C'era una volta Alassio, e poi Vigo, e poi ancora Barcellona, ed infine; Madrid. Chissà, forse un giorno comincerò così, raccontando questo mundial ai miei nipotini. Del resto la mia è proprio una favola, una bella favola, una favola incredibile. Un giorno siamo partiti dall'Italia per andare a disputare un torneo di cui non dovessimo vergognarci, e siamo tornati invece campioni del mondo, i più bravi, i più applauditi, i più ammirati.
Un'esperienza fantastica che sento di aver diviso con milioni di italiani: loro davanti ai televisori o calcati dentro stadi arroventati dal sole, io, con i miei compagni, dall'altra parte della barricata, dove si corre, si suda, si soffre, ma dove si può anche impazzire di felicità.
A me è successo, ed è successo a Zoff ed a Cabrini, a Orlali ed a Tardelli, a Rossi ed a Bearzot, a tutti i compagni indimenticabili di questa avventura indimenticabile.
Cominciò ad Alassio, l'ho detto, tra l'amarezza delle critiche, la tensione, la preoccupazione di tutti noi, ed è finita al Santiago Bernabeu di Madrid, per me oggi il più bello fra tutti gli stadi del mondo, mentre centoventimila persone battevano le mani impazzite mentre Dino Zoff, in un tripudio di bandiere tricolori, levava il alto, nel cielo di Madrid, il trofeo che ci consacrava campioni del mondo.
Eravamo campioni, avevamo portato a termine un'impresa entusiasmante, contro tutto e contro tutti. In Spagna, in questo mundial che ci ha laureato maestri del calcio internazionale, abbiamo dovuto lottare non solo contro le squadre che ci avversavano, ma abbiamo anche dovuto lottare contro noi stessi, contro la nostra mentalità, contro le nostre paure, contro le convinzioni errate che avevamo maturato in tanti mesi di attesa.
Abbiamo vinto così, imparando a conoscerci l'un l'altro, aiutandoci, imponendoci carattere e grinta. La soddisfazione sfrenata e l'immensa gioia di oggi sembrano ancora più grandi perché possiamo dirci sicuri, tutti quanti, di essere cresciuti come uomini prima ancora che come calciatori. In Italia, la coppa stretta fra le mani come il tesoro più prezioso, abbiamo trovato un'atmosfera diversa da quella che avevamo lasciato; la gente aveva imparato a conoscerci oltre che ad amarci, seguendo giorno dopo giorno l'incredibile avventura che ci ha portato a sgretolare, una dopo l'altra, squadre come l'Argentina, il Brasile, la Polonia, la Germania.
La gente, che ha un bisogno disperato di credere in qualcuno, aveva capito che il calcio non è solo quello di Zico e Socrates, di Boniek e Lato, di Ardiles e Maradona, di Briegel e Rummenigge.
C'eravamo anche noi in quella parata di mostri, e potevamo giocare come loro, anzi, meglio di loro, perché oltre che il fisico abbiamo la fantasia, assieme alla serietà il coraggio, ed alla furbizia aggiungiamo anche un pizzico di allegria.
Potevamo giocare meglio di loro, potevamo batterli e l'abbiamo fatto puntualmente. Il pubblico l'ha capito ed è riuscito finalmente ad identificarsi in una squadra per la quale forse aveva tifato ma che, dalla notte dello stadio Atzeca di Città del Messico, non aveva più amato.
Per noi è stata un'esperienza incredibile; ci siamo sentiti avvolgere da un abbraccio immenso, soffocante, dal quale a distanza di giorni, di settimane, non riesco ancora a riprendermi. All'euforia è subentrata la preoccupazione, la voglia di tante persone che ora si aspettano sempre di più; e noi, proprio perché abbiamo dimostrato di esserne capaci, dobbiamo accontentarle in ogni modo. Fa parte dei nostri nuovi obblighi di campioni del mondo. Ci riusciremo, sul campo? Personalmente sono convinto di sì; vivremo un campionato esaltante, ci faremo valere nelle coppe, non daremo fiato a tutti gli avversari che, battuti al mundial, troveremo agli europei.
Chi dovesse pensare che, rigiocando il mundial, l'esito sarebbe diverso, si renderà conto che, se la condizione fisica ci assiste, possiamo ripassarceli tutti uno alla volta, e con lo stesso risultato finale.
Ma questo riguarda già domani. E io, invece, non ho troppa voglia di proiettarmi verso il futuro. Voglio vivere il presente, nel ricordo indimenticabile di quello che è stato.
Quanti, in realtà, sanno esattamente quello che è successo in quelle giornate incredibili? Quanti conoscono veramente quello che facevamo, quello che dicevamo, quello che pensavamo? Quali erano le nostre paure, le nostre speranze, le nostre abitudini?
Ecco, questo libro è il racconto fedele di tutto questo. E' il diario di quelle giornate che hanno infiammato un paese di sportivi, è la storia di un'avventura che nessuno, né chi l'ha vissuta da protagonista né chi ne è stato semplice spettatore, potrà mai dimenticare.
La storia di un mundial. Del mundial che ha consacrato ventidue ragazzi come i più grandi giocatori del mondo. |