La fontana del dio Nettuno
in piazza del Mercato |
In Italia la prima cooperativa veniva fondata a Torino nel 1854, la Società degli operai di Torino, che apriva un "magazzino di previdenza" per far fronte agli effetti di una disastrosa carestia agricola e al conseguente rincaro dei prezzi dei generi alimentari. A due anni di distanza nasce l'Associazione artistico-vetraria di Altare, in provincia di Savona, la prima cooperativa italiana di produzione e lavoro, fondata da ottanta artigiani "senza lavoro e senza capitale, con la sola ricchezza della loro arte".
Dopo la nascita del Regno d'Italia, nel 1861, il movimento cooperativo si propagava rapidamente in tutto il paese, specie nel Settentrione, nelle regioni e nelle città a più intenso sviluppo capitalistico. Sorgevano quindi un po' ovunque società di mutuo soccorso; spacci cooperativi nelle fabbriche, tra gli impiegati, promossi dalle chiese, cooperative di consumo delle più diverse categorie di lavoratori; cooperative di lavoro e produzione di artigiani, muratori. Dalle città, subito dopo, il movimento cooperativo si estendeva anche alla compagne, con la costituzione e lo sviluppo di numerose e articolate iniziative: cantine sociali; forni rurali; case del popolo, dove allo spaccio a buon mercato si affiancavano spesso le attività ricreative e servizi di istruzione e formazione; consorzi agrari, per l'acquisto di attrezzi, sementi e concimi; cooperative per la conservazione e la distribuzione di prodotti agricoli e frutta fresca; cooperative di lavoro bracciantile; affittanze collettive, per la conduzione cooperativa di vasti terreni agricoli.
Fondamentale nello sviluppo del movimento cooperativo italiano, come del resto per la cooperazione a livello mondiale era, però, la cooperazione di credito. Lo sviluppo del capitalismo, infatti, aveva imposto la necessità di capitali maggiori anche agli operatori economici più modesti, proprio quelli che venivano scarsamente considerati dal sistema creditizio dell'epoca.
La struttura della cooperazione di credito veniva definita verso la metà dell'Ottocento in Germania, nell'opera di Hermann Schulze-Delitzsch (1808-1883) e di Friedrich Wilhelm Raiffeisen (1818-1888). Il primo dava vita nel 1852 alle società di credito popolare, le Banche Popolari; il secondo fondava il movimento delle Casse Rurali.
2.1) Le Banche Popolari
La vecchia stazione anni trenta |
Schulze-Delitzsch aveva giustamente compreso che le sofferenze economi-che delle categorie e delle imprese produttive minori potevano essere affrontate efficacemente soltanto un nuovo accesso al credito. Le piccole imprese, le società a conduzione familiare, i piccoli artigiani e le stesse cooperative, infatti, a causa della loro cronica carenza di capitali e di capacità di investimento, erano spesso costrette a soccombere alla maggiore forza concorrenziale o alla deliberata aggressione economica delle imprese capitalistiche. Occorreva pertanto favorire l'accesso al credito e il finanziamento alle realtà produttive più modeste, mettendo a punto un sistema capace di concedere piccoli prestiti, a breve scadenza e a miti interessi. In vista di questo obiettivo, Schulze-Delitzsch fondava dal 1852 al 1855 varie casse di partecipazione che immediatamente si diffondevano numerose in Germania e poi all'estero, diventando una realtà importante del sistema finanziario europeo.
Le società di credito di Schulze-Delitzsch funzionavano in base ad alcune norme fondamentali:
1) per ottenere un prestito occorreva essere soci e concorrere quindi al sostegno della società;
2) il concorso alla società doveva essere anche morale ed intellettuale, non soltanto materiale;
3) doveva essere istituito un fondo per la gestione sociale attraverso versamenti in denaro dei soci, contributi a scadenza fissa, prelievi sui profitti;
4) i soci assumevano in solidi la responsabilità per assolvere agli impegni sociali e statuali;
5) le società dovevano essere aperte all'ingresso di nuovi soci.
La prima banca cooperativa italiana nasceva a Lodi, il 28 marzo 1864. Il credito popolare si diffondeva poi con relativa rapidità, tanto che nel 1893 si contavano 730 Banche Popolari. Tra i maggiori artefici di questa espansione vi era Luigi Luzzatti, uno dei padri della cooperazione italiana, eminente politico liberale e primo ministro italiano nel 1910.
La base sociale della banca popolare era assai composita, comprendendo tanto l'artigiano, il commerciante, il piccolo imprenditore, l'agricoltore, quanto l'agrario e il grande industriale. Questa eterogeneità del corpo sociale conduceva le banche popolari a perdere in parte gli ideali mutualistici ai quali originariamente di ispiravano le società di Schulze-Delitzsch, assumendo criteri di conduzione aziendali ed inserendosi nel mercato finanziario delle grandi banche.
2.2) Le Casse Rurali
La Chiesa di San Rocco anni venti |
Diversa, da questo punto di vista, doveva essere l'evoluzione delle Casse Rurali. Nate nelle campagne e modellate sulla struttura sociale e sulla cultura rurale, maggiormente radicata nel territorio, le Casse Rurali, rispetto alle Banche Popolari, erano caratterizzate da una maggiore omogeneità sociale e la loro dimensione permetteva una più intima coesione dei soci e un più profondo legame con la comunità locale. Nelle sue origini, inoltre, il movimento delle Casse Rurali traeva sostegno spesso più da sentimenti filantropici e morali che da obiettivi d'ordine economico. Ciò darà alla Casse Rurali un'impronta molto diversa da quella propria del resto del movimento del credito cooperativo.
La prima Cassa Rurale, prototipo di ogni altra successiva, veniva fondata da Raiffeisen nel 1849, nella Prussia Renana: la Società di assistenza di Frammersfeld per il sostegno dei contadini poveri. Essa era originariamente una istituzione di assistenza e beneficenza patrocinata dai facoltosi del comune. Successivamente, Raiffeisen si convinceva che il principio della carità cristiana e delle elargizioni non sarebbe mai stato in grado da solo di emancipare le classi sociali più povere, in quanto le rendeva inclini alla passività e al fatalismo. Occorreva quindi sostituire al principio dell'assistenza quello del mutuo soccorso, attraverso l'istituzione di forme associative, con le quali i soci avrebbero potuto far fronte ad esigenze materiali e a condizioni di bisogno unendo le loro forze economiche. Queste società così permettevano di avere prestiti a basso tasso di interesse agli agricoltori che non riuscivano ad ottenere finanziamenti dalle banche. I rischi del finanziamento venivano ridotti circoscrivendo l'azione della cooperativa ad un territorio limitato, in modo che ciascun richiedente risultasse conosciuto agli altri, per la sua posizione economica e per la correttezza morale. Il prestito veniva quindi concesso soprattutto sulla base della fiducia accordata al richiedente dai soci e coperto dalla loro responsabilità solidale e illimitata. Altra differenza rispetto alla Banche Popolari era la modesta entità della quota associativa, che permetteva anche alle persone più povere di entrare a far parte del sodalizio e di beneficiare delle sue funzioni.
In Italia la prima Cassa Rurale veniva fondata da Leone Wollemborg nel 1883 a Loreggia, in provincia di Padova, con una trentina di soci e il sostegno del parroco del paese, che ne fu il vicepresidente. Nel 1886, Wollemborg ne aveva già fondate 27, con il patrocinio dei comitati agrari del Veneto e del Friuli.
Nel 1892 esistevano già 70 Casse Rurali, ma dal 1894-1895, soprattutto per l'intensa e capillare iniziativa dei cattolici, esse ebbero un incremento annuo di oltre cento unità. Dalla provincia di Padova e di Vicenza esse si estendevano alla Toscana, poi in Lombardia, nella provincia di Parma, nell'alto Veneto ed anche in Sicilia.
2.3) Le Casse Rurali Cattoliche
Piazza Umberto I (primi '900) |
Dal 1892 cominciavano a costituirsi le Casse Rurali cattoliche, riunite in federazioni diocesane. Alla fine del secolo, quando veniva fondata quella di Nettu-no, la Cassa Rurale era senza dubbio la manifestazione più concreta ed importante dell'iniziativa sociale dei cattolici nelle campagne: nel 1897 a fronte di 125 Casse Rurali liberali ne esistevano 779 cattoliche. Il clero locale, come nel caso della nostra Cassa Rurale, aveva svolto una funzione decisiva nella loro fondazione.
Un impulso determinante a questa straordinaria accelerazione del credito cooperativo cattolico era stato dato dall'enciclica Rerum Novarum (Di cose nuove) di papa Leone XIII, emanata nel 1891. In essa veniva esposta la dottrina sociale della Chiesa in forma compiuta e organicamente delineata: un progetto assai articolato che, sulla base dei principi cristiani, formulava una serie di soluzioni per i problemi sociali, etici, economici e politici posti dalla moderna società industriale capitalistica.
Con la Rerum Novarum il papato assumeva un atteggiamento di iniziativa, di sollecitazione e di proposta attiva, con il superamento della tradizionale mentalità e azione caritativa della Chiesa e auspicava uno sforzo organizzativo e collettivo che, andando oltre l'attività dei singoli o dei piccoli gruppi, riuscisse ad incidere sulla stessa realtà socio-politica dei vari paesi a livello mondiale. Il pontefice evidenziava prima di tutto il peggioramento della condizione dei proletari, ridotti ad uno stato "meno che servile". Esprimeva quindi una dura condanna al capitalismo, colpevole di imporre la regola della libera concorrenza con la quale si finiva per sacrificare i deboli ai forti, gli uomini alla produzione, la vita e i suoi valori al profitto, e nella quale inevitabilmente si sanciva il predominio dell'egoismo individuale e della lotta di tutti contro tutti. Leone XIII contestava poi il principio che si potesse lasciare unicamente alle leggi del mercato il compito di stabilire il livello dei salari degli operai: secondo le parole dell'enciclica, ciò significava trattare il lavoro, necessario al sostentamento del proletario, come una mercé, e il lavoratore come un oggetto, privandolo della sua stessa dignità umana.
Non minori, comunque, erano, secondo il cattolicesimo sociale della Rerum Novarum, i peccati del socialismo. Quest'ultimo, nell'ottica cattolica, sembrava semplicemente sostituire l'egoismo individuale con l'egoismo di classe, ed in più era reo di ateismo, incitava alla violenza della lotta di classe e della rivoluzione, e denunciava la proprietà privata come un abuso, proponendo l'altrettanto inaccettabile proprietà collettiva e statale.
Le Sirene anni trenta |
Leone XIII indicava un terza via, prospettando la conciliazione dei conflitti tra capitale e salariati sotto l'egida morale della Chiesa, la costruzione di una società organica capace di armonizzare le classi - membra di uno stesso corpo sociale -, fondata sulla solidarietà, la gerarchia e la collaborazione tra le diverse componenti della popolazione. Auspicava quindi, da un lato tutte le iniziative legali volte a tutelare gli operai e le loro famiglie, non escluse le associazioni e le cooperative dei lavoratori, e, dall'altro lato, l'adozione da parte degli Stati di misure di protezione e sostegno dei ceti più deboli, ma anche di provvedimenti per mantenere l'ordine sociale e la pubblica tranquillità (per esempio, nei riguardi degli scioperi, definiti dal pontefice "sconcio grave e ricorrente").
In vista della realizzazione di questa società armonica, il cattolicesimo sociale poteva contare sulla capillare struttura della Chiesa cattolica e sul laicato che vi ruotava intorno, dando vita in breve ad una fitta rete di istituzioni assistenziali, as-sociative, creditizie, società di mutuo soccorso, circoli ricreativi, educativi, cooperative di produzione e consumo, erigendo numerose strutture per il credito come appunto le Casse Rurali.
Via della Mola dopo i bombardamenti |
Il sacerdote veneto Don Luigi Cerutti fu colui che meglio raccoglieva e poneva in pratica l'appello di Leone XIII, dedicandosi ad un'opera di intensa propaganda ed organizzazione per il movimento delle Casse Rurali cattoliche. Altra figura dominante del nascente movimento italiano delle Casse Rurali cattoliche era don Luigi Sturzo, futuro fondatore del Partito Popolare Italiano e socio fondatore di numerose Casse Rurali in Italia. All'azione pratica Sturzo associava una intensa ed autorevole partecipazione al dibattito teorico sul credito cooperativo, sostenendo con lucidità e passione il ruolo della Casse Rurali per il miglioramento delle condizioni di vita dei più poveri e la necessità dell'impegno dei religiosi in questo campo. Scriveva ad esempio nel 1899: "il piccolo credito è quello che può dare alle nostre popolazioni di piccoli commercianti e industriali una salute nella crisi spaventevole che c'incombe e nell'usura che ci domina. Si deve trovare il modo di fare affluire i piccoli capitali a quegli agricoltori, operai e commercianti che per difetto di capitale devono cessare dal lavoro [...] o ricorrere all'usuraio per finire in mezzo ai debiti, nella bancarotta e nella miseria."
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