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UNA REGINA SEDUTA SUL MARE
di ALBERTO SULPIZI

 

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01 PESCANDO NELLA STORIA - 02 LA CARTOLINA - 03 NETTUNO IN CARTOLINA - 04 IL BORGO - 05 IL DIO NETTUNO, PIAZZA MAZZINI ...LE ALTRE PIAZZE - 06 IL FORTE SANGALLO - TORRE ASTURA - 07 IL MUNICIPIO E LA PASSEGGIATA - 08 LA COSTA, LE SPIAGGE E I VILLINI - 09 LEGGERE, SCRIVERE E FAR DI CONTO - 10 TRASPORTI - 11 MILITARIA - 12 FEDE E TRADIZIONE - 13 PLATEA IN PIEDI - 14 LA POSTA 15 RISTORANTI ED HOTEL - 16 LA NEVICATA DEL ‘56 - 17 QUARTIERI, FRAZIONI, PERIFERIE - 18 I GEMELLAGGI 19 MISCELLANEA - IL DIALETTO NETTUNESE - VOCABOLARIO NETTUNESE-ITALIANO

 

19 - MISCELLANEA

 

... gli eroi son tutti giovani e belli...
La locomotiva - Francesco Guccini

 

Il capitano che salvò Nettuno

Torno a distanza di qualche tempo, dall’uscita del volume “Millecinquecento”, Marcantonio Colonna e l’antico Statuto di Nettuno, a cura di Benedetto La Padula e Vincenzo Monti, nel quale ho trattato della Guerra d’Italia del 1556, fra Paolo IV, schierato con i francesi ed i Colonna, privati dei loro feudi e alleati con gli spagnoli, nel corso della quale avviene l’episodio dell’eroica difesa della città di Nettuno condotta dal capitano Filippo Moretto e dagli stessi abitanti della città. Nel mio capitolo, Filippo Moretto e la battaglia di Nettuno, restano insoluti alcuni quesiti: cosa fa dopo la vittoriosa difesa di Nettuno il Capitano Moretto? Quando si conclude la sua avventurosa vita e dove riposano le sue spoglie?
Grazie a ricerche condotte con l’amico e collaboratore dott. Cappellari proviamo a dare alcune risposte.
Il capitano Moretto torna alla ribalta a distanza di tre secoli dagli avvenimenti nettunesi grazie alla scoperta della lapide sepolcrale, riportata da alcuni giornali calabresi nel giugno del 1878: …in Terranova (Calabria) e proprio nel sito ove sorgeva un dì l’Abazia di Santa Caterina, un agricoltore scavò una maestosa lapide sepolcrale(…) sulla lapide, a grandezza naturale, dorme nel più bello atteggiamento un guerriero(…) una modesta iscrizione ricorda l’illustre Capitano di Spagna, il vincitore di Tunisi, di Ostia e della Goletta, il difensore di Nettuno, il suddito fedele, l’amico di Carlo V, il prode Filippo Moretto.
L’intero monumento contenente il teschio e le ossa del Capitano, i galloni d’oro, il ferro della spada, un orecchino d’oro, monete, ecc…viene acquistato dai discendenti signori Moretto e Sofia Moretto da Radicena e da essi collocato nella chiesa dell’Immacolata.
Le memorie del sepolcro del nostro Capitano si perdono non tanto per il tempo passato, né per le due guerre mondiali o l’incuria degli uomini, quanto verosimilmente a causa dei devastanti terremoti che a cavallo di otto e novecento colpiscono duramente la Calabria facendo scomparire le tracce ed affievolire il ricordo del Moretto.
La chiesa dell’Immacolata dove viene sepolto è in rovina ed è sconsacrata, ricostruita in altro luogo e non contiene memoria del Capitano, ma parte del sepolcro si trova ora murato nel cimitero di Taurianova.
Torniamo al periodo storico e all’episodio che ci riguarda. L’arte militare italiana nel Medioevo e nel Rinascimento non ha rivali. Ai nostri condottieri e alle loro strategie si rivolgono molti regnanti per le proprie truppe mercenarie.
E’una storia intrisa di congiure, saccheggi, intrighi, passioni, tradimenti e vendette, che offrono materia per leggende, aneddoti, ballate popolari.
Protagonisti personaggi famosi e fortunati come Giovanni dalle Bande Nere o meno, come il nostro Moretto, che ritroviamo nel 1556, impegnato con il duca d’Alba e Marcantonio Colonna nella difesa di Nettuno. Nato all’inizio del cinquecento, è già presente nel 1527 in Lombardia a combattere gli imperiali agli ordini di Ludovico Vistarini.
Nel 1529 è alla difesa di Barletta, quindi nel 1542 con Piero Strozzi contro gli austriaci.
Nel 1551 alla difesa di Mirandola, poi di Siena e nel marzo del 1552 ha l’incarico da Giordano Orsini di difendere Montalcino, ma contattato dal Toledo che gli promette di farlo rientrare in Calabria, da cui è proscritto, con una rendita annua di 3000 scudi in cambio del tradimento, informa l’Orsini dell’accaduto e prepara una trappola in cui i capitani spagnoli comunque non cadono. Nel 1553 contrasta imperiali e Genovesi in Corsica.
Nel 1554 è sconfitto in Toscana da Giangiacomo Medici e fatto prigioniero nella battaglia di Marciano. Liberato, raggiunge Radicofani con 200 fanti. Dopo alterne vicende che lo vedono protagonista in Toscana, giungiamo al 1556 quando Nettuno viene tolto ai Colonna per passare in possesso dei Carafa ed il pontefice Paolo IV, dà inizio alla guerra della Campagna di Roma.
Alla Santa Sede interessa rientrare in possesso di una delle primarie fortezze del Regno di Napoli, cioè Gaeta. Nell’economia della guerra, Giovanni Carafa ritiene utile distruggere le fortificazioni di Nettuno, nonostante sia la migliore terra che ha ed il rischio che Nettuno si disabita.
I nettunesi protestano energicamente e, scacciato il presidio francese, serrano l’ingresso ed inviano le chiavi del Castello a Marcantonio Colonna che dà l’incarico di salvare il paese al fidato Capitano Moretto, al comando di una compagnia di 150 uomini e nel frangente al soldo degli imperiali contro le truppe del papa. Per l’eroica difesa sostenuta dal Moretto e per il valore dimostrato dai nettunesi che difendono con grande animo le loro robe et famiglie, grazie anche ad una forte mareggiata che costringe le galèe francesi condotte dal De La Garde al ritiro, respinto inoltre l’assalto portato anche dallo Strozzi, Nettuno si salva dall’invasione e dalla distruzione nemica.
L’anno dopo il Moretto torna a combattere nel senese, quindi viene nominato governatore di Candia nel 1569. Partecipa alla battaglia di Lepanto nel 1571 ed è quindi al soldo della Serenissima contro l’impero Ottomano dimostrandosi capitano valoroso e d’onore fino alla sua morte intorno al 1580 quando, come governatore generale, si trova a Candia ed intraprende opere di rafforzamento di Corfù insieme a Sforza Pallavicini e Giulio Savorgnano per poter rintuzzare gli attacchi turchi.
La lapide sepolcrale finora conosciuta da pochi, si trova nel cimitero comunale di Taurianova, collocata in un monumento in mattoni posto entrando, sul muro di confine destro del primo nucleo storico; la pubblichiamo grazie alla collaborazione dell’architetto Sergio Romano Maduli.

 

 

 

 

Giovanni Piancastelli ed i Borghese

Nasce a Castel Bolognese il 14 settembre 1845 da famiglia di modeste origini: il padre è canapino, la madre, tessitrice. Dimostrando sin da piccolo talento artistico, viene affidato a Padre Federico Bandiera da Palestrina dei frati minori cappuccini, frequentazione che gli accende la fede religiosa tanto da divenire in seguito terziario francescano.
Suoi mecenati inizialmente, i faentini Giuseppe Rossi e Domenico Zauli Naldi che danno al quindicenne Giovanni la possibilità di iscriversi alla scuola di disegno di Faenza. Suoi primi insegnanti sono Achille Farina per il disegno e la pittura e Girolamo Conti per l’architettura.
Conclusi gli studi faentini, si reca a Roma (1862-1866) per completare la sua formazione con l’aiuto del marchese Camillo Zacchia iscrivendosi all’Accademia di San Luca.
In questo periodo, ci narra il pronipote Alfredo Piancastelli, figlio di Paolo, nipote dell’artista, che l’avo rientra alcune volte al paese natìo, effettuando il viaggio a piedi attraverso il passo dei Mandrioli, “le nostre condizioni familiari erano tali che Giovanni non si poteva permettere alcun mezzo di trasporto, perciò percorreva il tragitto fino a Roma a piedi e scalzo per risparmiare le scarpe…fuori dal paese infatti le riponeva in un fazzoletto assieme ad un poco di cibo (pane, formaggio, frutta) che doveva servire per il viaggio. La distanza lo impegnava per circa dieci giorni (media 40 km al giorno). Le notti veniva ospitato in conventi di frati, che a volte fornivano pure un pasto caldo.”
Dopo il servizio militare, il foglio di via riporta la data del 12 aprile 1871, Giovanni Piancastelli fa ritorno a Roma contattato dal principe Marcantonio Borghese che lo assume come insegnante di disegno e pittura per i figli. La sua posizione può essere paragonata a quella dei pittori di corte: seguiva il principe nelle ville fuori Roma, a Frascati come a Nettuno o nella campagna toscana, eseguendo se necessario interventi di ristrutturazione o di semplice decorazione.
Tramite i Borghese, entra in contatto con altri membri del patriziato romano che si avvalgono della sua opera: Torlonia, Aldobrandini, Chigi, Doria, Barberini Ruffo della Scaletta. Nel frattempo trova modo di partecipare a varie mostre: Faenza nel 1875, Parigi (con il dipinto, Gli emigranti della campagna romana) e Roma nel 1878, ancora Roma all’Esposizione di Belle Arti nel 1883 quindi Monaco di Baviera, e a Bologna nel 1888.
Collabora a riviste come Natura ed Arte ed Emporium. Nel 1886, con la scomparsa di Marcantonio Borghese, riceve l’incarico di riordinare la collezione Borghese e di trasferirla a villa Pinciana, abbandonando l’amata pittura e costretto a maneggiare tanto malamente la penna, dovendo correggere numerose attribuzioni ed intraprendere viaggi per visitare importanti collezioni europee.
Nel 1894 compie un viaggio a Praga per documentarsi in vista dell’esecuzione della pala La morte di San Giovanni Nepomuceno commissionata dal principe Giuseppe Torlonia.
In occasione dell’Esposizione Berniniana del 1898 per il terzo centenario della nascita, il Piancastelli fa parte del comitato celebrativo ed è incaricato dell’esecuzione di alcune cartoline commemorative, riportate nel Catalogo degli Illustratori Italiani di Furio Arrasich del 2003 e quotate 40 euro insieme alla non comune cartolina del Comitato per la vestizione dei bambini poveri di Roma e ad una serie di cartoline di vita francescana di cui si conoscono una quindicina di soggetti.
Il 6 gennaio 1902 è nominato direttore della Galleria Borghese, incarico che abbandonerà quattro anni più tardi per ritirarsi a Bologna nella casa di via Saragozza.
Personaggio eclettico, pittore, disegnatore, grafico, incisore, ceramista, scultore, decoratore e soprattutto uno dei maggiori collezionisti di fine ottocento di disegni e stampe, sia per la consistenza che per la qualità delle opere. Suo merito principale è quello di interessarsi di artisti emergenti, tra questi, contro i pregiudizi degli ambienti accademici, di Felice Giani di cui raccolse più di mille disegni.

La nascita di questa passione è strettamente legata all’incontro con la famiglia Borghese che lo assume nel 1871. I contatti con il patriziato romano gli permettono di avere libero accesso a molte raccolte private di collezioni di nobili famiglie presso le quali dà abitualmente lezioni o fa stime e consulenze raggiungendo una notevole popolarità come si evince da una lettera scritta al padre datata 27 febbraio 1885 e conservata presso un archivio privato a Faenza:” …sono diventato un vero figaro: tutti mi cercano tutti mi vogliono…” e racconta di ricevere in dono dai principi disegni e stampe, nucleo presumibilmente iniziale della sua raccolta.
Acquista nel novembre 1873 disegni e stampe di Vincenzo Pasqualoni, suo insegnante all’Accademia di San Luca e, in seguito, suo sponsor presso il principe Borghese.
In una lettera al fratello del dicembre 1874 scrive: “… sto pure facendo una raccolta di disegni originale e antichi e moderni che conto poi di farne un bel album da poterne ricavare un bel prezzo.” Occorre sottolineare l’abitudine di raccogliere in album, tipica dei collezionisti e la finalità remunerativa, poiché non va dimenticata l’origine umile dell’artista ed il fatto che non riceve uno stipendio fisso dai Borghese (risulta da lettere, che l’artista si lamenta di non aver riconoscimenti in denaro), i quali si limitano a mantenerlo e a fargli numerosi doni come: orologi, preziosi, ed anche disegni e stampe; inoltre invia periodicamente soldi alla famiglia ed ai fratelli.
In particolare si assume l’onere del pagamento della dote della sorella Vincenza ed il mantenimento della sorella Giuseppina, suora presso il convento delle Adoratrici di Lugo ed effettua un prestito alla famiglia di lire 2500 per l’acquisto di una casa.
A causa di tutto ciò, tenta di realizzare soldi con diverse attività sia artistiche che collezionistiche. Così molti degli acquisti vengono fatti in un’ ottica di compravendita sia da membri del patriziato che da antiquari di poco spessore, riproponendo poi quello che ritiene superfluo ai collezionisti più danarosi. Dall’archivio Giovanni Piancastelli, conservato dagli eredi presso la sua casa bolognese comprendente oltre che disegni, dipinti, bozzetti, lettere e cartoline ci viene in soccorso la nutrita corrispondenza, fonte indispensabile per ricavare notizie inedite. Fra i suoi corrispondenti romani figurano molte nobildonne come Guia e Francesca Borghese, Anna Maria Torlonia, Agnese, Francesca e Maria Aldobrandini, Teresa Gerini, Olga Guicciardi, Elena Ruffo. Per loro Piancastelli esegue ritratti, disegni, acquerelli e miniature.
Da alcune lettere di Luigi Barberini e Alfonso Doria si ha conferma della fama raggiunta dal Piancastelli dopo la catalogazione della Galleria Borghese. Un gruppo di lettere ai genitori, riferibili al periodo romano che va dal 1869 al 1888 e quindi di riflesso al suo soggiorno nettunese intorno al 1872, ci offre una panoramica sullo stile di vita della nobiltà nella Roma papalina e dalla loro intestazione si possono conoscere i continui spostamenti da una residenza all’altra dei Borghese: da Nettuno a Frascati, da Migliarino a Parigi dove i Borghese hanno una casa.
Ecco alcuni passi di una lettera del 23 dicembre 1871, in cui Giovanni Piancastelli, appena assunto, racconta: “non è a Roma bensì Nettuno che io mi trovo, villeggiatura del Principe, il più incantevole del luogo che mente umana immaginare sappia…che grandiosa villa, quanti servitori, camerieri, cocchieri, guardiani e cacciatori, è un paese, se così posso dire, entro un palazzo, che lusso…il cameriere tutti i giorni mi pulisce la camera e mi lustra le scarpe; vi ripeto è un sogno…vi basti il dire che se dir si può esservi paradiso quaggiù quello sarebbe ove io mi trovo…” Piancastelli inizialmente spaesato in questo mondo di signori, diviene poi un personaggio molto ricercato per feste, matrimoni, cene e viaggi di piacere. In molta della corrispondenza conservata si parla di queste feste e matrimoni, occasioni in cui viene impiegato per realizzare biglietti d’invito, ritratti o disegni da donare agli sposi; in particolare in una lettera del 15 maggio 1873 scrive: “Ora sto anche preparando un album ben legato tutto pieno de miei lavori a penna che ho fatto questo inverno per farne un presente agli sposi” che nella fattispecie sono Francesco Borghese e Francesca Salviati.
Della multiforme opera pittorica del Piancastelli, oltre ovviamente ai ritratti di numerosi e nobili personaggi in qualche modo legati al nostro territorio: Marcantonio Borghese, Teresa de la Rochefoucauld Borghese (moglie del principe Marcantonio), la principessa Elena Borghese ed altri aristocratici rimangono quadri sulla Campagna romana, marine, barcaioli, pescatori in preghiera, pinete, un acquerello su cartoncino (cm. 78x38), Veduta del castello Astura con volo d’uccelli, alcune ceramiche, piatti lisci Faenza, dipinti in tonalità blu, diametro cm. 27,5 circa con monogramma PG sul verso in blu e riproducenti il castello di Astura ed infine un bellissimo album “Nettuno 1872” acqueforti, mm 200x300 con moltissime immagini di Villa bell’Aspetto, Nettuno, scogli, riviere, l’arco muto, la Torre del Monumento, Torre S. Anastasio ed inoltre nobili che giocano a croquet o passeggiano per i viali alberati, marinai che sistemano le reti, avanzi di rovine romane…tutti luoghi ritratti infinite volte anche a penna ed a olio.
Gli eredi conservano due esemplari dell’album con venti incisioni, nella cui prima pagina troviamo la dedica: “Queste prime prove di un’arte per me nuova consacro alla mia buona madre” ed è stato commissionato all’artista come dono per una festa in onore del principe Borghese.
Dello stesso album esiste una versione con sedici vedute compreso il frontespizio, superbamente rilegato che tanto è piaciuto al principe che viene deciso “ ch’io dovessi lavorarne altre cinque onde compirne il numero di venti..”
Con il ricavato della vendita di quasi tutta la collezione di disegni, circa quindicimila pezzi, a due famiglie di collezionisti americani, gli Hewitt e i Brandegee, Giovanni Piancastelli compera, ristruttura e decora personalmente una casa in via Saragozza a Bologna dove passerà la vecchiaia.
Rimane in contatto comunque con i committenti romani tanto che nel luglio del 1910 intraprende un viaggio in Umbria e Toscana con il principe Torlonia, allaccia rapporti intensi con la nobiltà bolognese e, libero da impegni nella capitale, torna a partecipare a numerose esposizioni locali; dona, spinto da sincera religiosità ai frati del convento di Castel bolognese, i disegni di soggetto mistico francescano; continua a dipingere sebbene malato ed a vendere a collezionisti facoltosi locali.
Torna spesso al suo paese, dove risiedono parenti e amici, non più a piedi come da ragazzo, ma con la carrozza di Antonio Scardovi, vetturino locale che, dietro richiesta lo va a prelevare a Bologna, dove scompare il 23 settembre 1926 nella casa di via Saragozza, tuttora residenza di suoi eredi (S. De Santi, V. Donati, Giovanni Piancastelli).

 

 

Illustri nettunesi

 

GEORG KEIL

Nasce fra le montagne d’Innsbruck nel 1935 e si trasferisce in Italia nel 1948, artista di grande capacità e serietà.
E’ sempre stato coerente, ligio ad una tematica ben chiara e precisa senza mai lasciarsi suggestionare dalle mode correnti che di volta in volta si affacciano all’orizzonte.
Se sotto l’aspetto formale può essere collocato in un filone figurativo rigoglioso nell’ultimo scorcio del secolo passato, per la sua squisita sensibilità va inserito nel panorama pittorico del nostro secolo come una delle personalità più compiutamente valide.
Il suo vocabolario cromatico filtra una luce mediterranea calda.
Le sue marine popolate di velieri hanno lo squillo perentorio delle rievocazioni del passato in cui traspare la passione indomabile di un uomo che combatte da solo, la propria battaglia umana ed artistica.
L’uomo Keil e l’uomo artista si fondono in un personaggio emblematico. Georg Keil, come grafico, merita un lungo ed approfondito studio in quanto questo genere d’arte non ha più segreti per lui: è quello che si dice un grande maestro. Silografia, bulino, acquaforte sono il suo regno. Partecipa a numerose mostre sia personali che collettive dal 1955 sino al 1993 fra Roma e dintorni: Anzio, Nettuno, Lavinio ( nella foto di Luigi Raniero Avvisati, un bellissimo quadro del Keil mostra la vecchia stazione di Nettuno ).

 

 

 

GIOVANNI AQUILECCHIA

Nato a Nettuno il 28 novembre del 1923, figlio di un ufficiale in servizio presso il Poligono Militare. Il padre, secondo il racconto fattomi dal dott. Giovanni Cappella che lo conosce durante la sua carriera di medico condotto, viene ricordato per esser l’inventore della spoletta che porta il suo nome: Aquilecchia.
Il figlio Giovanni ultimato il liceo si formerà a Roma con maestri quali Sapegno, Schiaffini, Monteverdi dei quali ricorderà spesso il peso e l’incidenza avuti nell’avvio delle sue ricerche. Sposatosi nel 1951 con Costantina Becchetta, ha tre figli, due maschi ed una femmina. Il matrimonio si scioglie nel 1973 e nel 1992 sposa Caterina Posford.
E’ uno dei massimi esperti del Rinascimento Italiano, del Bruno e dell’Aretino.
Consegue la laurea all’Università di Roma nel giugno del 1946, con una tesi sullo stile della prosa del Tasso e subito dopo, su consiglio di Natalino Sapegno, allora direttore dell’Istituto di Filologia Moderna, ottiene in due anni il diploma di perfezionamento.
A Roma, presso l’Istituto di Filologia moderna, prende l’avvio un’indagine sui testi di Bruno che percorrerà circa mezzo secolo. Tale ricerca viene subito illuminata dal fortunato ritrovamento della Lezione definitiva della Cena delle Ceneri di Giordano Bruno.
Studiando un autore europeo come Bruno, Aquilecchia lascia Roma presto, estendendo le sue ricerche fuori dall’Italia grazie a borse di studio da parte del Gouvernement Francais, del British Council e del Ministero della Pubblica Istruzione Italiano. Andrà a Parigi, a Tolosa, poi a Londra, Manchester e Dublino e tra le esperienze fatte tra il 1949 e 1952 il ricordo più intenso andrà all’anno trascorso al Warburg Institute londinese.
Tenendo conto dell’importanza fondamentale che per Giordano Bruno ha il periodo trascorso in Inghilterra, non stupisce che Aquileccchia decida di scegliere Londra come sede principale per i suoi studi. Insegnerà letteratura italiana nelle più rappresentative università britanniche sino a diventare professore emerito a Londra, Manchester ed al Bedford College. Tra le numerose pubblicazioni ricordiamo i Dialoghi Italiani di Giordano Bruno di cui riprende l’edizione con note di Giovanni Gentile per la Sansoni nel 1958, le Schede di Italianistica per Einaudi nel 1976 e le Nuove Schede di Italianistica, Salerno 1994. Di Pietro Aretino per Laterza, ci consegna l’edizione critica più importante delle Sei giornate.
Sono soprattutto gli anni cinquanta i più fervidi per il lavoro di Giovanni Aquilecchia, inserito in un ambiente vivo, pieno di stimoli, ricco di interlocutori, dotato di biblioteche di grande valore, da quella del Warburg al British Museum; meno proficuo il decennio seguente quando deve occupare la cattedra di Manchester; in questi anni pubblica le Lezioni Inedite di Giordano Bruno in un Codice della biblioteca dell’università di Jena e per quanto riguarda l’Aretino con il recupero dell’Aretino pornografico della fine del 1969. Poco dopo rientrerà a Londra succedendo a Carlo Dionisorti alla cattedra del Bedford College, che manterrà fino alla pensione.
Il trentennio 1970 – 2001 è per molti aspetti, il più fecondo della sua attività di studioso e di professore. A contatto continuo e diretto con personalità d’eccezione, avendo a disposizione biblioteche straordinarie, Aquilecchia si muove a tutto campo, pur tenendo alcune opzioni di fondo: Bruno, Aretino e anche Della Porta.
Nel caso dell’Aretino, il contributo più importante sarà l’edizione delle Sei Giornate, edizione innovativa fin dal titolo rispetto alla tradizione critica aretiniana.
Lo stesso Aquilecchia nelle prime righe della nota al testo dice infatti: sotto il titolo Sei Giornate riproduco in trascrizione critica, il testo delle edizioni originali apparse nel 1534 e 1536 in due distinte opere dell’Aretino, preparata negli anni di Manchester, momento di grande impegno. Nel caso di Bruno il capo d’opera sarà senz’altro costituito dal ritrovamento della redazione finale della Cena delle Ceneri, una data e una scoperta che faranno epoca nella storia della critica bruniana perché apriranno una fase di studi destinata a riproporre in modi del tutto nuovi, nei decenni successivi, la figura e l’opera del nolano. Questo straordinario ingegno, cui Nettuno è orgogliosa di aver dato i natali, scompare un pomeriggio di venerdì, a Londra, il 3 agosto del 2001.

 

LAMBERTO CIAVATTA

Nasce il 10 settembre 1908 all’Acciarella, frazione di Nettuno, lembo di territorio ai confini con le paludi pontine. Figlio di Concetta Leonardi e Nunzio, fattore della famiglia Borghese. Diplomato al liceo artistico di Roma studia pittura nella bottega del maestro Alessandro Battaglia, scultura nella bottega del maestro Duilio Cambellotti, architettura presso la facoltà di Roma. Dirige l’Accademia Internazionale del nudo. Allestisce mostre personali in Europa e in Medio Oriente, espone ripetutamente a Roma, Firenze, Nettuno, Cortina D’Ampezzo.
Inoltre i suoi quadri ottengono notevole successo all’estero, come a Munchen, New York, Chicago, Stafford, Philadelfia.
Sue opere di pittura si trovano presso enti pubblici e privati italiani, nonché in musei e collezioni private, al Metropolitan Museum di Arte di New York, nella galleria d’Arte Moderna a Dublino, presso il Rejkmuseum Amsterdam. Tra le più note collezioni si citano quelle dei reali del Belgio, del gen. Eisenhover, del prof. Christian Barnard, di Cary Grant.
Ciavatta è un nettunese doc, cavalca il XX secolo con le contraddizioni, le ansie e i timori prodotti da un periodo storico pieni di eventi contrastanti, le guerre mondiali, le crisi economiche e sociali, le riprese eclatanti, i movimenti operai e studenteschi sociali e politici.
Nel periodo della maturità, angosciato dalla delusione di vedere i propri ideali, forse i propri sogni, irrealizzati ed irrealizzabili, nel momento in cui si tirano le somme e la vita sembra sfuggire di mano, ecco il rifugio nell’arte lasciando un messaggio che il domani sia sempre per tutti un giorno migliore.

 

GUIDO EGIDI

Nasce a Nettuno nel 1883, si laurea all’Università di Roma nel 1906 e completa la sua preparazione scientifica in anatomia patologica con Ettore Marchiafava, famoso clinico e anatomista, noto fra l’altro per aver dato un decisivo contributo alla lotta contro la malaria, identificando, insieme ad Angelo Celli, l’agente della terzana maligna.
Svolge fin dai primi anni di professione un’intensa attività ospedaliera: è aiuto ospedaliero dal 1910, aiuto di clinica chirurgica negli anni immediatamente successivi alla prima guerra mondiale, primario dal 1922; contemporaneamente conduce una brillante carriera accademica, ottenendo la docenza in patologia chirurgica, medicina operatoria e clinica chirurgica presso l’Università di Roma.

 

STEFANO BORGHESE

Don Steno, principe di Cassaro, nasce a Fiesole il 31 agosto 1911, da Rodolfo e Genoveffa Borghese. Combattente della guerra 1940 – 1945 quale ufficiale di Marina. Medaglia di bronzo al Valor Militare, cavaliere dell’Ordine al Merito della Repubblica. Presidente della Federazione europea di baseball e di quella italiana. Sindaco di Nettuno nel 1944 e presidente del consorzio di Bonifica Latina dal 1948 al 1953. Presidente dell’associazione per la rinascita e lo sviluppo di Anzio e Nettuno nel dopoguerra provvede alla direzione ed amministrazione delle sue tenute a Nettuno.
La famiglia Borghese è originaria di Siena, Camillo Borghese che salirà al soglio pontificio col nome di Paolo V nel 1605, sarà l’autore della grandezza e della ricchezza di questa famiglia.

 

ALESSANDRO E ZELINDO PINZUTI

Zelindo nasce a Torrita di Siena il 18 aprile 1884 da Francesco e da Palmira Quinti. Risiederà a Nettuno presso la villa Borghese. Sarà l’amministratore di S.E. il principe don Steno Borghese dal 1915 al 1955. Per la sua fedeltà, per la sua capacità ed onestà verrà insignito della Medaglia d’oro al Merito del Lavoro. Anche Alessandro, geometra, nato a Nettuno il 3 maggio 1920 da Zelindo e da Concetta Bocchi risiederà nella villa Borghese amministrando le tenute del principe in modo limpido ed efficace tanto da meritare anch’egli la Medaglia d’oro al Merito del Lavoro.

 

 

 

Nettuno anni venti

Intima e semplice, ma non meno attraente di altre perle del Mediterraneo, Nettuno pur senza la notorietà della vita mondana di altri centri, nei primi anni del secolo scorso, possiede un fascino più intimo: è silenziosa ed accogliente.
Negli anni venti però, dopo che la guerra fa tacere la sua voce e dal poligono non si sente più il rumoreggiare del cannone, Nettuno assume un aspetto insolito di gioia e di mondanità, vedendo raccolti nel dolce settembre del 1920 intorno alla colonia villeggiante una festa d’arte e di sentimento, dove la mondanità si mischia con la bontà vera. La festa del settembre nettunese si svolge e si rende utile per due cause: una di umanità, l’altra di glorificazione.
Si vuole raccogliere denaro per il monumento che Cesare Bazzani, architetto italiano nato a Roma nel 1873 ed ivi scomparso nel 1939, tra i maggiori e più prolifici artefici dell’architettura pubblica italiana del primo novecento, particolarmente in età fascista, eleverà alla memoria dei caduti di guerra di Nettuno e per portare poi un aiuto a quella magnifica opera cittadina che è la Pubblica Assistenza “Principe di Piemonte”.
Il monumento verrà dapprima situato nell’ampia triplice balconata del Belvedere, poi collocata nell’attuale piazza dall’Amministrazione fascista per darle una collocazione più importante ed adatta a manifestazioni patriottiche e combattentistiche; verrà in seguito, secondo Monsignor Vincenzo Cerri, donata alla patria per ricavarne bronzo durante le sanzioni, secondo altri ricercatori forse trafugata e fusa durante la seconda guerra mondiale.
L’attuale esemplare, è una copia dello scultore Bruni, dono della Banca di Credito Cooperativo di Nettuno per la festa del 4 novembre 1979.
La statua rappresenta la dea Minerva/Atena dea di ogni attività collegata all’intelligenza ma anche della guerra, le ali che compaiono sull’elmo rappresentano la vittoria alata, la spada tenuta in mano come fosse un figlio rappresenta le virtù guerriere.
L’Associazione di Pubblica Assistenza Principe di Piemonte, viene fondata nel 1903 e presta la sua opera gratuitamente, assistendo la popolazione locale anche nelle periferie: organizza soccorsi per gli ammalati, interviene nelle calamità sanitarie che colpiscono il nostro territorio come il colera o la spagnola.
La festa d’arte preceduta da una grandiosa lotteria ottiene un lusinghiero successo grazie a due giovani artiste: Ofelia Parigini e Fernanda Serratrice. La Serratrice già nota al pubblico dei grandi concerti in virtù delle sue eccelse qualità di pianista di sicura valentia tecnica e profondo senso interpretativo, nel concerto di settembre riconferma la sua fama.
Grande rivelazione e sorprendente successo ottiene Ofelia Parigini che con grazia, eleganza, semplicità e bellezza predispone subito il pubblico ad ascoltarla; una straordinaria cantante che avrà di lì a poco il suo vero battesimo al Teatro Costanzi di Roma.
Nella festa del settembre nettunese trascina al delirio grazie ad una voce con sonorità precise, slancio e passione.
Il suo canto, ci lascia scritto un cronista d’epoca che si cela dietro lo pseudonimo Gigi, sulle pagine del settimanale illustrato Tutto del tre ottobre del 1920, sgorga come acqua di fonte, fresco e limpido, animato da un interno e possente impeto che conquista e commuove e per questo la festa di beneficenza ha avuto un più dolce sorriso. Lode all’organizzazione della festa, al comitato che ha lavorato sul mare laziale a conciliare la mondanità con le buone opere.
Il comitato ha come Presidente onorario, il Principe Borghese con numerosi illustri nomi della capitale: il Colonnello Margola, Regio Commissario di Nettuno, donna Maria Nenci, l’angelo di carità che ha avuto per la sua colonia dei bimbi di Roma e del Lazio anche l’appoggio di S.M. la Regina, della signorina Marano figlia del Direttore e giornalista Marano Attanasio, nonché di tante donne che trovano il tempo per rendersi utili agli umili.
Nettuno si diverte finalmente, durante le feste settembrine e non verrà a mancare per l’occasione, l’interessamento papale di Benedetto XV ed il suo ricco dono per la lotteria che servirà a soccorrere sia i bimbi d’Italia che glorificare quelli che sono morti per la patria.

 

 

 

Il Fiamma Nera

Secondo una certa tradizione locale tramandata oralmente ed un articolo molto raffinato e preciso di Gabriele Villa pubblicato su Gente, il Fiamma nera, yacht di 23 metri di lunghezza e 4,70 di larghezza, peso di 40,7 t. costruito con legno di teak stagionato e mogano, scafo foderato in rame, nel 1912, ha una bella storia che proviamo a raccontare.
La barca, ha una linea elegante ma decisa, con un lungo slancio di poppa a cui si contrappone uno di prua piuttosto corto ed arrotondato, tipico delle barche nord – europee di inizio secolo e viene acquistata negli anni trenta da Alessandro Parisi Nobile, uomo di governo vicino a S.E. Benito Mussolini il quale spesso ne usufruisce per vacanza o per incontri fuggevoli ed amorosi lontano da occhi indiscreti, calandosi volentieri nel ruolo più italiano dei ruoli italiani: quello di irriducibile seduttore. Con Claretta Petacci, conosciuta nel 1932, ragazza ventenne acqua e sapone, sarà un’altra storia. I due destini rimarranno legati indissolubilmente fino al tragico epilogo ed il Fiamma Nera, (all’epoca si chiama ancora Koning II) sarà silente complice e custode degli incontri fra Benito e Claretta che, lontani dalla costa, possono più facilmente proteggere i propri sentimenti.
Dopo aver passato il periodo della prima guerra mondiale nel porto della Maddalena, lo yacht viene acquistato da Parisi Nobile e, come già accennato, spesso messo a disposizione del Duce.
Esistono immagini fotografiche di Claretta, capelli al vento, a prua, scrutante l’orizzonte o di Benito sullo yacht con sguardo fra l’assorto ed il corrucciato, nonché una non comune cartolina panoramica di Anzio, edita da Spiga Enrica, stampata da Alterocca di Terni nel 1937 (XV E.F.) con il Fiamma Nera ormeggiato in porto.
Dopo il 1948 ne diviene proprietario il comandante Dante Ricci che raccoglierà una ricchissima documentazione epistolare e fotografica atta a ripercorrere i frequenti incontri dei due amanti a bordo del Fiamma Nera.
Nei giorni immediatamente successivi all’otto settembre 1943, lo yacht sarà affondato ad arte, nel porto di Rapallo per sottrarlo ad una eventuale cattura e poi recuperato e ribattezzato almeno due volte: dapprima dal conte Sereni che lo chiamerà Serenella e poi, col nome caraibico di Stella di Gurujà, passerà di proprietà al Principe Cremisi, fino ad arrivare negli anni settanta, dopo una carriera passata fra crociere e regate, all’ingegner Fonzi che le farà far rotta verso Fiumicino. Qui per un periodo fungerà da nave scuola del circolo della Vela di Roma.
Quindi non più in buone condizioni, nel gennaio 2002 viene ristrutturato e restaurato con raffinata accuratezza da maestri d’ascia e torna agli antichi splendori dotato della più moderna strumentazione, prendendo quindi di nuovo il largo e partecipando ad una campagna di monitoraggio dei delfini costieri e di altri cetacei lungo le nostre coste.

 

Cartolina del Fiamma Nera nel porto di Anzio

 

 

Joe di Maggio e quel giorno…

In molti a Nettuno sanno più o meno di baseball ma pochi ricordano di quella volta che …la leggenda giunge sulle rive tirreniche. Quel giorno è nella storia delle grandi visite al paese, alcune note come Tyron Power, altre scoperte di recente come quella del mitico Humprey Bogart.
Un giorno dell’estate 1957, Joe, mito per tanti appassionati di baseball e, fatto da non sottovalutare, marito di Marylin Monroe, è in vacanza a Roma. Come riferisce Vanity Fair nel numero di maggio del 2005, a pranzo gli raccontano di una piccola città a pochi passi da Roma, liberata dagli americani poco più di una decina di anni orsono e conquistata più che dagli alleati dal loro gioco: il baseball.
Joe di Maggio trovandosi a pochi chilometri dalla capital del baseball europeo, si fa accompagnare a Nettuno. Giunge con una jeep al vecchio campo Borghese dove il Nettuno gioca contro la squadra di baseball della capitale ed arriva mentre sul monte di lancio vi è uno degli atleti più animati e carismatici del baseball nostrano Carlo Tagliaboschi.
Il pubblico riconosce Joe di Maggio e per l’entusiamo si sospende la partita e si invita Joe alla battuta. Please Joe, batti per noi. Vestito in giacca e cravatta, prende una mazza e si posiziona di fronte a Tagliaboschi…palla veloce ma nonostante lo stile e la forza…strike.
Dall’entusiasmo all’imbarazzo. Joe allora si toglie la giacca, la piega con cura, si arrotola le maniche della camicia …more…gimme some more, Tagliaboschi lancia, ma questa volta Joe Di Maggio centra la pallina, traiettoria formidabile, oltre il muro di recinzione, oltre la strada, oltre la spiaggia, oltre…oltre…oltre, fra le onde del mare.
Ohhh!!!! E gran parte del pubblico verso il mare a cercare quella palla leggendaria che non troverà nessuno…a meno che il dio del mare…non l’abbia presa al volo.
Joseph Paul Di Maggio nasce nel 1914 in California e scompare l’otto marzo 1999. Di origini siciliane diviene famoso per esser il marito di Marilyn e per aver giocato l’intera carriera per i New York Yankees, vincendo tre volte il titolo di miglior giocatore e partecipando per 13 volte all’MLB All- tar Game. Tornerà spesso in Italia per visitare i parenti all’Isola delle Femmine e promuoverà il baseball con varie iniziative: nel 1993 lancia la prima palla del campionato italiano, nel 1976 passa alcuni giorni con la squadra del Grosseto, oltre ovviamente all’episodio nettunese appena ricordato.
Sarà citato anche nella canzone Mrs. Robinson di Simon e Garfunkel. Tale canzone verrà trasmessa come sottofondo musicale dalle radio statunitensi all’annuncio della sua scomparsa.

 

 

 

 

Il tridente del Tirreno

L’ origine del giornale, inteso come esigenza d’informazione, risale forse all’antica Roma, quando vengono istituiti gli acta populi, piccoli avvisi esposti nei luoghi più frequentati.
Nel Medioevo ad essi si sostituiscono le cronache, i diari o le lettere con lo scopo di esser divulgati e nel cinquecento le gazzette o notizie composti gia di due, tre, quattro pagine.
In Italia, le prime Gazzette appaiono a Venezia, e nel 1735 quella di Parma, nata come settimanale e trasformatasi in quotidiano nel primo ottocento, rappresenta il più antico giornale d’Italia ancora pubblicato.
Al giorno d’oggi, passeggiando tra Anzio e Nettuno, vediamo spesso, in omaggio presso edicole, bar o normali esercizi commerciali, numerosi giornalini locali che hanno il compito di fare cronaca: svolgono con impegno e passione e con le possibilità di cui dispongono l’incarico di informare il paese sui fatti correnti, dalla politica allo sport ed a volte sono attesi con ansia, collezionati o semplicemente conservati per futura memoria.
Certo di averne dimenticato qualcuno a cui chiedo venia, li elenco in ordine sparso: Scanner news (settimanale di Anzio e Nettuno), il Caffè (quindicinale da 55000 copie), il Granchio (settimanale storico, d’informazione di Anzio e Nettuno, al XIV anno, l’unico a pagamento, ricco di 96 pagine, con dettagliatissima sezione sportiva), il Litorale (di Anzio e Nettuno, quindicinale), il Grillo (mensile), Informare (mensile d’informazione di Anzio e Nettuno), Esco (dove trovare cosa fare, mensile) e Scaccomatto mensile indipendente di informazione, a colori, di 32 pagine, di cui alcune, la terza pagina ad esempio, con articoli di cultura: storia, letteratura, arte nelle sue varie forme ed altre con approfondimenti politici, grazie a preziosi e valenti opinionisti.
Ma quale è stata la madre di tutte “le veline” locali? Dai ricordi di nettunesi appassionati, sembra si debba risalire ai primi anni sessanta, al quindicinale Il Tridente del Tirreno, proprietario, direttore, fondatore il prof. Antonio Pagliuca, coadiuvato entusiasticamente dal comm. Porfiri, dal maestro Giovanni Di Paolo, da Giovanni Farina e tanti altri.
Nato a Rovere di Roccadimezzo (L’Aquila) e laureato in lingue e letterature straniere, grande figura di letterato eclettico, dinamico, volitivo, professore dai tratti gioviali, ricco di cultura ma soprattutto di umanità, il prof. Antonio Pagliuca va ricordato anche come autore de I Corsari di Torre Astura, romanzo storico che narra l’odissea di una madre e tre giovinetti nettunesi, schiavi dei turchi, che sorretti dall’affetto che li lega, riescono a superare mille difficoltà. Sua è anche una monografia storica sugli Imperatori Germanici nell’Altopiano delle Rocche e dell’autobiografico, Racconti veri del nostro tempo.
Torniamo al Tridente, esce il primo maggio 1961, lire 50, pagine quattro, poi portate a sei, stampato grazie alla collaborazione della Tipografia, La Madonnina, di Felice Allievi, in via Sangallo, 34 a Nettuno.
Nell’articolo di presentazione, tutta la filosofia del direttore e del suo giornale. “…ci presentiamo a voi, amici nettunesi, con animo libero da meschine finalità, … libero da qualsiasi altro interesse che non sia il prestigio, il buon nome ed il progresso della nostra cittadina.
La nostra divisa sarà: verità in quanto a contenuto, signorilità, quanto a stile.
L’iniziativa presa a Nettuno, per la pubblicazione di un foglio cittadino quindicinale nel quale ospitare anche la voce della confinante Anzio, viene accolta con meritata simpatia sia dall’allora sindaco di Anzio, Castore Marigliani, che dal sindaco di Nettuno, Bruno Lazzaro con due lettere di augurio al quindicinale.
Nel primo numero, in evidenza, interviste rilasciate dagli assessori alla P.I. Victor Hugo Antei di Anzio ed Angelo Eufemi di Nettuno, inoltre, interventi di Gianfranco Gala, Gianni Farina, una recensione sul pittore Giorgio Keil, ma anche vignette, poesie, cronaca e tanto sport, giornale sinceramente attuale e moderno.
L’uscita del Tridente viene salutata anche dalla stampa nazionale, infatti il prestigioso quotidiano romano il Tempo riporta in un articolo a quattro colonne, in data 10 maggio 1961, il benvenuto del giornalista Giuseppe Modugno con l’augurio di buon lavoro alla nuova testata. Come talvolta accade, l’entusiasmo con il passare del tempo si affievolisce, aumentano onori ma anche oneri, il giornale chiude, ma ha il merito di lasciare comunque un seme fecondo visto i numerosi figli che oggi popolano le nostre due cittadine.

 

 

Arti e mestieri scomparsi

 

RANOCCHIARI
Nell’agro romano e nelle paludi pontine, fino all’immediato dopoguerra, le ranocchie sono abbondantissime ed a Roma se ne fa largo uso. Il regno dei ranocchiari è Maccarese, Tor Tre Ponti, ma anche Nettuno vanta una lunga tradizione. Si pescano nei fossi stendendo una rete o adoperando una canna ed una specie di amo. Vengono rinchiuse in sacchi e spedite vive e gracidanti a Roma, dove si vendono a dozzine. Nella foto, un gruppo di ranocchiari nei dintorni di Nettuno, archivio Consorzio Bonifica di Latina.

“Donne, ranocchie!” A piazza Montanara
se sentiva uno strillo appena giorno,
era la sora Rosa: ranocchiara,
a séde a un angoletto accanto a un forno.
Le mano tutte quante aruvinate,
li porzi ce l’aveva sempre rossi,
quante ranocchie s’era scorticate,
nell’acqua puzzolente de li fossi!
Co’ ‘na certa arbaggìa da gran signora,
ar posto der cappello, una gran crocchia,
la sora Rosa stava lì abbonora
a intolettà ranocchia pe’ ranocchia.
Poi dentr’ar zecchio, tutte ammazzettate,
degne de figurà ne li gran pranzi,
come ballerinette, preparate
p’er balletto de l’opera, ar Costanzi.

(Antonietta Palombi Corrao,
da Mestieri e Mestieracci pag. 378)

 

LEGATORE
Negli anni settanta i giornali o i fascicoli delle enciclopedie si portano in via XXIV maggio dal ferrarese, trapiantato a Nettuno, Giuseppe Barioni, persona affabile, simpatica, competente.
In seguito si trasferisce in via Trieste dove rimane fino al sopravvenire della malattia. Uno dei suoi ragazzi, Marco Roda, ne rileverà l’attività spostata fino a non molto tempo fa in via della Libertà.

Er legator de libbri
Arieccheme cqua, sor Bonifazzi,
Vengo a ddivve pe parte der padrone,
Si j’javete legato er Cammerone
E quelle bbrozzodìe de li ragazzi.
E ddisce ch’ecco cquì st’antri du’ mazzi
De libbri c’ha ppijato a la lauzzione
Pe facce un po’ de legature bbone
Da risiste a ‘gni sorte de strapazzi.
E disce poi che ssenza tante sciarle
Je l’incollate cor lume de Rocco
Acciò nun ze li maggnino le tarle.
E ddisce pulizia e ccose leste,
Sinnò altrimenti non ve dà un bajocco!
E cco questo salute e bbone feste.

Il sonetto di Gioacchino Belli è tratto dalla pubblicazione: Mestieri e Mestieracci nella poesia romanesca dal ‘600 ai nostri giorni, a cura di Giorgio Roberti ed edito dal Centro Romanesco Trilussa.

 

LAMPIONAIO
L’installazione dei due generatori di corrente, a gas povero, nei locali della Società Laziale di Elettricità, in via S. Maria, nel 1890, non risolve l’elettrificazione del paese.
Il lavoro per creare le linee aeree della distribuzione sarà alacre ma lento, tanto che nel 1906 si vede ancora in giro il lampionaio con scala, canna e stoppini catramati per accendere i lampioni a petrolio disseminati per il Borgo e fuori.
Il lampionaio è Isaia Restante, alto e stereotipato, calzolaio nativo di Cori che ha il deschetto su via Romana, prima dell’incrocio con via Cavour e prima della scuderia Marcobelli.
Abita in una baracca, nella vigna di Melchiorre De Franceschi, prima della villa che verrà acquistata dal capitano Donati.

 

FALEGNAMI
Nella numerosa ed eletta schiera di artigiani nettunesi ricorda, il prof. Rondoni, tra i falegnami: Cesare Siravo, Gigino Centi, Michele Marrone, don Ciccio Vincenzo De Pascale, Cesare Zamperini, mastro Angelo Morelli che ha lavorato all’urna di Maria Goretti, Enea D’Amico e Tancredo Vittori, Salvatore Coppola, Orlando e Peppe Nocca i fratelli Evaristo, Oreste e Gaetano Pacini con Oscar Procaccino ed infine Giggi Raniero Avvisati ottimo ebanista in gioventù ma da dieci anni, giornalista e maestro della fotografia.
Nazarena Pambianco la sediaria con i capelli bianchi, invece impaglia le seggiole lungo via Conte di Torino a fianco del forno della sora Maria.

 

PESCATORI E CACCIATORI
I pescatori nettunesi secondo una certa tradizione sono: Servilio Colarossi, Carlo Passerini, Giacomo Guidi, Gaetano Bagialemani detto Satana, Gino Mosconi, Checchino Sanges e Massimino Bagialemani.
Più per passione che per necessità ma un grande professionista della pesca che ho l’obbligo di ricordare è Peppino Carnabuci mago delle lenze ed ex uomo di fiducia del barone Fassini.
I cacciatori all’inizio del secolo scorso, segnalati nel libro Nettuno, otto/900 non sono molti, Rondoni cita: Antonio Tamburini, detto “ Bacocco”, Giovanni Monaco detto Nino, Coriolano Papola, Francesco Cibati, Giovannino Molinari, Domenico Molinari, Checchino Bruschini, Gino Ottolini, Augusto Censi il lupo della Seccia, Domenico Vaccari, ed infine, Cammarota, Ranucci, e Peretti.
Scrive Livio Jannattoni a proposito della caccia che si svolge nel nostro territorio: quanto al cinghiale, si andava a scovare soprattutto durante l’inverno, nei boschi di Nettuno e Cisterna; luoghi selvaggi tutt’altro che sicuri... tipo di caccia per la quale si era rivelato guida precisa e piacevole certo Vailati che ogni anno dirigeva una battuta.
Due secoli e mezzo prima il Piazza, in Gerarchia Cardinalizia sottolineava: questo castello di Nettuno... gode ugualmente del benefizio della pescagione e della caccia per la vicinanza del mare e per l’opportunità delle selve e dei boschi...è famosa quella delle quaglie del maggio...con tanta facilità dei cacciatori...
Della caccia a Nettuno oltre il Piazza ne parlano il Biondo, umanista e storico del ‘400, Plinio ed Eliano.

 

I TELEGRAFISTI
Alla fine del secolo XVIII, sotto la necessità impellente di comunicazioni sicure nel periodo di guerre tra la Rivoluzione e l’Impero, in Francia viene realizzato un sistema di telegrafia ottica pratico ed efficiente, ad opera del fisico abate Claude Chappe. Questo sistema assume una importanza notevole: nel 1845, Parigi è collegata a 29 città da 534 stazioni.
A partire dal 1847 si diffonde in Europa il sistema Morse, sistema semplice universalmente adottato, in Francia gli uffici telegrafici passano dalla metà dell’ottocento alla fine del secolo da 40 a 13.000. La rapida diffusione del sistema telegrafico è condizionata dal problema del rapido deterioramento dei cavi elettrici risolto a metà dell’ottocento dall’introduzione di materiali isolanti a base di caucciù. All’inizio del novecento il progresso riduce ulteriormente le distanze: un messaggio partito da Sidney viene recapitato al destinatario a Londra dopo 13 minuti.
Il telegrafo introduce un nuovo modo di comunicare, rende i traffici più sicuri, trasforma la meteorologia, permette la nascita della stampa moderna, delle agenzie di informazione facendo assumere a tutte le attività umane dimensioni prima impensabili. Una delle più rare e ricercate cartoline di Nettuno è celebrativa della Gita dei telegrafisti romani a Nettuno, splendidamente disegnata riproduce oltre al Forte anche il programma orario della manifestazione avvenuta il 12 maggio 1912.

 

LA TELLINARA
Verso la fine degli anni settanta, quando le telline popolavano numerose i fondali sabbiosi delle nostre limpide acque, la tellinara trasportava con un carrello un bagnapiedi pieno di telline immerse in acqua di mare.
Passava così per le vie della cittadina urlando a squarciagola: tellinaraaa… passa la tellinaraaa… A quel punto i bambini scattavano per trascinare fuori le mamme sapendo che, se andava bene, di lì a poco avrebbero potuto gustare un piatto saporito come pochi (ricordi di Paola Ferrante).

 

FRATE CERCATORE E L’ ARTE DI ARRANGIARSI
All’inizio del secolo a Nettuno vi è Fra Lorenzo laico fra i frati di S. Rocco con il compito di fare la questua nel vasto territorio nettunese, dopo che Pio X affida ai Padri Passionisti la cura spirituale delle genti dell’Agro Pontino. Rimedia grano, caciotte e legumi dai devoti delle campagne, o qualche spicciolo, bussando alle porte dei paesani. Popolarissimo, oriundo di Caprarola, di buona indole, gira col suo ronzino Pippo dove accolla le derrate raccolte peregrinando. Una splendida foto cartolina di Nettunia 1939 il cui titolo potrebbe essere l’arte di arrangiarsi ed una rarissima cartolina di guitti nei dintorni di Nettuno spedita il 10 febbraio 1914 da Adele Lombardi, chiudono il capitolo.

 


Vicolo Bolzano, 1913 Francesco Cibati apre la caccia

 

 


Ranocchiari nei dintorni di Nettuno. Foto Archivio Consorzio Bonifica di Latina

 

 


Il setter pointer Billy con i cacciatori il giorno di San Giuseppe 1950 al ristorante La Villetta in via Romana

 

 


Cartolina di guitti nei dintorni di Nettuno spedita il 10 febbraio 1914 da Adele Lombardi

 

 


Nettunia 1939, fotocartolina il cui titolo potrebbe essere: l’arte di arrangiarsi

 

 


Cartolina celebrativa della gita di telegrafisti romani a Nettuno, riproduce oltre al
Forte anche il programma orario della manifestazione del 12 maggio 1912

 


 

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ALBERTO SULPIZI

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