi divieti, con la progettazione complessiva della città e del suo sviluppo, il P.R.G. non rappresenta soltanto lo strumento di programmazione e coordinamento di tutti gli interventi edilizi pubblici e privati sul territorio, non costituisce esclusivamente il modello progettuale delle infrastrutture e del sistema della viabilità. Il P.R.G. enuncia lo schema generale del rapporto tra un territorio e i suoi abitanti, nelle dimensioni abitative, produttive e sociali e suggerisce le modalità e gli strumenti attuativi del Piano in relazione all'identità socio-economica rilevata e alla dimensione del tempo. La struttura con cui il P.R.G. organizza la morfologia del territorio, le strutture e l'edificato già esistente, le opere da realizzarsi, sono di fatto il volto fisico delle dinamiche e dei meccanismi complessivi con cui la città dovrebbe svilupparsi e funzionare.
Rispetto a questi elementi ideali, il P.R.G. di Nettuno presenta non poche lacune e debolezze.
In primo luogo, colpisce, anche un lettore poco attento e non specialista, la scarsa scientificità del quadro conoscitivo del Piano, anche se - occorre dire -l'inconsistenza dell'apparato scientifico di riferimento era un difetto comune nei piani regolatori generali del periodo in questione. La realtà del territorio e il volto della città vengono definiti soltanto in base all'osservazione empirica della sua consistenza. Mancano del tutto rilevamenti, indagini economi-che, demografiche, storiche, misurazioni obiettive dei fenomeni più rilevanti, come il traffico, gli andamenti e la tipologia delle presenze sul territorio nell'arco dell'anno, i dati statistici delle produzioni, dei flussi finanziari, sulla natura degli scambi col territorio circostante, le previsioni dell'evoluzione di tutte le variabili nel tempo.
Ora, quindi, se è vero che il processo di progettazione dello sviluppo della città si fonda sulla ricostruzione esatta della fisionomia generale del territorio, allora si deve riconoscere che il P.R.G. veniva elaborato ed approvato con un grave vizio genetico. Di conseguenza, le motivazioni delle scelte di Piano, degli obiettivi progettuali e dette norme attuative non sembrano scaturire direttamente dall'analisi della città, ma hanno l'aspetto di scelte a priori. Questa idea risulta peraltro confermata dalla relativa assenza e dalla evidente debolezza delle spiegazioni sul perché e su come funzionino e possano effettivamente realizzarsi le soluzioni proposte nel Piano.
La Relazione del P.R.G., inoltre, si limitava a definire il modello generale e gli obiettivi, a descrivere la strutturazione della città, non indicando invece le possibilità e le modalità attuative, la possibile formazione del processo di concretizzazione, i problemi economici e finanziari legati a questo stesso processo. Anche la normativa era piuttosto vaga dal punto di vista dell'attuazione, in quanto rimandava sostanzialmente tutto il territorio alla pianificazione particolareggiata, mentre la notevole ripartizione del Comune in zone, piuttosto che imporre regole all'espansione dell'abitato, apriva un vasto ventaglio di possibilità edificatorie. Fatto ancora più grave è la vaghezza normativa assoluta nella progettazione del sistema della viabilità, in quanto la struttura viaria veniva esplicitamente considerata lo strumento principale per la realizzazione del modello pianificato.
Infine, il Piano ignorava completamente il tempo nella programmazione e nelle proposte di intervento. La Relazione non indicava l'eventuale successione dei passaggi realizzativi, né suggeriva il più corretto procedere delle azioni sul territorio, escludendo così la dimensione fondamentale in cui si da ogni sviluppo ed attuazione.
2.5 II territorio: frazionamento, aggressione edilizia e sviluppo delle infrastrutture
II territorio in quegli anni aveva subito un capillare e deleterio frazionamento di estese proprietà agricole sulle quali sorgeva aggressivamente l'edilizia abusiva, con il carico enorme di problemi urbanistici tutt'oggi in gran parte irrisolti. Si profilava il volto dissonante della città diffusa, dell'habitat urbanoide, della campagna approssimativamente urbanizzata che è proprio della Nettuno contemporanea. Il boom edilizio dava il via allo sbriciolamento degli equilibri del paesaggio e della cultura materiale e con esso confondeva e disperdeva l'identità locale, l'antica e originale tradizione insediativa e civile sedimentata in secoli di storia: il solo piano su cui può costruirsi la crescita sostenibile di uno specifico territorio.
Tra le realizzazioni più rilevanti del periodo vorremmo segnalare l'impianto del porticciolo di IV classe e la costruzione del grattacielo e del complesso residenziale Scacciapensieri a Cretarossa. Quest'ultima opera venne cominciata nel 1964 e portata a termine 10 anni più tardi. Anche sulla spinta della nuova dimensione turistica assunta da Nettuno, il villaggio del grattacielo Scacciapensieri purtroppo diventava il perno di una frenetica attività di edificazione disordinata ed intensiva che avviava la costruzione del quartiere Cretarossa nella sua forma attuale.
Con la costruzione del porticciolo la scalinata che portava da piazza Cesare Battisti, di fronte al Municipio, alla Marciaronda veniva trasformata in rampa e diventava la radice d'innesto del molo ovest. Dalla scalea che congiungeva il lungomare Matteotti all'antemurale Dotti - appena dietro lo stabilimento balneare "Le Sirene" - partiva invece, parallelamente all'altro, il molo est. L'opera di costruzione delle prime dighe dava inizio però al fenomeno dell'insabbiamento. Di conseguenza verso la fine degli anni 70 si stabiliva di realizzare un terzo molo innestato al lato ponente della Marciaronda, di fianco allo stabilimento balneare "Vittoria", creando un avamporto e un secondo bacino esattamente sotto il borgo medioevale.
La travolgente espansione urbanistica aveva generato non una grande città, ma una città obesa, un agglomerato urbano incompleto ed inefficiente intorno a un'ossatura debole di trasporti, comunicazioni e servizi. Cominciavano a sorgere spazi residenziali privi di reale significato civile, allo stesso tempo rurali e urbani, volumi occupati da costruzioni omogenee ed omologanti, quando non scadenti ed improvvisate, centro di intensa mobilità privata, di diffusione di rifiuti e di inquinamento, che iniziavano ad accerchiare e marginalizzare il centro, a gravare sulle sue strutture ormai inadeguate ai nuovi bisogni complessivi.
Questa situazione limitava sensibilmente i benefici generali per il territorio prodotti dall'intesa opera di realizzazione di opere pubbliche intrapresa dall'amministrazione comunale in attuazione del P.R.G.. L'impegno finanziario e la capacità di attrarre flussi di capitale pubblico dimostrate in quel periodo dall'ente locale si scontravano con situazioni di fatto estremamente complesse, soprattutto dovute al peso delle zone d'espansione sul sistema territoriale dei servizi e delle strutture, notevolmente superiore a quello previsto nella pianificazione. Nel decennio '70 - '80, il Comune realizzava, avviava, promuoveva lavori pubblici importanti e creazioni di servizi e infrastrutture attesi da anni. La bonifica della zona del Parco Loricina portava contestualmente all'inizio dei lavori per il Parco e alla individuazione di un'area per l'edilizia popolare (87.000 metri cubi) in cui verranno accolte molte delle famiglie residenti nelle costruzioni della vecchia caserma Donati (sita nell'attuale piazza Berlinguer). Altre aree per l'edilizia popolare sbloccate dal Piano venivano edificate a San Giacomo (103.000 metri cubi) e nel quartiere di Cretarossa (71.000 metri cubi).
La lottizzazione convenzionata di Colle Paradiso del 1975 permetteva al Comune di ottenere un'area centrale e ben servita da destinare alla costruzione della tanto attesa scuola superiore di Stato, l'Istituto Tecnico Industriale "Luigi Trafelli", il cui funzionamento farà presto sentire i suoi benefici effetti sulla crescita del tasso di istruzione superiore nella città. L'edilizia scolastica comunale subiva una considerevole accelerazione, incrementando il numero delle scuole dell'obbligo sul territorio ed avvicinandole ai cittadini.
Nello stesso periodo, secondo la previsione degli snodi viari, veniva realizzata Piazza Cavalieri di Vittorio Veneto, davanti l'ospedale Barberini. Nel 1976, il Comune avviava i rapporti con la Impreinvest, società del gruppo FIAT, per il completamento dei lavori del porto, ormai fermi per carenza di fondi pubblici. Due anni più tardi, invece, partiva la bonifica igienico-sanitaria delle periferie, con l'estensione delle rete fognaria, mentre attraverso i finanziamenti disposti con la legge 868/73 era già stata realizzata la seconda fase chimica dell'impianto cittadino di depurazione. P
Questa intensa attività di creazione di nuovi servizi e infrastrutture si accompagnava anche ad un consapevole sforzo di ampliamento del patrimonio comunale. Da segnalare in tal senso l'acquisto dell'edificio della "Divina Provvidenza", avvenuto nel 1975, un atto importante che non solo accresceva la consistenza delle proprietà comunali, ma permetteva al Comune di Nettuno di aprire ancora nuovi servizi pubblici importanti, come l'unità sanitaria locale. Da ricordare infine nel decennio '70 - '80 anche le costruzioni di strutture destinate allo sporte al tempo libero, come l'impianto di Cretarossa e quello di S. Barbara.
Il potenziamento e l'estensione delle infrastrutture interveniva tuttavia su un capitale sociale ed economico relativamente inadeguato a coglierne interamente gli stimoli e a sostenerne la crescita e la valorizzazione ulteriore. A ciò si sommavano i negativi effetti della lontananza dei poli di sviluppo industriale e l'inefficienza del sistema dei collegamenti che avrebbero dovuto mettere i nuovi centri produttivi, creati con l'intervento della Cassa per il Mezzogiorno lungo la Pontina e sulla Nettunense, in relazioni significative con la città di Nettuno. Questi distretti industriali finirono così per rappresentare soltanto poli d'attrazione per il collocamento di parte della forza lavoro della città, senza riuscire ad essere motori per lo sviluppo della piccola impresa e del settore dei servizi.
I flussi di investimenti pubblici dirottati su Nettuno non ebbero così la stessa redditività manifestata dai collocamenti di denaro in territori economicamente più vivi e finanziariamente meno bloccati su settori improduttivi, come il pubblico impiego, o addirittura parassitari, come l'edilizia privata.
2.6 Le implicazioni economiche dello sviluppo edilizio
Lo sviluppo dell'edificato e l'affermazione di Nettuno tra le città a più alta concentrazione urbana, suburbana e turistica della provincia romana avevano infatti innescato una serie di complessi e problematici fenomeni d'ordine economico, tutt'ora in qualche modo operanti. I fortissimi incrementi della rendita fondiaria e quindi i facili guadagni che si realizzavano lottizzando, acquistando e vendendo terreni, facevano crescere a ritmi vertiginosi la domanda di suolo edificabile a fronte di una offerta via via più limitata e rendevano l'attività immobiliare più lucrativa di qualunque altra e perciò largamente praticata. Le utilità collettive offerte dal territorio, in termini di risorse ambientali e di infrastrutture pubbliche, si erano conscguentemente trasformate in valori appropriabili soprattutto dai de-tentori e dagli intermediari della rendita fondiaria. In tal modo veniva premiato e incentivato il capitale non direttamente produttivo a detrimento degli investimenti e delle figure sociali produttive, incoraggiando famiglie e imprese a investire nel settore immobiliare, anche quando esso si dimostrava, oltre che economicamente parassitario, addirittura deleterio per lo stesso territorio che ne aveva promosso la valorizzazione. Erano stati l'ambiente locale, il paesaggio, il mare, l'antica forma insediativa, la storia a dare valore al territorio di Nettuno, a trasformarlo in un ricco patrimonio immobiliare e proprio in questo nuovo valore si nascondevano le minacce più pericolose per i beni ambientali di Nettuno, il capitale economico più sostanzioso per la nostra città.
L'assorbimento quasi esclusivo degli investimenti nel settore edilizio comportava inoltre una cronica carenza di capitali per lo sviluppo degli altri settori produttivi, nel momento in cui era invece relativamente facile affermare nuove imprese. Questa probabilmente è una delle ragioni della debolezza e della dipendenza del sistema economico nettunese attuale. Non solo, la confusa, diffusa, ed estesa crescita edilizia ingigantiva le spese dell'amministrazione locale nel settore dei lavori pubblici e costringeva il Comune ad impegnare fette consistenti della spesa verso la realizzazione e la manutenzione di servizi e strutture - di opere di urbanizzazione - la cui localizzazione rispondeva principalmente a interessi di pochi privati, certamente non coincidenti con quelli di un uso razionale dello spazio pubblico, e la cui messa in opera contribuiva in aggiunta alla valorizzazione ulteriore della stessa speculazione edilizia. La natura di questo impegno finanziario (costruzione e manutenzione di strade, illuminazione, sistema delle acque reflue, ecc.) era per di più permanente ed ha gravato in maniera duratura sui bilanci comunali, limitando pesantemente la possibilità degli investimenti dell'ente locale per il miglioramento delle strutture esistenti e dei servizi erogati, la realizzazione di nuove opere pubbliche e l'attivazione di altri servizi utili alla cittadinanza.
I dati sulle abitazioni del censimento ISTAT 1971 evidenziavano comunque una notevole crescita economica delle famiglie nettunesi, un netto aumento della qualità abitativa e del benessere familiare e privato. Le abitazioni diventavano più confortevoli. Nel 71, l'85.6% di esse era finalmente dotato di un bagno, contro il 40% di dieci anni prima, quando la gran parte delle abitazioni disponeva della sola latrina. Mentre l'impianto fisso di illuminazione elettrica era presente nel 97.1% degli alloggi, contro una presenza del 92.6% di dieci anni prima. Rispetto al '61, rimaneva invece pressoché invariato il numero di stanze prò capite, ad indicare che lo sviluppo edilizio aveva soprattutto soddisfatto la domanda di nuovi i alloggi residenziali legata alla crescita demografica e non era stato sollecitato, come accadrà in seguito, dall'investimento familiare nella "seconda casa".
2.7 Istruzione e occupazione
Lo sviluppo confuso e problematico che Nettuno aveva conosciuto negli anni '60 risaltava con evidenza nei dati sull'istruzione, indici tra i più significativi per la misurazione della crescita di un territorio. Pur attestandosi solo allo 0.8%, la percentuale di laureati sulla popolazione residente era sensibilmente cresciuta. Un lieve incremento subiva anche il tasso di diplomati, passando al 5.5% e della licenza media, arrivato finalmente al 15%. Comparati con i dati provinciali, nazionali e di altri comuni, tuttavia, questi indici dimostravano crudamente la persistenza del ritardo culturale che ancora oggi penalizza Nettuno, anche nei confronti dei comuni confinanti, riflettendosi negativamente sull'efficienza generale del suo sistema socio-economico (si veda la tabella nella pagina seguente)
La notevole discrepanza tra il tasso di crescita demografica, del numero e della qualità delle abitazioni e il quoziente di incremento del livello di istruzione inquadrava con Marezza una delle molte anomalie e dei gravi squilibri dello sviluppo nettunese: la generale sottovalutazione del valore - anche economico e materiale - dell'investimento nella conoscenza e nella formazione; un elemento purtroppo ancor oggi gravemente trascurato sul territorio.
Questo dato controverso si rispecchiava nella composizione percentuale della popolazione attiva, una disposizione relativa poco proporzionata e strutturata ancora in maniera piuttosto antiquata. Una cospicua percentuale era ancora impiegata nelle costruzioni, il 18.5% della popolazione attiva contro il 10.8% della media nazionale. La forza lavoro nell'agricoltura aveva subito una forte contrazione, scesa all'11.8%; mentre restava ragguardevole la percentuale di impiegati nella pubblica amministrazione, il 18.4% della popolazione attiva, quasi il triplo della media nazionale (6.4%). Al contrario piuttosto scarso era il tasso di impiegati nel settore avanzato dei servizi, il 6.7%, contro l'11.8% della media italiana.
Anche i dati sulla posizione nella professione della popolazione attiva rivelavano il profilo modesto del sistema economico e produttivo nettunese. Nel 1971, a Nettuno era presente solo lo 0.8% di imprenditori e liberi professionisti, mentre i lavoratori dipendenti costituivano il 64.7% della forza lavoro totale. Erano percentuali che denunciavano chiaramente la limitatezza del livello medio di impiego nella città. Gli stessi dati per Anzio indicavano il 2.2% di imprenditori e liberi professionisti, più del doppio dello 0.8 nettunese, e 55.7% di dipendenti: un raffronto di per sé estremamente eloquente. |