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Bruno Conti
Il mio Mundial

A tutti i tifosi italiani

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CAP. 03 - NELLA FORTEZZA DI PONTEVEDRA


 


Conti e Massaro nel ritiro di Pontevedra

Pontevedra mi diede subito l'idea di una fortezza. Anche troppo austera. Mi consolai pensando che ci avrebbe aiutato molto a trovare la concentrazione e la carica di cui avevamo bisogno.
L'albergo era tranquillo, un po' piccolo, ma sicuramente lontano dai clamori che avevano accompagnato anche gli ultimi allenamenti in Italia. La città, che mi ha ricordato Genova per il clima, per il porto, e per la cordialità della gente, mi risultò subito simpatica. In Galizia, tifavano tutti per noi. Anche questo, lo capimmo andando un po' in giro per le strade della città, ha contribuito a farci partire col piede giusto.
I problemi, piuttosto, venivano dai rapporti sempre più difficili con la stampa al seguito del nostro gruppo. Il clima diventò presto irrespirabile, lo conosco la maggior parte dei giornalisti, che stimo e con i quali sono sempre andato d'accordo. Alcuni di loro, però, venivano in albergo al mattino, parlavano con noi e con Bearzot, ripartivano con i taccuini pieni di appunti e, il giorno dopo, sui loro giornali si leggevano le cose più fantasiose. Di quello che ci eravamo detti, delle impressioni che ci scambiavamo in quelle ore di colloquio rimaneva poco o niente: tutto era distorto, o comunque elaborato in modo da sollevare polemiche, polemiche stupide, oltre che profondamente provocatorie, vicende che nella maggior parte dei casi non avevano niente a che spartire con il calcio.
Su questo argomento voglio essere chiaro, lo, e il discorso penso Possa valere per tutti i miei colleghi, sono un professionista, e professionisti sono i giornalisti, che proprio come tali hanno il diritto e il dovere di giudicarmi per quello che vedono in campo.
Da Vigo, invece, partivano i resoconti più incredibili, di cose che non sono mai esistite. Per capire il nostro stato d'animo, dovete anche rendervi conto di come si vive in un ritiro. I pochi momenti di distensione e di riposo sono quelli dedicati alle chiacchiere tra i compagni e magari a qualche telefonata a casa. Chiami tua moglie, o la tua ragazza, e racconti quello che hai fatto: un po' di shopping, qualche ricordino che le mostrerai presto, una partita a carte. Poi, il giorno dopo, la stessa persona, distante migliala di chilometri, legge sul giornale che sei stato al casinò, che hai fatto la corte a tutte le ragazze di Vigo, che i responsali della nazionale hanno rinforzato i controlli per evitare fughe notturne. La moglie, o la ragazza, ti chiama e apriti cielo: addio concentrazione, addio tranquillità.
E questo è solo un esempio. A Bearzot, che pure oggi viene osannato dalla critica, sono state mosse in quei giorni accuse mortificanti, soprattutto perché rivolte all'uomo, al suo carattere, se non addirittura alla sua intelligenza.
In questa situazione, visto che già stentavamo a trovare la tranquillità di cui sentivamo sempre più bisogno, decretammo il black-out, il rifiuto a rilasciare qualsiasi intervista, indicammo in Zoff, come capitano, l'unico giocatore delegato ad esprimere giudizi in relazione al nostro cammino nel mundial. Una decisione che ritengo tuttora ineccepibile, anche se a molti di noi pesò molto.
A me, ad esempio, sarebbe piaciuto fare una distinzione. Non rifiutare di netto il colloquio con tutti i giornalisti presenti in Spagna. Mi sarebbe anche piaciuto, attraverso i giornali, salutare ogni giorno i tifosi, far sentire loro quanto fossi determinato a regalare qualche grossa soddisfazione. Ma era impossibile: se dicevo che accettavo la sfida di Rummenigge, potevo anche leggere sul giornale, all'indomani, che il tedesco al mio confronto era un giocatore di serie C.
Per questo il black-out fu totale, senza distinzioni per nessuno.
All'inizio, ci servì molto per stare tranquilli, per trovare la concentrazione, specie alla vigilia di partite importanti come quelle con Argentina e Brasile. Poi, ora posso dirlo, continuammo ad effettuare questo silenzio stampa solo per scaramanzia: visto che portava bene, non ci sentimmo di revocarlo.

Ma torniamo a Vigo. Dopo i primi ottimismi, anche la Casa del Baròn si dimostrò poco più di un collegio, di un convento, se non di un carcere modello. Al di là delle stanze, della sala da pranzo e di quella della televisione, c'era solo un cortile piuttosto piccolo. Un po' poco per sgranchirsi le gambe o prendere un po' di sole senza doversi necessariamente tuffare per le vie della città.
C'era poi la polizia che ci seguiva senza pietà. Gli organizzatori temevano attentati e soprattutto rapimenti. In Spagna, ricordate, ci fu l'affare Quini: il giocatore, una stella del Barcellona oltre che un uomo di spicco nella nazionale di Santamaria, fu rapito e rilasciato dopo diverse settimane dietro pagamento di diverse centinaia di milioni.
Anche per noi, forse proprio in seguito allo choc popolare provocato da quell'episodio, c'era molta preoccupazione, e non potevamo muovere un passo senza ritrovarci affiancati o seguiti da militari o agenti della Guardia Civìl. Quelle giornate, vissute in questo clima, non erano proprio piacevoli come qualcuno poteva pensare. Allenamenti e riposo, pasti e televisione; non c'era molto da divertirsi.
A pensarci oggi, però, forse anche questo ci è stato utile. Costretti come eravamo arrestare tutto il giorno in albergo, non avevamo altro svago se non il videoregistratore. Uno strumento indispensabile, come ho già avuto modo di dire: a parte i videogiochi abbiamo avuto la possibilità di rivedere decine di volte i nostri avversari all'opera, di studiarceli uno a uno.
Non era poi così divertente, ma alla fine si è rivelato utilissimo. D'altro canto, sfido chiunque a divertirsi in un ritiro tanto lungo: io non ci sono mai riuscito, figurarsi in Spagna.
Pensate che, a un certo punto, sono stato perfino costretto a chiedere di dormire da solo. Ad Alassio, stavo in camera con Galli, un tipo che a qualunque ora, quando decide di dormire, beato lui, chiude gli occhi e dorme. A me invece capitava di stare sveglio fino alle due, alle tre, di alzarmi per fumare, di aver voglia di muovermi, di leggere, di parlare; ero nervosissimo, e avevo sempre paura di svegliarlo, anzi, ad onor del vero, credo di averlo svegliato parecchie volte, anche se lui, poveretto, non si è mai lamentato.
A Vigo, però, proprio per non dargli più fastidio, ho chiesto di stare solo.
Vedrai che riuscirai anche a dormire, mi dicevo, senza la preoccupazione di disturbare il tuo compagno di stanza. Ma non è cambiato nulla: ho continuato a dormire pochissimo per tutto il resto del mundial, non tanto per la fatica fisica quanto per lo stress.
Del resto, non ero certo il solo a soffrire questo problema. Selvaggi e Orlali non chiudevano occhio, proprio come me, per non parlare di Tardelli, forse l'unico ad aver dormito addirittura meno di me. Veniva quasi ogni sera a trovarmi, ormai sapeva che ero il solo a non mandarlo a quel paese, e spesso c'erano anche Orlali, Selvaggi e Causio. Restavamo svegli fino a tardi, chiacchierando in continuazione.
No, non parlavamo né di donne né di motori, come potrebbe pensare chi ci conosce poco: il nostro segreto, in questo mundial, è stato proprio quello di pensare solo al calcio. Parlavamo delle partite: di quelle giocate e di quelle da giocare, oltre che di quelle che avevamo seguito in televisione. Non ce ne siamo persa una: o in diretta o in differita, sempre comunque con l'aiuto del videoregistratore, non abbiamo perso un solo incontro di quelli disputati in Spagna. È una cosa che mi piace ricordare a quanti, in quei giorni di contestazione, ci accusarono di non essere professionisti fino in fondo.
Insomma, passavamo le notti a scambiarci opinioni sui nostri possibili avversari fino alla finale. Fatta fuori l'Argentina nel modo che sapete, ci abbiamo fatto la bocca, ma davanti avevamo l'ostacolo del Brasile. Un incubo per tutti. Con Tardelli, trascorremmo una nottata intera a parlarne. Ricordo che Marco continuava a chiedermi di Falcao: "Lo so" mi diceva "che è molto forte. Ma non credevo che riuscisse ad esprimersi su questi livelli. In Italia, nella Roma e in campionato, è già un leader, ma il dramma, per noi che dobbiamo incontrarlo, è che lo è pure nel Brasile. Capisci? Quelli sono i più forti del mondo e lui si muove da numero uno anche là in mezzo. Come possiamo annullarlo, tu che lo conosci bene?".
Potete immaginare con che cuore sognavo di vedere Falcao ai miei piedi, lui mio compagno in tante avventure con la maglia della Roma, ma in quel momento ho dovuto mettere da parte anche la simpatia, l'affetto, l'amicizia. Del resto ce l'eravamo detto anche a Roma, prima che lui partisse per il ritiro del Brasile: resteremo amici in ogni caso, ma se ci troviamo di fronte, fosse pure la finalissima, non possiamo mai dimenticare che siamo uno italiano e l'altro brasiliano.
Certo è che allora, in quella notte trascorsa insonne assieme a Tardelli a Pontevedra, non potevo immaginare come sarebbe andata a finire contro il mio amico Falcao.




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