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Bruno Conti
Il mio Mundial

A tutti i tifosi italiani

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CAP. 05 - IL PERU'


Italia-Perù. Dal piede sbagliato di Conti è partito il bolide del momentaneo vantaggio dell'Italia

Il Perù l'avevo visto in televisione, prima e durante il mundial. Prima, nel match con la Francia al parco dei Principi, mi aveva impressionato Uribe, che ritroverò adesso come avversario all'esordio con la Roma in campionato, a Cagliari: l'attaccante aveva incantato i tecnici francesi e preoccupato noi. All'inizio credevamo di dover tener d'occhio soprattutto la Polonia, ma questo Perù capace di imbrigliare la Francia che in fondo ci aveva battuto nettamente ci dava fastidio.
Insomma, pur senza tremare, ero un po' agitato. Mi calmarono i fiorentini, Antognoni, Galli, Graziani, Massaro e Vierchowod: loro col Perù avevano giocato al Comunale, ed erano rimasti impressionati più da Leguia (una mezzala che al mundial s'è vista poco) e da Queto che non da Uribe. Comunque ripetevano che si trattava di una squadra alla nostra portata.
lo ne ero convinto, ma continuavo a far scorrere sul video le immagini della partita dei sudamericani con la Francia. Poi, all'indomani del nostro pareggio con la Polonia, ecco Perù-Camerun.
Ci rinchiudemmo nella sala-tivù di Pontevedra, il mister in poltrona, tutti noi attorno, qualcuno che si mangiava le unghie manco giocasse la squadra del cuore. Finì 0 a 0 anche quella partita. Tanto che un giornale spagnolo di quelli spiritosi titolò: "Nel primo girone il goal è un frutto proibito".
Noi ci ridemmo sopra invitando mentalmente (e non solo mentalmente) gli spagnoli a pensare ai fatti di casa loro, che non sembravano già da allora troppo brillanti.
Torniamo a Perù-Camerun. Più che i peruviani, ci impressionò il Camerun, con quel portiere che parava tutto e quei centrocampisti (specie quel gigante di Kunde) che tiravano anche da quaranta metri. Quanto al Perù, benino Uribe, discreta la difesa, sempre delizioso, ma solo finché lo assiste il fiato, Teofilo Cubillas, una specie di Pelé in sedicesimo.
Rispettarli sì, ci dicemmo alla fine, ma temerli no. Francamente, non valgono la Polonia. Piuttosto, attenzione al Camerun: ma per quei negroni incredibili per fortuna c'era ancora tempo.
Venne il giorno della partita. Cominciava a fare caldo, anche se Vigo è una delle città più fresche della Spagna, così a ridosso dell'oceano.
Scendemmo sul campo del Balaìdos convinti di cogliere il primo successo del mundial. Giocammo un bel primo tempo: io, centrando il sette col mio piede sbagliato, il destro, mi tolsi lo sfizio di segnare il primo goal italiano di questi mondiali.
Una gioia che non dimenticherò. Ricordate! Ho sparato in goal e sono corso verso la curva, nemmeno fosse quella sud dell'Olimpico e mi sono inginocchiato con le braccia al cielo. Pareva davvero di essere a casa, m mezzo alle bandiere che sventolavano sugli spalti. Il primo a raggiungermi fu Rossi poi Antognoni, poi tutti gli altri a seppellirmi di abbracci, lo credevo d'impazzire. Il goal mi ha fatto sempre quest'effetto e nella Roma o in nazionale cambia poco, lo non sono Pruzzo o Rossi, soddisfazioni così me ne capitano poche, anche se quest'anno ho fatto centro nove volte in campionato. Un goal, per me, è la cosa più bella che ci sia: è un regalo per me, per la squadra, per i miei amici, per i tifosi, perché tutto quello che faccio in campo io lo faccio per loro per il pubblico.
So come queste persone ci seguono, quanto ci vogliono bene quali sacrifici fanno per starci vicino, cosa rappresentiamo per loro Quando segno, quando corro a braccia alzate e mi butto in ginocchio, è perché vorrei abbracciarli tutti, perché sono felice per loro almeno quanto lo sono per me.
La mia gioia, quel giorno al Balaìdos, durò poco però. In noi, sbloccatici dopo le tensioni, le polemiche, le critiche della vigilia, scattò uno strano meccanismo: ci convincemmo che bisognava difendere quel goal come se si trattasse di un bene inimmaginabile. Ci chiudemmo a riccio, rinunciammo ad affondare ancora gli attacchi. E guardate che più tardi l'ha dimostrato la Polonia, con la nostra manovra avremmo spaccato la difesa peruviana come un panetto di burro. Niente. Tutti dietro a difendere il mio goal.
Qualcuno, poi scrisse che era stato Bearzot a dirci di serrarci in quella maniera: niente di più falso.
Alla fine della partita non aveva più un filo di voce: l'aveva sprecata tutta per urlarci di andare avanti, di spingere, di non fare mucchio attorno a Zoff. Non è stata colpa sua, eravamo noi che non riuscivamo più a ragionare perché credevamo che quell'uno a zero ci mettesse al sicuro da qualsiasi rischio; pensavamo di poter tranquillamente bloccare le punte peruviane, lente e prevedibili.
E invece ci fecero goal. Nella maniera che sapete, d'accordo con un tiro deviato da uno stinco di Collovati, ma fu l'uno a uno, e le critiche ci piovvero addosso da tutte le parti. Dissero che non eravamo preparati che non avevamo fondo, che non potevamo reggerci in piedi più di quarantacmque minuti. Per fortuna, il resto del mundial ci ha dato ragione Ma quanta amarezza, in quei giorni, soprattutto per me, che vedevo svanire la gioia di aver segnato un goal che ritenevo così importante.




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