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Bruno Conti
Il mio Mundial

A tutti i tifosi italiani

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CAP. 16 - IL MISTER


Alassio. Bearzot segue i progressi
di Conti e Vierchowod

L'ho lasciato quasi alla fine apposta, nel mio diario mundial, ma nei miei ricordi, ricopre largamente il primissimo posto. C'è chi ha scritto che noi azzurri abbiamo vinto per lui. Mi sembra retorico. Si vince per se stessi, per i tifosi, per la propria maglia, per la gloria, per i quattrini. E si vince anche per l'allenatore: è quello che ti sta più vicino, che ti prepara, che ti aiuta, che ti toglie dai guai.
Diciamo allora che abbiamo vinto "anche" per Enzo Bearzot: era il minimo che potessimo fare, visto quello che lui ci ha dato sul piano dell'onestà, dell'appoggio, della correttezza.
Se è vero che questa squadra in Spagna ha finalmente trovato un'anima, è vero che lui è stato la persona che, contro tutto e contro tutti, ha saputo indicare su quale strada cercarla. Proprio quando sembrava che in tanti si accanissero per tagliargli le gambe, è riuscito a far valere le sue convinzioni, i suoi principi, le sue scelte, cominciando dove più conta, e cioè fuori dal campo, dove ha saputo creare un clima eccezionale.
Ha formato una squadra, preoccupandosi prima di ogni altra cosa di darle compattezza, unità, amicizia, ha formato un'idea di gruppo e l'ha fatta crescere, giorno per giorno.
Ha avuto anche la forza di subire tutto senza restarne travolto. ,
È la sua forza, la sua caratteristica di terribile furlàn: raccoglie, mastica amaro, ogni tanto scalcia e reagisce digrignando i denti, ma per farlo mollare devi abbatterlo con una schioppettata.

È stata un'esperienza magnifica, credetemi, stare dalla sua parte, godere i vantaggi di una personalità così spiccata. Ricordo perfettamente il discorso che ripete ogni volta agli esordienti: "Vai in campo tranquillo, gioca come sai fare, lo so che puoi andare molto bene, la stoffa ce l'hai. Comunque non preoccuparti di niente. Il responsabile tecnico sono io, se va male le colpe me le prendo volentieri: ti ho scelto perché credo in quello che puoi dare alla squadra; se non ci riesci, sarà per caso o per sfortuna. Tu metticela tutta, e sappi che, comunque vada non mi pentirò mai di aver preferito te ad un altro".
E' difficile spiegare cosa ci si sente dentro, giovani o meno giovani, quando un allenatore ti fa un discorso così. Desiderare di ripagarlo con tutte le proprie forze, dare il meglio per ringraziarlo sul campo di quello che ha fatto è il minimo che si possa sperare. La compattezza, l'unità di squadra di cui parlavo prima, nasce anche da queste cose: non ci si può non sentire tutti nella stessa barca, quando al timone c'è un tipo così.
Bearzot, per molte cose, mi ricorda Liedholm, un altro allenatore inarrivabile dal punto di vista tecnico. Anche lui, checché ne dicano , è apertissimo al dialogo, accetta le critiche, è disposto ad aprire la discussione in qualsiasi momento. Ma vuole che tutto sia impostato su norme rigorose di correttezza, di serenità, addirittura di privacy.
Liedholm mi disse un giorno: "Se mi capitasse di doverti escludere dalla prima squadra, puoi venire da me e chiedermelo direttamente, quando ti pare. Ti darò tutte le spiegazioni che vorrai, ma, per favore, evita le polemiche, le sparate pubbliche: non dobbiamo affiggere manifesti sui fatti nostri, quello che c'è da dire, ce lo diciamo tra noi, a quattrocchi".

 



Bearzot, Conti ed... un trofeo di pesca

Bearzot deve pensarla esattamente alla stessa maniera. Detesta la pubblicità non richiesta. E fa bene, è corretto anche in questo: se ha qualcosa da dire, lui non convoca una conferenza-stampa, ti chiama e te la dice. Non sfrutta la popolarità per trovare appoggi, non gli interessa vedere condivise le sue opinioni dagli altri, meno che mai da quelli che gli tengono il fucile puntato contro.
"Rivendico il diritto di sbagliare di testa mia", gli ho sentito ripetere spesso. Credo che, dopo Madrid, nessuno possa più negarglielo. Non intendo farne un eroe nazionale, dico solo che, come uomo e come tecnico, non mi pare che la sua figura conosca incrinature. Quello che vale come persona, lo ha detto anche il presidente Pertini: "Lei, caro Bearzot, ha la forza degli onesti".
Il mundial lo ha provato più di tutti noi, ora deve riposare. So che è tornato per qualche giorno dalle sorelle, in Friuli, nel paese dove è nato, Ajello, una delle località colpite dal terremoto.
Una volta gli ho sentito dire che lasciare la casa che era del padre, una costruzione di paese, uno di quei gioielli che sembrano strappati alla roccia, aveva rappresentato per il mister uno dei più grandi dolori della sua vita.
Ha la sua terra nel sangue, e non potrebbe essere altrimenti; è troppo tranquillo, troppo riservato, troppo sensibile per subire il fascino delle grandi città.
lo, che vivo a Nettuno per scelta personale, macinando chilometri ogni giorno, lo capisco benissimo; la vita del piccolo centro, la familiarità, la pace, l'amicizia sono cose che non si dimenticano, e chi riesce a mantenerle può considerarsi un privilegiato.
Ma torniamo a Bearzot. Ho già avuto modo di dire che il suo carattere si rivela un grosso vantaggio per chi si muove nel suo entourage. Di certo le sue qualità, specie nel corso di un ritiro lungo come quello che abbiamo vissuto da Alassio a Madrid, risaltano tutte in misura incredibile. Bearzot sa essere gradevolissimo, sul piano umano: è sempre il primo a scherzare quando è il momento, il primo a farsi sentire (ma sempre con la sensibilità, la bonarietà che ho descritto) quando è necessario. Ho raccontato l'episodio delle carte. Non è un moralista che detesta il gioco, tutt'altro; sull'aereo presidenziale, in coppia con Causio, è riuscito a battere Pertini, che anche a scopone è un fenomeno. Il fatto è che aveva notato che le ripicche, le discussioni, le liti, per quanto scherzose, andavano infittendosi: "Lasciate perdere, ragazzi" ci disse allora "siete già abbastanza tesi perché dobbiate caricarvi ancora di più col tressette. Quando non ne potete più di stare seduti in albergo, andate a fare una passeggiata, giocate a flipper, fate una partita a ping-pong o a calcio ballila, piazzatevi davanti alla tivù. Preferirei che smetteste di giocare a carte, lo faremo dopo, quando torneremo a casa: allora sì che potremo davvero rilassarci".
Smettemmo subito, i mazzi tornarono rapidamente nei cassetti dai quali li avevamo estratti, lo diventai un campione di videogames, altri impararono a giocare a ping-pong come dei cinesi, e senza nessun rammarico, anzi, più passavano i giorni e, anche vedendo i risultati, più ci convincevamo di quanto Bearzot avesse avuto ragione.
Molti mi chiedono come sia in privato. Posso dire quello che so, avendolo frequentato in ritiro, poiché non ho avuto la fortuna di essere mai stato a cena a casa sua, né di averlo incontrato in altre occasioni.
Non è un dormiglione. Anzi, proprio per essere sicuro dì non rivoltarsi inutilmente nel letto, preferisce tirare spesso le ore piccole, fumando la pipa e scambiando quattro chiacchiere.
Adora la pipa. Ne ha due, bellissime, regalatategli dal presidente Pertini; fuma una mescola strana, abbastanza forte, ma dal profumo gradevole. A me, perlomeno, piace molto.
Veste con gusto, l'ho notato subito, e con molta sobrietà, azzurro e bleu, anche questo probabilmente nel rispetto della sua passione per la nazionale, i colori che gli piacciono di più.
Ha un rapporto splendido con la moglie. Riesce a parlarle anche a lungo, al telefono, senza toccare minimamente l'argomento calcio. A lei, ci dice spesso sorridendo, non interessa affatto.

 

 

Tra i ricordi tecnici più vivi di quest'avventura in Spagna conservo le sue descrizioni degli avversari.
Non c'era dettaglio, sulle caratteristiche di gioco di una formazione o dei singoli, che noi non conoscessimo alla perfezione prima di scendere in campo. "Quello finta sempre sulla sinistra, non ci cascare". "Attento a quell'altro, dribbla a rientrare, più che tirare cerca sempre il cross". "Questo è un po' codardo. Se gli fate sentire che non siete lì a scherzare, si ritira subito nel guscio".
I suoi racconti (prima di arrivare in Spagna aveva effettuato una specie di giro del mondo per osservare i nostri avversar!, Camerun e Perù compresi) e l'uso accurato delle videoregistrazioni sono stati il supporto più ricco sul quale abbiamo fondato la nostra vittoria; il resto, lo ha fatto la sua umanità, la capacità di farci sentire uniti qualunque cosa accadesse, la sua abilità di allenatore.
Già. Cosa dire a chi sosteneva che i sistemi di preparazione atletica di Bearzot erano sbagliati? Usciti da Vigo, e quindi da quindici giorni di allenamenti nei quali stentavamo a trovare uniformità di ritmo, ci siamo affermati come la squadra podisticamente più ricca del mundial.
Contro l'Argentina, il Brasile, la Polonia, la Germania, tutte squadre famose per le risorse atletiche almeno quanto per quelle agonistiche, abbiamo spesso dimostrato di possedere una marcia in più. Certo, eravamo già preparati per conto nostro. Le maggiori conoscenze in fatto di preparazione, la crescita del livello organizzativo delle società, l'utilizzo di specialisti nelle sedute d'allenamento ha fatto sì che i calciatori italiani, accusati sempre di lavorare poco, si siano portati sullo stesso piano di quelli stranieri, quanto ad intensità e completezza di training.
Ciò non toglie che i tre quarti dei convocati sono arrivati ad Alassio con le gomme a terra. Eravamo sfibrati da un campionato terribile, finito in testa e in coda solo all'ultima giornata. Zoff, Gentile, Cabrini, Scirea, Tardelli, Antognoni, Graziani, addirittura sette titolari su undici uscivano da uno stress incredibile, durato trenta giornate di fila, lo ero acciaccato, con quel maledetto ginocchio che mi faceva tremare. Collovati era psicologicamente provato dalla retrocessione del Milan in B. Orlali e Marini, "l'undicesimo uomo" di questa nazionale, non venivano davvero da una stagione riposante, visto che si erano sciroppati fino all'ultimo (vincendola, tra l'altro) anche una coppa Italia.
Metterci in riga, insomma, ricostruire il nostro top psico-atletico non era affatto facile. C'era poi il problema del caldo (e qui fortunatamente ci ha dato una mano la brezza di Vigo), e quindi di un'alimentazione che, di pari passo con la preparazione atletica, ci mettesse nelle condizioni di non scoppiare al primo impatto con l'impegno agonistico, durissimo anche sotto il punto di vista della tensione emotiva.
Ebbene, lo staff azzurro, guidato proprio da Bearzot e dal dottor Vecchiet, non ha sbagliato una mossa. A chi ci criticava dopo i cali accusati nei secondi tempi di Vigo (non contro la Polonia, però, anzi nella seconda parte di quella partita giocammo molto meglio), Bearzot rispondeva sempre: "Saremo in forma al momento giusto, quando servirà davvero correre più degli altri".
Ricordate? A rileggerle adesso, certe cose, vengono i brividi.
L'abbraccio del Santiago Bernabeu, il rituale dell'allenatore sollevato e lanciato in aria come in un film americano, quella mischia di gioia in mezzo al campo ha avuto per noi un sapore particolare; volevamo festeggiare l'uomo, prima ancora che il tecnico, ringraziarlo per quanto ci aveva dato.
Sì, è vero. In Spagna abbiamo vinto anche e soprattutto per Bearzot.




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