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UNA REGINA SEDUTA SUL MARE
di ALBERTO SULPIZI

 

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01 PESCANDO NELLA STORIA - 02 LA CARTOLINA - 03 NETTUNO IN CARTOLINA - 04 IL BORGO - 05 IL DIO NETTUNO, PIAZZA MAZZINI ...LE ALTRE PIAZZE - 06 IL FORTE SANGALLO - TORRE ASTURA - 07 IL MUNICIPIO E LA PASSEGGIATA - 08 LA COSTA, LE SPIAGGE E I VILLINI - 09 LEGGERE, SCRIVERE E FAR DI CONTO - 10 TRASPORTI - 11 MILITARIA - 12 FEDE E TRADIZIONE - 13 PLATEA IN PIEDI - 14 LA POSTA 15 RISTORANTI ED HOTEL - 16 LA NEVICATA DEL ‘56 - 17 QUARTIERI, FRAZIONI, PERIFERIE - 18 I GEMELLAGGI 19 MISCELLANEA - IL DIALETTO NETTUNESE - VOCABOLARIO NETTUNESE-ITALIANO

 

Il dialetto nettunese

 

Il dialetto è un insieme di forme linguistiche che vengono praticate in zone geograficamente limitate. Non è una derivazione dell’italiano, ma una lingua di pari dignità all’italiano, cioè al toscano, che si è evoluta parallelamente a questo, direttamente dal latino. In Italia, dialetti e lingua si trovano sullo stesso piano; riflettono tradizioni e culture specifiche, possiedono un lessico e una grammatica. L’unica vera differenza sta nella diversa estensione: il dialetto è parlato in un’area di minor estensione rispetto alla lingua. Un valore particolare al dialetto è stato attribuito solo in tempi recenti riconoscendogli il valore di bene culturale prezioso da tramandare. Si deve recuperare la parlata locale, la storia è il vissuto di un popolo e fanno parte di esso i costumi, le abitudini, le tradizioni e soprattutto il linguaggio che in una piccola comunità si identifica con l’uso del dialetto. L’Italia è uno dei paesi più ricchi di dialetti nel mondo, conoscerlo è sinonimo di ricchezza culturale.
Pubblichiamo alcuni brani di articoli che il Caffè, rivista sensibile alla storia e alla ricerca dei dialetti romani e pontini, ha pubblicato nel corso degli ultimi anni. Tenteremo poi di presentare un primo elenco di vocaboli nettunesi sperando che in futuro possano diventare un vocabolario nettunese–italiano. Per questo lavoro ha dato un contributo decisivo Gianni Capobianco, la voce di Nettuno, cantore, poeta, studioso di cose nettunesi, conoscitore di vocaboli, modi di dire e proverbi della perla del tirreno. Ha raccolto in due cd musicali tante sue canzoni, arrangiate come sempre dal maestro Enrico Meloni: Souvenir e Il folclore. Espongono con dovizia di particolari la storia e la
bellezza della nostra cittadina e sono entrate a far parte finalmente del patrimonio culturale della città dando alla voce di Nettuno quel ruolo di custode della cultura e del dialetto nettunese mai in discussione. Pubblichiamo a fine capitolo Nettuno, vero inno della città ed il brano O mia Nettuno da cui è tratta la frase che da il titolo al libro: Una regina seduta sul mare.

Anzio e Nettuno: città vicine, idiomi diversi. Le parlate di mare.
Anzio nel medioevo subì un periodo di oscuramento, a causa delle distruzioni e dei saccheggi dei pirati saraceni: gli abitanti si rifugiarono nell’entroterra e nella fortificazione costruita attorno al tempio del dio Nettuno. Il promontorio si ripopolò nel settecento per opera di Papa Innocenzo XII e il primo nato a Porto d’Anzio si registrò nel 1761. Le prime famiglie che si reinsediarono nella zona del porto venivano da Gaeta e dalla riviera Campana (Procida, Torre del Greco, ecc…). Per questo Anzio non possiede un vero e proprio dialetto.
La parlata locale è un romanesco infarcito di contaminazioni campane e del basso Lazio. Questo idioma locale si sta praticamente estinguendo insieme alla generazione più anziana, che era costituita da pescatori.
Ciò che ne rimane infatti è proprio il gergo dei pescatori locali costituito da termini tecnici inerenti alla pesca e alle denominazioni del pesce che si pesca in zona.
Così, ad esempio se andate a comprare il pesce ad Anzio, chiedete pure un chilo di maccarelli, se volete degli sgombri, e qualche rancefola, per la granseola o magari un bel bronco, se vi piace il gustoso grongo. Altri esempi: i granci, i granchi; la tremola, la torpedine; la marmora, la mormora.
La pronuncia si distingue per alcune consonanti molto marcate che si trasformano nelle omologhe consonanti dure: la G per la C, la D per la T, ecc…
Alcune forme tuttora in uso sono riprese direttamente dal romanesco: ad esempio venghi per vieni, o quer anziché quel o quello.
A Nettuno, invece, esiste un vero dialetto e differisce molto da quello che rimane del dialetto anziate. Questo perché, pur avendo ugualmente inflessioni e vocaboli tipici del romanesco, essendo gli abitanti di origine autoctona ha più assonanze con i dialetti dei castelli o del basso Lazio.
Come in alcuni casi di inversione del verbo ausiliare: ad esempio jo so’ detto invece dell’italiano gliel’ ho detto o dell’anziate joo’ detto.Tre soli chilometri di distanza e due idiomi quasi completamente diversi ( Il Caffè’, del 9/22 settembre 2004, n°57, di Paola Bonanni ).
Per quanto riguarda l’area dei castelli romani invece è più corretto parlare di dialetti al plurale e non di dialetto unico, come sostiene Federica Cerretti, laureatasi in studi linguistici e filologici con tesi sui testi dialettali genzanesi.
All’interno dei castelli possiamo individuare due aree dialettali diverse: una fa riferimento alle zone di Ariccia, Castel Gandolfo, e Albano, più vicina alla capitale e dunque da questa più influenzata. L’altra fa capo a Genzano, Lanuvio e Nemi, che invece ha subìto l’influenza del cosiddetto dialetto mediano, vale a dire un dialetto dell’Italia centrale, specie della bassa Umbria, dell’Abruzzo aquilano e delle Marche meridionali. Questi tratti differenziano e allontanano il dialetto genzanese da quello più propriamente romano. Un esempio: ad Ariccia si dice o cane, o gatto mentre a Genzano, u cane, u gattu. Inoltre a Velletri la notevole distanza da Roma ha fatto in modo che l’area campana esercitasse una certa influenza linguistica sul comune velletrano.
Spostandoci dai castelli all’agro pontino in particolare a Cisterna, a due passi da Nettuno, vediamo che la storia della lingua è la storia del territorio, e la varietà di dialetti presenti a Cisterna emblematicamente ne rappresenta le sue vicende, fatte di ripetute ondate migratorie dovute alla transumanza, alla bonifica, ll’insediamento delle grandi industrie negli anni ’70.
Il risultato? Tanti dialetti e nessun dialetto. Il cisternese doc, infatti, è pressochè del tutto perduto, soppiantato da una sintesi delle parlate delle varie etnie insediatesi dal dopoguerra ad oggi. Caratteristico del cisternese era il suono piuttosto aspro e duro, ritmato da accenti e parole tronche, con frequenti elisioni ed apostrofi.
Termini tipici erano jo,’ chisso, chìo. (curiosamente tipici anche di Nettuno n.d.r.). La riuscita integrazione tra diverse etnie e l’originaria popolazione cisternese nonché l’influenza esercitata dai mass-media e la scolarizzazione, hanno portato all’abbandono dei vari dialetti verso un uso medio o standard della lingua con termini italiani ma con una cadenza che ricorda le lontane origini, seppure anche questa oggi risenta dell’influenza romana dilagante in tutto il centro Lazio, in particolar modo nelle città direttamente collegate alla Capitale come Cisterna, tramite la linea ferroviaria, l’Appia e la Pontina ( Mauro Masi, Il Caffè, n.57, settembre, 2004).

 


 

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ALBERTO SULPIZI

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