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Bruno Conti
Il mio Mundial

A tutti i tifosi italiani

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CAP. 19 - E ORA, IL CAMPIONATO

Ecco, siamo alla fine. Il mundial è alle spalle. È un ricordo intensissimo, profondo, che mi accompagnerà per tutta la vita, ma, anche nel calcio, bisogna guardare avanti, e avanti, c'è la Roma, c'è un nuovo campionato.
Negli ultimi due anni di soddisfazioni ce ne siamo tolte, noi romanisti. Poteva andar meglio, due anni fa non vincere lo scudetto è stato uno scherzo del destino, una beffa atroce, ma non mi lamento.
In queste ultime stagioni la Roma è cresciuta, ha saputo darsi una dimensione nazionale, grazie ai risultati ottenuti a livello mondiale.
Falcao ne ha portata alta l'immagine nella squadra forse più amata del mondo; io, assieme agli altri ventuno compagni dell'avventura spagnola, ho fatto sì che della Roma si parlasse anche laggiù, oltre che in Germania, in Polonia, in Argentina, in Perù. Ora ci conoscono anche nel Camerun.
È un'eredità bellissima, questa che ci viene dal mundial, e sarebbe un delitto non metterla a frutto. Da parte mia, ce la metterò tutta, come sempre.
Questa vittoria ai mondiali mi ha provato duramente, tutti sapete quanto ho patito per rimettermi in carreggiata, per uscire dal sogno e tornare alla routine di sempre. Ad un certo punto, lo confesso, ho temuto di non farcela. Ero stordito dai complimenti, dai banchetti, dalle targhe, dai riconoscimenti, dalle feste, intontito dall'ebbrezza incredibile di ritrovarmi da un giorno all'altro protagonista come mai avrei immaginato di poter essere. Mi bastava incontrare un amico, un conoscente, un tifoso particolarmente entusiasta per crollare, per sciogliermi in lacrime, per non reggere all'emozione dei ricordi.
Ecco, ricordi, bellissimi, ma sempre ricordi. Ora debbo metterli da parte. Mi serviranno per trovare la carica, per farmi rispettare più di prima, per dare ancora più lustro alla maglia che indosso, ma, lo ripeto, ora è il momento di lasciarsi tutto alle spalle, e andare avanti.
Di una cosa sono certo: questo sarà un campionato indimenticabile.
Sentirsi considerati, quando si è professionisti seri, significa rendere di più; sapersi con gli occhi puntati addosso non aumenta solo il carico delle responsabilità, ma anche il desiderio di continuare a stupire.
Ne sono convinto, il calcio italiano stupirà ancora. Qualcuno, preso dalla rabbia della sconfitta o peggio ancora assolutamente incapace di giudizi tecnici appropriati, ci ha affibbiato la solita etichetta di catenacciari. Questo campionato dimostrerà, al contrario, a quali livelli sia cresciuto il gioco all'italiana. Il modello della nazionale, di una squadra capace di difendersi e di attaccare come nessun'altra al mondo, stimolerà le squadre in lizza all'emulazione.
lo ritengo che la vittoria in questo mundial giovi alla nostra scuola anche sul piano della mentalità: oggi non abbiamo più soggezione di nessuno, sappiamo (perché l'abbiamo dimostrato) che il nostro calcio può reggere il confronto con chiunque, che sono gli altri a doverci temere.
Credo che queste certezze, comuni alla massa dei tifosi, oltre che a quella dei tecnici e dei giocatori, faranno lievitare la qualità del nostro campionato in misura considerevolissima. Aumenterà lo spettacolo, si segnerà di più.
Non ho la sfera di cristallo, ma sento di poter dire che questa vittoria permetterà al calcio italiano di continuare sulla strada del progresso.
Ho letto con molta attenzione, in Spagna, le previsioni di quegli osservatori che si sono divertiti a disegnare il quadro dello sport come sarà di qui a dieci, venti anni: stadi per oltre duecentomila spettatori, enormi schermi sui quali verranno riproposte, immediatamente, le azioni più importanti, innovazioni nelle regole che più frenano lo spettacolo, moviola in campo ad uso dell'arbitro.
È un panorama stellare che non mi spaventa: le novità mi piacciono, ammesso poi che io faccia in tempo a viverle. A ventisette anni, penso proprio che queste innovazioni rivoluzionarie le lascerò in eredità ai miei successori. In ogni caso, sin dalle prossime stagioni i cambiamenti saranno evidenti: la gente andrà allo stadio più volentieri, perché sarà più motivata.
Oggi, al di là degli interessi di parte, del tifo di campanile, gli italiani sanno di poter contare su un grande impianto di gioco: siamo i primi nel mondo, i tifosi non lo dimenticheranno facilmente.
Del resto, ci sono un mucchio di ragioni per poter scommettere sulla crescita dell'effetto-spettacolo: innanzitutto, come ho detto, l'accresciuta maturità dei giocatori italiani.
Ci accusano da sempre, o per lo meno lo facevano fino a qualche tempo fa, di non essere professionisti seri, di basare tutto sui conti in banca, di pensare soltanto ad arricchirci senza correre troppi rischi.
Penso che quanto è successo in Spagna, serva a cancellare quest'immagine che non risponde assolutamente alla realtà: siamo professionisti veri, altro che storie, e possiamo vantarcene. Ci sacrifichiamo come e più degli altri e siamo anche un po' stufi, mi si perdoni la franchezza, di sentirci sbattere in faccia, ogni giorno, ad ogni occasione, modelli stranieri.
Quelli si allenano tre volte al giorno, quelli giocano duecento partite all'anno, quelli stanno sei mesi in ritiro. "Quelli" faranno quello che vogliono, ma i campionati del mondo li abbiamo vinti noi, con tutti i nostri difetti. Si vede che poi, tutto sommato, non ne abbiamo troppj. Anzi, per quanto ne so posso dire che non ne abbiamo affatto. Ci sacrifichiamo come e più degli altri, siamo costretti a rinunciare ad un sacco di cose che ci piacciono. Spesso non sappiamo cosa sia la famiglia, ancora più di frequente possiamo anche scordarci la scampagnata, l'uscita dopo cena, il cinema o il night-club.
Siamo sottoposti a stress quotidiani, anche se ci alleniamo in fondo non più di tre ore al giorno. Dobbiamo guardarci dagli amici! Dobbiamo guardarci da noi stessi, dalla voglia di uscire dalle righe, di rompere certe regole che proprio non ci vanno giù. Dobbiamo essere disponibili anche, nei confronti dei tifosi che ci danno tanto (e spesso chiedono molto) e nei confronti delle società.
Tutto questo -assieme a quanto c'è di bello, ai goal, alle vittorie, ai quattrini lo facciamo in media per dieci, quindici anni. Qualcuno, anzi parecchi dicono che guadagniamo troppo. Se si considera quanto dura la nostra carriera, e soprattutto se questi introiti vengono paragonati a quelli di protagonisti di altri sport (che so, il tennis, l'automobilismo, lo sci), non mi sembra ci sia molto da scandalizzarsi: in fondo, noi non rubiamo niente, cogliamo i vantaggi di questo sport diventato da qualche tempo un gigantesco business. Non penso sia giusto crocefiggerci per questo.
Ecco, mi sono sfogato, ma la mia tirata aveva uno scopo preciso spiegare a chi ha avuto la pazienza di seguirmi fino a questo punto che i giocatori italiani non sono dei bambini viziati, né degli imbecilli che si divertono a restare ragazzini correndo in mutande la domenica, magar fino a quarantenni suonati.
Siamo cresciuti, non soltanto a livello tecnico. E i prossimi campionati lo dimostreranno.
Questa, come dicevo, è la ragione principale per cui credo fermamente in un gioco migliore. Ma non è la sola. La seconda in ordine di importanza è l'arrivo del secondo straniero. Ma come, direte, prima sostieni che la scuola italiana è impagabile e poi ci vieni a raccontar che gli stranieri servono come il pane?
Sì, e non mi contraddico. Ho detto che il calcio è cresciuto, negli ultimi anni, e che ha raggiunto ormai un grado di maturità notevole.
Non ho ancora detto, però, "come" è maturato. Secondo me una delle ragioni principali, oltre alla crescita del livello tecnico degli allenatori e dei preparatori atletici, è proprio l'arrivo degli stranieri. I campioni che vengono dall'estero, a patto che siano campioni veri, servono ad suscitare entusiasmi, nel pubblico e nei giovani, fanno da stimolo anche ai compagni di squadra, contribuiscono a far crescere il livello di concentrazione, di grinta, di applicazione in campo e fuori. Falcao, non ho problemi a dargliene atto, ha accelerato con la sua opera i tempi del "lavaggio del cervello" avviato da Liedholm: ha aiutato la Roma a trovare una mentalità vincente che non possedeva.
E lo stesso ha fatto Krol al Napoli, Schachner al Cesena, lo stesso Brady alla Juventus, se è vero che con lui i bianconeri hanno vinto due scudetti in altrettanti campionati.
Dunque, ben vengano gli stranieri, la gente li ama, subisce il fascino dei grossi nomi, ed è giusto così. Noi giocatori di casa non ci sentiamo defraudati: l'arrivo di Falcao a Roma non ha certo offuscato la mia immagine presso i tifosi, né quella di Pruzzo o di Di Bartolomei. Noi restiamo noi, loro sono altri beniamini che trovano spazio nel cuore della gente.
Ben vengano gli stranieri, quindi, purché siano di qualità. Mi pare che gli operatori di mercato hanno fatto in fretta ad entrare in certi meccanismi, ora, possono anche ingaggiare un giocatore di secondo piano, ma un bidone no. Gli ultimi arrivi, da Passarella a Boniek, da Platini ad Hansi Muller, da Uribe a Surjak, da Edinho a Hernandez, da Diaz a Francis, da Peters a Dirceu, mi sembrano tutti di primissimo piano. Meglio così. Ci sarà più gusto a sfidarsi, domenica per domenica.
Sono entusiasta del condono ai giocatori squalificati: il campionato ha bisogno di personaggi come Giordano e Manfredonia, e comunque il calcio meritava un gesto di clemenza; questi ragazzi, se hanno sbagliato, a mio avviso hanno pagato anche troppo. Rossi, ha trascorso mesi d'inferno. Loro avevano la prospettiva di vedere allungare l'agonia per un altro anno e mezzo: forse troppo per non perdere gli stimoli necessari per sacrificarsi ogni giorno sul campo.
Sono felice. Ritrovo due amici, e presto ritroverò anche un derby. Conosco Giordano, la sua fame di goal porterebbe lontano anche squadre molto meno attrezzate. E poi Giordano può tornare utile anche per la nazionale. Visto Rossi, perché non credere nel pieno recupero di quello che veniva definito, accanto a Paolo, il migliore attaccante del nostro campionato?
Sono felice per loro e felice per il calcio. Anche la gente aveva bisogno di un segnale del genere: è un messaggio di distensione, quello firmato dal governo del pallone, un gesto di magnanimità che può significare molto, in una stagione che, ne sono certo, finirà col consacrare definitivamente questo paese la nuova California del calcio. Sappiamo praticarlo, sappiamo divertire, sappiamo vincere, e, dopo quanto è successo con il condono deciso dal consiglio della federazione, abbiamo dimostrato di sapere anche comprendere gli errori dì chi sbaglia. Sarò un ingenuo, o forse tendo ad enfatizzare troppo un provvedimento che avvantaggia del resto ragazzi che meritavano comprensione, ma credo che tutti i veri amanti del calcio saranno rimasti favorevolmente impressionati da questa decisione. Ma torniamo al campionato e alle sue promesse tecniche.
Chi si è rafforzato di più? La Juventus. E' una risposta addirittura obbligata. Oltre a Boniek e Platini, ha ritrovato Rossi e Bettega, ed il Tardelli rivisto al mundial. Francamente, sulla carta, sembra una squadra di un'altra categoria.
Che abbia già vinto il campionato però no, non me la sento di dirlo.
Certo, è fortissima, è la squadra da battere, ma anche il Brasile lo era, al mundial, e avete visto com'è andata a finire.
Ecco, mi piacerebbe essere un mago e raccontarvi in anticipo chi sarà l'Italia di questo campionato. Dico che, se la Juventus è il Brasile, ci sono buone possibilità che il ruolo degli azzurri se lo contendano Roma, Fiorentina e Inter, tutte sullo stesso piano.
Le altre, dal Napoli al Torino, dall'Udinese alla Sampdoria (potrebbe essere una di queste ultime due la vera, grande sorpresa), mi sembrano leggermente inferiori.
L'Inter, che ha preso quel mostro di Collovati, è interessantissima: tecnicamente, poche squadre europee possono schierare piedi buoni come quelli di Hansi Muller, Beccalossi, Juary, accanto a centrocampisti formidabili come Orlali e Marini e difensori (Bergomi, Bini, Collovati, appunto) che non mollano mai.
La Fiorentina avrà il vantaggio di schierare un Antognoni tornato con la caratura ufficiale del leader, un Graziani rigenerato dal trionfo spagnolo e soprattutto un Passarella fantastico: l'argentino (uno, tra l'altro, che potrebbe segnare goal come un centrovanti di ruolo...) può davvero segnare una svolta nel futuro della squadra del mio amico De Sisti.
Restiamo noi della Roma. Avevamo bisogno di rinforzare la difesa. E' partito Bonetti, che è uno stopper di grandissimo avvenire, ma sono arrivati tre difensori eccezionali. Nappi, Maldera e il mio collega campeon Vierchowod dovrebbero regalarci una compatezza che non abbiamo mai avuto. Poi Prohaska, un centrocampista di gran classe, che riuscirà ad affermarsi molto più di quanto abbia potuto fare a Milano: il gioco che pratichiamo, tutto scambi di prima e manovre a zona, sembra fatto per lui. Non dimenticate che è stato fino al mundial il leader della nazionale austriaca: se non ha reso al cento per cento è perché, come tutto il resto della squadra, ha accusato un cedimento imputabile al caldo, cui evidentemente nessuno di loro era abituato.
In avanti, oltre a Scarnecchia e Chierico che sono forse le estreme giovani più brillanti del campionato, è arrivato un altro che sa fare i goal, lorio farà sentire Pruzzo meno solo e me più tranquillo: avrò un punto di riferimento in più per i miei cross.
Ma gli acquisti più grossi di questa Roma sono altri due, se permettete. Innanzitutto Ancelotti. Se Carlo continua a progredire, noi ritroveremo un fulcro insostituibile, la nazionale un altro giocatore sul quale fare affidamento ad occhi chiusi.
Poi ci sarà Falcao. Ormai lo conosco troppo bene, questo campionato così difficile finirà con l'esaltarlo: a Paolo, come a tutti i grandi campioni, piacciono le cose impossibili. Vedrete che si esprimerà su livelli ancora superiori a quelli sfoggiati ai mondiali. Ormai è una vedette internazionale, lo sa ed è troppo intelligente per non sfruttare sino in fondo l'immagine che si è conquistato a mio avviso persino con troppo ritardo. Sarà un protagonista, come la classe che lo contraddistingue lo obbliga ad essere. In questo senso, Falcao è davvero un predestinato, come tutti i fuoriclasse.
Ed io? lo posso solo ripetere una promessa che ho già fatto qualche tempo fa. Continuerò a giocare per divertirmi e per divertire. Per me è sempre stato così. Da ragazzino, sarei dovuto andare negli Stati Uniti, per prendere magari il posto del grande Alfredo Lauri, il mio maestro di baseball. Ma rinunciai a quello sport, nel quale avevo ugualmente un avvenire, proprio perché il calcio mi piaceva di più.
Da oggi, anzi dalla sera dell'undici luglio, ho trovato anche uno stimolo in più: ho qualcosa da difendere, qualcosa da tenere alto come una bandiera. Nei confronti della mia squadra e del mio pubblico, avverto in maniera considerevolissima quest'impegno. Quello che ho vinto deve servirmi da molla per raggiungere traguardi sempre più entusiasmanti.
Un amico di Nettuno mi ha chiesto di recente: "Saresti disposto a rinunciare al titolo vinto in Spagna pur di vincere uno scudetto con la Roma?" Non sono discorsi da farsi. Con la Roma ho esordito nel 1973, contro il Torino all'Olimpico. Avevo appena diciott'anni. Da quel giorno, nonostante due parentesi al Genoa, ho sempre tifato giallorosso. La Roma è una parte di me, della mia vita, ma anche la nazionale lo è diventata e io quando mi sento così coinvolto in un'esperienza, in una situazione, do sempre tutto me stesso, senza riserve, e scendo sempre in campo per vincere.
Poco conta se ho sulle spalle una maglia giallorossa o una azzurra: non potrei mai rinnegare quello che ho fatto, anche nella prospettiva di raggiungere un altro traguardo fantastico. A me i traguardi piace cercarli tutti, senza distinzioni.
Una cosa, però, penso di poterla dire: oggi, dopo questa vittoria in Spagna, sento che il successo in campionato, un altro trionfo a distanza di pochi mesi non solo è possibile, ma addirittura vicinissimo.
Da oggi sarà questo il mio obiettivo più grande, e proverò a centrarlo con tutte le mie forze, farò l'impossibile per trasformare l'Olimpico in un Santiago Bernabeu.

Parola di campione del mondo.

 


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