I tifosi festeggiano la vittoria sull'Argentina, ma il bello deve ancora venire |
La gente, il pubblico, i tifosi, fanno parte del bagaglio di ricordi che non dimenticherò mai. Ci hanno seguito passo passo, in quest'avventura in Spagna, hanno sofferto, sono cresciuti con noi.
Anche loro, dopo i fischi di Braga, hanno contribuito in qualche modo a caricarci, a fornirci gli stimoli giusti per affondare l'acceleratore. Mi è capitato spesso, in tutte quelle giornate trascorse in ritiro, di desiderare di rompere il silenzio che ci eravamo imposti con i giornalisti. E sempre per loro, per i tifosi: volevo parlare per salutarli, per convincerli che non dovevano abbattersi né farci mancare il loro incitamento; volevo dare appuntamento a tutti a Madrid, al Santiago Bernabeu, volevo rassicurarli che avremmo fatto l'impossibile per portare la coppa in Italia.
Se non l'ho fatto è stato per rispettare una consegna, per non distaccarmi da un'unità che s'era formata soprattutto nel segno della stima e del rispetto reciproco. Zitti noi, facevamo parlare il capitano, poi, in campo, tornavamo a parlare, ma con i fatti, come piace a me.
Credo che la gente abbia capito, anche dall'Italia, il nostro atteggiamento. Per quelli che erano là, a Vigo, a
Barcellona, a Madrid, deve essere stato subito diverso: loro ci seguivano, cercavano di parlarci, ci facevano sentire il loro appoggio.
Abbiamo avuto tutti più volte la sensazione che molti, avvicinandosi a noi per scambiare due chiacchiere o per chiederci il solito autografo, avessero l'aria di quelli che hanno qualcosa da farsi perdonare, e invece, eravamo piuttosto noi a dover chiedere scusa per qualche prestazione non proprio esaltante.
Quando si disputa una competizione di questo livello, purtroppo, non ci si può preoccupare troppo dello spettacolo. Almeno fino ad un certo punto. Noi, fin tanto che non abbiamo avuto la certezza matematica di passare al secondo turno, siamo stati effettivamente frenati. Non avevamo la sicurezza della squadra che sarebbe diventata campione del mondo, né francamente eravamo abbastanza rodati da fornire un rendimento agonisticamente esaltante. Ecco spiegati i tre pareggi, quelle prestazioni tutto sommato sciatte.
Ma torniamo ai tifosi. Nell'album dei ricordi, non posso non inserire ai primissimi posti i miei amici di Nettuno,
La Polonia è battuta: Germania, a noi |
anche se so che tutti gli italiani ci sono stati incredibilmente vicini in quelle giornate.
Di uno in particolare, nettunese come me, non posso fare a meno di raccontare un episodio incredibile. Si chiama Pino Strazzeri, ed era arrivato in Spagna in treno, con altri due amici, anche loro di Nettuno, Paolo Di Pietro e Gigi Fazi. Tutti e tre si sono presentati a Barcellona convinti anche loro di ritornare a casa dopo le partite con Argentina e Brasile, per cui avevano portato il denaro necessario per fermarsi cinque o sei giorni. Poi, visto come si stavano mettendo le cose, hanno cominciato a chiedere prestiti In giro: Paolo e Gigi ce l'hanno fatta, Pino invece non è riuscito a racimolare la cifra necessaria ed è rientrato in Italia; appena messo piede a Nettuno, ha saputo che un altro gruppo di amici stava partendo per la Spagna in macchina e non ci ha pensato nemmeno un secondo: ha chiesto se avevano un posto e si è accodato. Quando me lo sono nuovamente ritrovato davanti, a Madrid, non credevo ai miei occhi.
Intendiamoci, parlo di Pino perché lo conosco da anni, ma di nomi potrei farne a centinaia. Noi calciatori sappiamo a quali sacrifici vada incontro chi ci segue dappertutto, in Italia e all'estero.
C'è anche gente molto umile, che per raggranellare i soldi per il treno e il biglietto deve risparmiare per settimane, magari rinunciando ad altre cose.
Italia-Argentina. Bruno Conti e Ardiles si fronteggiano |
Non è facile retorica, lo conosco e apprezzo molte delle persone che, pur di stare vicino alla squadra del cuore, si sobbarcano a sforzi del genere. Ci sono intere famiglie, gruppi di amici a volte giovanissimi, che vengono davvero dappertutto: te li trovi davanti all'improvviso, sempre col sorriso sulle labbra, all'uscita dell'albergo dove ti trovi in ritiro, o del campo d'allenamento, o nel paese dove sei arrivato per giocare una partita. Vengono allo stadio uniti, spesso rischiando l'aggressione da parte dei tifosi della squadra di casa, sfoggiando senza paura bandiere e striscioni.
Io mi sento sempre dalla parte di questa gente. Quando segno un goal, ormai lo sapete, corro sotto la curva sud a raccogliere il loro applauso, e se stendo le mani al cielo, è per illudermi di abbracciarli tutti, di farli ancora più partecipi della mia gioia.
Il calcio, l'ho detto, per me è spettacolo. Si scende in campo per divertirsi e per divertire chi paga il biglietto: un colpo di tacco, un pallonetto, un tocco al volo, un tiro da fuori area può rimanere negli occhi di un tifoso per settimane. A me capita spesso di pensarci, anche mentre sto in campo, ed è allora che, magari, cerco di inventare qualcosa, fosse solo un dribbling.
Credo che anche questo mio carattere sia servito ad accattivarmi le simpatie del grande pubblico. Anche in Spagna hanno cominciato a battermi le mani da Vigo, prima ancora che gli stadi dove giocavamo si riempissero di tifosi italiani. In Galizia, la gente mi fermava per le strade, chiedendo autografi. È stata un'esperienza che non dimenticherò.
Sandro Pertini, primo tifoso italiano, si coccola con lo
sguardo Bruno Conti |
Certo, tornato dalla Spagna ho temuto per un momento di restare soffocato dai troppi abbracci. Le feste a Ciampino, al Quirinale, a Nettuno, mi hanno stordito. Quello che è successo a casa mia, col sindaco sul palco al mio fianco, mi ha commosso fino alle lacrime.
Ero troppo felice, tutto era troppo bello, e per un momento ne ho addirittura avuto paura. Poi è passata. E' bastato ritornare alla vita di sempre, rituffarmi nel secondo ritiro di quest'estate interminabile, quello con la Roma, ritrovare gli amici e i sorrisi di sempre. Anche i tifosi mi hanno aiutato, in questo senso. Ad un certo punto hanno capito che il Bruno mundial, il Marazico (che bello, questo soprannome) aveva bisogno soprattutto di pensare al futuro, che non poteva continuare a crogiolarsi nel ricordo felice della vittoria in Spagna.
È stato allora che sono tornato me stesso, che quanto era successo mi ha dato forza, non stordimento. Ancora oggi, cornunque, se solo mi raccontano del carnevale di Rio scatenato per le strade d'Italia nella notte della finalissima, delle fiaccolate e dei bagni a mare, dei cortei e delle danze fino all'alba, sento qualcosa di strano.
Questi nostri tifosi sono stati davvero fantastici, in Spagna come qui, in casa nostra e ringraziarli è un obbligo. E vedrete che tutti i nuovi campeones, me compreso ovviamente, lo faranno nel modo che hanno già dimostrato di aver scelto. Coi fatti. Con i goal, col bel gioco, con grandi partite. |