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Bruno Conti
Il mio Mundial

A tutti i tifosi italiani

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CAP. 06 - IL CAMERUN'

So che in Italia se ne sono dette di tutti i colori, prima, durante e dopo questa partita. Ricordo che un amico, al momento di partire da Nettuno, mi raccontò l'ultima storiella: "Sai, ho visto un incontro del Camerun ad una tivù privata. Hanno un bel centravanti, anche se ieri s'è mangiato un goal e due terzini..."
Noi comunque, dopo aver visto questi africani contro Perù e Polonia (altri due pareggi in bianco, per chi non lo ricordasse), non avevamo più nessuna voglia di ridere. Anche Bearzot, peraltro, ci aveva avvisati subito che non era il caso di scherzare: "Questi" aveva detto "hanno un tale fiato che di partite possono giocarne anche tre nello stesso giorno". Chi aveva ancora dubbi, poi, se li era visti cancellare dalle due partite che il Camerun aveva giocato ai mondiali. Dopo le prime due giornate delle eliminatorie, tutti erano concordi nel considerarlo, assieme con l'Algeria, la vera sorpresa del mundial,
E contro questi terribili negroni noi ci giocavamo la faccia.
Eravamo tesi, come nasconderlo? Ci bastava un pari, è vero, ma se ci fanno un brutto scherzo negli ultimi minuti, supponiamo, come facciamo a riparare con quel portiere paratutto?
Decidemmo di attaccare, ma senza scoprirci. Dovevamo giocare, praticare le nostre manovre a largo respiro, senza farci prendere in velocità. Tra l'altro, a me personalmente, questi giganti non erano sembrati affatto così sprovveduti quanto a tattica e comportamento in campo. Vincent, il francese che li allena, aveva saputo insegnare loro come disporsi a zona, a centrocampo e soprattutto a smarcare i difensori (i più temibili nelle conclusioni da fuori) a rotazione. Insomma, c'era poco da stare allegri.
Arrivammo al Balaìdos piuttosto nervosi. Loro, i negri, cantavano il loro inno mettendosi la mano destra sul cuore. Cabrini e Tardelli, appena partirono le note dell'inno di Mameli, si presero per mano: bisognava darci dentro, era un'occasione che non potevamo perdere.
Andavo ancora ripetendomelo quando ne persi una io da suicidarmi sul campo. Antognoni battè una punizione a sorpresa, sul vertice sinistro dell'area: io scattai a tempo, seguendo la traiettoria a scavalcare la barriera. Mi trovai solo davanti al gigante nero: bastava portarsi la palla sul destro e calciare, la porta era praticamente vuota. Invece, da perfetto imbecille, ho cercato la finezza, il tocco beffardo a sinistra, tra palo e portiere, e così ho sbagliato il goal più incredibile della mia vita.
No, l'ho detto cento volte: non ero in fuorigioco. Anche i miei compagni, nell'intervallo, cercavano di sostenerlo per trovarmi un alibi: "Credevi di essere in posizione irregolare" mi dicevano "e hai calciato senza riflettere, pensando che l'arbitro stesse per fischiare". Macché. Sapevo di non essere in off-side avevo solo sbagliato come un pollo.
Almeno, poi, fosse finita lì. Niente. Volevo rifarmi, e cominciai ad intestardirmi nella ricerca del colpo ad effetto, rischiando soltanto di squilibrare la squadra, ed esponendomi a qualche altra figuraccia. Che volete, il calcio è così; se sbagli, perdi la testa, fai l'impossibile per farti perdonare, per cancellare dagli occhi del pubblico il liscio, il tiro sbilenco, la deviazione fuori a porta vuota, e il più delle volte, continui semplicemente a sbagliare, a sbagliare senza sosta.
Sì, quella col Camerun è stata la mia partita peggiore. Forse la peggiore di tutta la squadra, nel complesso. Dopo il goal di Graziani, avremmo dovuto fare polpette di questi negroni che non chiedevano altro che di uscire dignitosamente dal primo mondiale della loro storia, e invece niente. Non avevamo neanche finito di gioire per la capocciata di Ciccio, che ci imbambolammo in difesa, confezionando per i nostri amici d'Africa l'uno a uno più facile del mondo. Roba da sbattere la testa contro il muro.
Per fortuna non l'abbiamo fatto. E, anzi, abbiamo trovato proprio da questo pareggio (oltre che da quello regalato al Perù) la forza di cercare l'impennata, il colpo di coda. D'improvviso ci siamo trovati come un corridore impegnato allo sprint con avversar! agguerritissimi: non basta più pedalare, ci siamo detti, bisogna piazzare il colpo di reni al momento buono.
E' il momento buono è arrivato, contro l'Argentina e il Brasile, al Sarrià di Barcellona. In fondo, sento molta gratitudine nei confronti dei ragazzi del Camerun, per la loro allegria e soprattutto per quello che ci ;hanno fatto capire: dopo una qualificazione ottenuta con tre pareggi, 'era arrivato il momento di rischiare. È stato come se ce l'avessero detto: noi veniamo dal Camerun, partecipare a quest'avventura è già un'emozione formidabile, ma voi venite dall'Italia, da uno dei paesi che ha fatto del calcio un'arte: non potete accontentarvi come noi, dovete provare a regalarvi e a regalare ai vostri tifosi qualcosa di più di una partecipazione ai mondiali.
Sì, dobbiamo molto a quella formazione di giganti neri: ci hanno fatto capire che pareggiare non serviva più.
Non dimenticherò mai il dopo-partita. Questi amici africani, ormai posso chiamarli così, hanno invaso il nostro spogliatoio prendendoci come ricordo magliette, calzoncini, calzettoni, tutto.
Erano ubriachi di felicità, hanno brindato alle nostre fortune dicendo che loro, in fondo, il mundial l'avevano già vinto. Sono personaggi incredibili: quel giorno, arrivarono allo stadio ascoltando musica, ridendo, scherzando tra di loro; noi eravamo tesi, preoccupatissimi, loro ci mostravano i denti bianchissimi, sorridendo come divi del cinema Che bello poter giocare così!




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