Queste novità di verità antiche, di novi mondi, nove stelle,
novi sistemi, nove nazioni ecc. son principio di seco novo.
Lettera da Roma del 5 agosto 1632 di Tommaso Campanella a Galileo Galilei.
Sacchi, artista della riduzione
Misurata, severa, grave, semplice, povera, ordinata. Sono tutti i termini che la critica dell'arte riferita alla pittura di Sacchi ha adoperato. Che cosa significa l'uso di queste definizioni per una pittura che, come quella di Sacchi, trova le sue radici formali e costruttive negli impianti raffaelleschi e carracceschi? Ad una prima disamina le definizioni si riferiscono ad un processo semplificativo che male si accorda con gli intenti barocchi berniniani e cortoniani. In questo senso, dobbiamo dirlo, l'opera di Sacchi è stata visitata solo e attraverso una contrapposizione ai due grandi interpreti del barocco romano in una accezione esclusivamente nostalgica e come estrema propaggine dei risultati e delle soluzioni classicistiche. E a tutto questo, fatta eccezione per un lettore di parte e cioè Giovanni Pietro Bellori, si è data una valenza certamente non positiva. A noi è apparso subito come un discorso pregiudiziale.
L.Bernini, Ritratto di Urbano VIII
da una incisione di C. Mellan
per le Poesie di Urbano VIII (1631).
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C.Bloemaert, Cardinal A. Barberini, incisione da un ritratto di
A. Sacchi in Teti ,
Aedes Barberinae, Roma 1642
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C.Bloemaert, Cardinal F. Barberini,
incisione da un ritratto di A. Sacchi in Teti ,Aedes Barberinae, Roma 1642
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Siamo ripartiti allora proprio dalle definizioni date: misurata, severa, grave, semplice, povera, ordinata. Le abbiamo assemblate in un processo ridefinitivo che ne ha mutato la portata culturale. Insomma, una pittura definita misurata, severa, grave, semplice, povera e ordinata l'abbiamo trovata subito interessante perché riportava due altre possibilità di definizione: l'analiticità e la riduttività. Dove analitico e riduttivo non sono la semplice ed elementare ripetizione di uno schema preformato, ma il segno dominante un'attitudine a indagare strutture e strumenti della pittura e mirante a continue smentite o riduzioni di un codice acquisito e, spesso, nella permanenza di invarianti formali preesistenti. Ci è piaciuto allora, soprattutto alla luce di una curiosità moderna, l'intera intenzione teorica e formale di Sacchi, come una precisa caratteristica di ritorno a regole sintattiche, come quelle organizzate da Raffaello, che da sole potessero, rna nello sviluppo storico e quindi in un assetto comunque barocco, organizza in un sistema ben regolato.
C. Bloemaert, Don Taddeo Barberini,incisione da un ritratto di A. Sacchi in Teti, Aedes Barberinae, Roma 1642.
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C. Mayer, Giordano Bruno.
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F. Cozza, Tommaso Campanella, Palazzo Caetani, Roma.
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È da questa postazione che abbiamo riletto la misurata, severa, grave, semplice, povera e ordinata pittura di Sacchi. Nessuna nostalgia dunque, ma solo un'altra strada del barocco romano. Quella, forse, meglio sviluppata e definita da Poussin. Tuttavia c'è da riflettere intorno al sistematico richiamo al pensiero aristotelico dato dallo specifico della retorica e all'influenza che questa aveva sul procedere visivo e mentale delle intenzioni degli artisti barocchi. Argan, nel suo saggio La "rettorica" e l'arte barocca del 1955, esaminando i principi del Il libro della Retorica di Aristotele ed a riprova di quest'influenza riporta la frase che Andrea Sacchi disse a Francesco Lauri: "Io stimo e credo che i pittori dagli oratori deggian pigliare i concetti". Ora, che la retorica sia fondata su di un sistema di regole che opportunamente legate formano un ordito tale da assicurare la trasmissione dell'esperienza emotiva, che si attesta sul principio e sull'effetto persuasivo, è indubbio. Ma è ancora più indubbio, a rileggere positivo i termini dedicati alla pittura di Sacchi, che queste stesse regole sono i punti di arrivo di un processo riduttivo che sposta l'insieme delle regole pittoriche ad un'idea, quella stessa di Bellori, che fa diventare la pittura di Raffaello, Carracci e Sacchi un sistema tale da rassomigliare all'insieme regolato del linguaggio verbale o del linguaggio scritto. Certo Sacchi non è Cézanne, né Mondrian, né Kosuth. La realtà storica in cui opera è quella della Roma barocca della prima metà del Seicento, perciò non è nostra pretesa assicurargli la stabilizzazone di quest'insieme regolato.
G. L. Bernini, Facciata di Santa Bibiana
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Ma è nostra intenzione riportare ad una chiara immagine positiva la misura semplice e grave, severa e povera di quest'ordine. Abbandonando la visione nostalgica, diremo allora che re-ducere sta per ritorno, trasposizione e traduzione riconducibili all'espressione husserliana di riportare, infine, questo sistema non alla creazione dal niente di ciò che prima non era ma aciò che in fondo già da sempre vedevamo anche senza saperlo. La pittura di Sacchi si inscrive in questa proposizione (1)
G. L. Bernini, Baldacchino, San Pietro, Roma
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G. L. Bernini Tomba di Urbano VIII, San Pietro - Roma
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P. da Cortona, Glorificazione del Pontificato di Urbano VIII, particolare, Palazzo Barberini - Roma
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.Note
1) Un'approfondita analisi del concetto di riduzione si trova in R. DE Fusco e G. Fusco, La "riduzione" culturale, in "Op. cit", n. 23, gennaio 1972, pp. 5-57. Si vedano anche U. Eco, La struttura assente, Milano 1968; C. MORRIS, L'estetica e la teoria dei segni, in "Nuova Corrente", nn. 42-43, 1967; R. DE FUSCO, Storia e struttura, Napoli 1970; T. DE MAURO, Il linguaggio della critica d'arte, Firenze 1965; A.M. MURA, voce Linguaggio della critica d'arte, in Arte 2/1, Milano 1971. Sullo specifico versante della teoria dell'arte e dell'iconologìa si vedano: E. PANOFSKY, Sul rapporto tra la storia dell'arte e la teoria dell'arte, in IDEM, La prospettiva come "forma simbolica", trad. it. a cura di E. Filippini, Milano 1961; pp. 170-202; IDEM, La storia dell'arte come disciplina umanistica, in Io., Il significato delle arti visive, trad. it. R. Federici, Torino 1962, pp. 5-28; E.H. GOMBRICH, Arte ed erudiziene, in A cavallo di un manico di scopa, trad. it. di C. Roatta, Torino 1971, pp. 161-181. Sul fronte della teoria dei modelli e sulla applicazione del concetto di riduzione resta, a mio avviso, di fondamentale importanza la "teoria del modello ridotto" elaborata da Lévi-Strauss in C. LÉVI-STRAUSS, Anthropologie structurale, Plon, Paris 1958; trad. it. dì P. Caruso, II Saggiatore, Milano 1966. Si veda anche, sempre di Lévi-Strauss, La pensée sauvage, Plon, Paris 1962; trad. it. di P. Caruso, II Saggiatore, Milano 1964, soprattutto nel I capitolo. Intorno alla sistematica elaborazione teorica di questi sistemi si rinvia a F. REMOTTI, Lévi-Strauss. Struttura e storia, Einaudi, Torino 1971, soprattutto nel III capitolo dal titolo "Lo strutturalismo dei modelli". |