Quanta gente ci è stata vicina, in questa corsa verso il titolo di primi giocatori del mondo, e quante personalità! Parlare di tutti è impossibile. Mi limiterò a qualche flash, rubato come sempre al mio album privato dei ricordi di questa trasferta spagnola.
Mi ha sorpreso la presenza, il portamento di re Juan Carlos, un monarca che mi hanno descritto come autenticamente illuminato, un uomo capace di garantire il trapasso dal franchismo alla democrazia, un vero baluardo contro qualsiasi attentato alla tranquillità del paese. Non dimenticherò mai il suo abbraccio al presidente Pertini al termine di Italia-Germania. Né dimenticherò facilmente la sua stretta di mano: è stato lui, secondo il rituale del mundial, a consegnarci la coppa. Sono momenti che mi porterò dentro tutta la vita.
Mi ha sorpreso anche il self-control di Schmidt il leader tedesco. Dal campo, non avevo francamente visto che cosa stesse facendo in tribuna. Óra, grazie al mio videotape, ho rivissuto anche quegli attimi: il suo applauso, sincero o no che fosse, è stato il simbolo tangibile di una vera sportività.
Un discorso a parte meriterebbe il presidente federale, l'avvocato Sordillo: poche altre federazioni credo possano vantare un numero uno altrettanto tifoso. In tribuna, credo riesca a faticare quanto e più di noi. Tutto quello che ha detto, dall'amichevole con la Svizzera in poi, è stato sempre ispirato dalla sua incredibile passione per questa squadra.
Visto cosa gli è capitato, negli spogliatoi di Italia-Argentina? Stretto dal nostro abbraccio, non è riuscito a trattenere le lacrime. È un altro dei mille ricordi stupendi di quest'avventura.
Ma non è davvero il solo, per quanto riguarda il presidente. Ogni volta che scendeva tra noi, prima di una partita, sapeva infonderci una carica impressionante. I suoi incitamenti ci esaltavano, ci mettevano in condizione di impegnarci con tutte le nostre forze. Prima del match col Brasile, riuscì a malapena a dirci: "Mi avete già fatto un grosso regalo. Cercate di farmene un altro". Alla fine, tra gli spruzzi di champagne e i nostri evviva, quasi rimaneva ancora zitto: "Sono talmente felice" ci disse "che non mi serve nemmeno la mia parlantina di avvocato: non posso trovare le parole per esprimere quello che sento".
Conservo un'ottima impressione anche del senatore Spadolini. Un uomo di una cultura impressionante, che credevo molto lontano dal nostro mondo, separato da noi da una montagna di interessi totalmente diversi. In Spagna ho conosciuto invece uno sportivo, un politico estremamente attento ai problemi del nostro ambiente, soprattutto un uomo di spirito, un personaggio incredibilmente brillante e disponibile.
Quello che mi ha entusiasmato più di tutti, comunque, è stato il presidente della Repubblica, Pertini. Non sono per carattere uno di quelli che soffrono il culto della personalità. Dico però che il personaggio Pertini è quanto di più coinvolgente, più affascinante, più simpatico si abbia la fortuna di incontrare.
Per noi il suo arrivo in Spagna ha rappresentato uno stimolo incredibile. Ci ha caricati solo con la sua presenza, solo con le sue battute. Ma non ricordate cosa disse a chi gli chiedeva un pronostico: "Tocco ferro! Io sono qui da appassionato, figurarsi se mi metto a fare il tecnico, se azzardo previsioni di qualsiasi genere. Una sola cosa posso dire: questi ragazzi ce la metteranno tutta. Sono onesti e testardi come Bearzot". Per tutti noi ebbe un'espressione speciale. A Zoff disse: "Noi vecchietti siamo sempre i migliori, dia retta a me. Per i giovani c'è tempo, noi siamo di un'altra stoffa". A Paolo Rossi: "Quando ha la palla tra i piedi, si sbrighi a giocarla. Altrimenti quelli le rompono una gamba. Capirai, non aspettano altro che azzoppare un campione come lei!". A me e a Graziani: "Attaccate, attaccate. L'attacco è la miglior difesa: nel calcio come nella politica. Prendete esempio da me. lo i miei avversari li ho "sempre stroncati con la grinta, con il carattere, con la resistenza".
Non dimenticherò mai quando l'ho notato, così minuto e impeccabile nell'abito bleu scuro, in tribuna d'onore, accanto a re Juan Carlos, mentre suonavano gli inni nazionali. Credevo che tutto il Santiago Bernabeu lo stesse guardando, in quel momento. Ed avrei voluto gridare: "Noi italiani avremo poche cose di cui vantarci all'estero, ma un presidente così dovete davvero invidiarcelo tutti".
Mi ha dato una carica incredibile saperlo là, a gioire ad ogni goal.
Tutte e tre le volte che abbiamo fatto centro mi sono voltato dalla sua parte. Era sempre in piedi, sempre sorridente, sempre pronto ad alzare il braccio verso di noi in segno di saluto.
Ho rivisto anche le sue inquadrature, al videotape. Dopo il goal di Altobelli, l'ho visto gesticolare in direzione di Sordillo: "Ormai non ci prendono più", ha detto al presidente della federazione.
E più tardi, quando siamo saliti in tribuna per ricevere la coppa, ci ha abbracciati uno a uno: "Bravi" ripeteva "avete fatto miracoli". Anche il ritorno a bordo del suo areo, da Madrid a Ciampino, è stato indimenticabile. Prima ha parlato con tutti noi, poi ha voluto giocare a scopone in coppia con Zoff, contro Bearzot e Causio.
Ha cominciato col prendersela con Dino, accusandolo di non ricordarsi le carte né le giocate, poi ha accusato il mister e Causio di farsi i segni: ne era convinto, e non ci stava a vederli vincere.
Più tardi, durante il pranzo che ci ha offerto nella sala degli Specchi al Quirinale, ha rinfacciato a Causio di aver vinto barando: "Solo così, mio caro, siete riusciti a farmi secco!".
Ma ancora più commovente è stato quando, sotto l'assalto dei fotografi, ci ha voluto regalare l'ultimo attestato di stima: a chi gli chiedeva di farsi ritrarre con la coppa della Fifa in pugno, ha risposto secco: "Niente affatto, io non c'entro. Non l'ho vinta io, ma questi ragazzi. E solo loro meritano di tenersela stretta".
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