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ANDREA SACCHI

di Antonio d'Avossa

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La Divina Sapienza

All'origine di una possibile lettura di questa complessa composizione a soggetto allegorico ci sono quattro fonti letterarie. Il documento scritto che sotto segnatura Cod. Barberini Lat. 6529, miscell. V, foglio 52 Giovanni Incisa della Rocchetta scoprì nell'Archivio della Biblioteca Barberini e pubblicò nel 1924 (7).
L'opera di Gerolamo Teti (us) Aedes Barberinae ad Quirinalem, pubblicata a Roma nel 1642, quindi solo poco più di un decennio dopo la realizzazione dell'affresco. La Vita d'Andrea Sacchi scritta da Giovanni Pietro Bellori. (8)
Infine l'opera di Giovanni Battista Passeri Vite de' pittori scultori ed architetti dall'anno 1641 all'anno 1673, pubblicato a Roma nel 1772.
Il primo di questi testi, che è il più vecchio, resta fondamentale per l'interpretazione, perché dal documento della Biblioteca Barberiniana la considerazione di Incisa della Rocchetta è che il Libro della Sapienza è la più precisa fonte di ispirazione, anzi è questa la più vicina all'ideatore della pittura. (9)
Anche se le tre fonti citate dopo (Teti, Bellori, Passeri) non corrispondono una all'altra, soprattutto nelle identificazioni dei personaggi, il documento della Biblioteca Barberini certamente è stato il punto dipartenza dell'interpretazione iconografica dell'affresco di Sacchi. È su questa base che lo citiamo così come lo ha pubblicato Incisa della Rocchetta:

"Perché l'increata Sapienza, nel governo ammirabile del mondo deve esser'armata, et temuta, perciò dalla pittura si rappresenta in atto di comandare all'Amore et al Timore, suoi divini Arcieri, che tirino dì mira al bersaglio del Mondo, per saettare et ferire salutevole gli animi degli nomini. Si dipinge assisa in un real'trono celeste, è coronata come Regina, e moderatrice dell'Universo, è vestita di bianco, è circondata di luci, essendo essa candor lucis aeternae. Tiene uno specchio terso e chiaro, chiamandosi speculum sine macula. Ha il sole in petto, acciò che apparisca speciosior soli. Regge con la destra uno scettro o chiuso (sic) per segno del provido et saggio reggimento.
Le altre donne, che a torno stanno, rappresentano gli attributi della Sapienza, convenientemente divisati, con simboli di varie costellationi, essendo quelli cosa divina e rappresentandosi in cielo. Sono d.tì attributi in gran numero, chiaramente espressi, nel settimo et ottavo capo del libro della Sapienza, de' quali alcuni più principali ha scelto et rappresentato la Pittura.
La Divinità col triangolo, chiaro simbolo dell'unità dell'essenza et trinità delle Persone. L'Eternità col serpe, segno dì essa da tutti conosciuto. La Santità con l'altare. La Schiettezza, o Purità, col cigno candidissimo. La Perspicacità con l'Aquila. La Bellezza con la chioma di Berenice. La Suavità con la lira. La Fortezza con la clava. La Beneficenza con la spiga. La Giustizia con la Bilancia. La Nobiltà con la corona.
L'Amore, giovinetto generoso e di color vivace, cavalcando il leone celeste, della sua generosità proportionato geroglifico, avventa una frezza d'oro, tra' mezzo perfettissimo, per avviso della perfezione et eccellenza dell'Amore. Il Timore, meno perfetto, ne lancia uno d'argento, e, per esprimerlo con i suoi controsegni, si dipinge pallido, et a sedere sopra la costellacene del lepre. Conveniva tal Pittura al maestoso Edefitio della Casa Barberina, acciò che s'intendesse che, sì come sì felice fameglia, è nata et eletta in luogo d'Iddio per li primi governi della Chiesa, così, con divina Sapienza, parmenti amata e riverita, la governa", (10)

II testo è esplicito, perché indica la settima e l'ottava parte dell'apocrifo "Libro della Sapienza" di Re Salomone (Liber Sapientiae). Questo libro che conteneva una sorta di storia religiosa della filosofia, soprattutto nella tematica di Salomone, ha svolto un ruolo importante per le ideologie imperiali del passato. Ponendo in primo piano l'esempio dello stesso Salomone il libro è stato considerato stimolo a unire il potere sulla forza e sulla sapienza.(11)
Del resto, la maggior parte degli interpreti moderni considerano che il significato generale del testo della Bibbia è la base ideali dell'opera di Sacchi. Con la sua presenza in una delle stanze del Palazzo Barberini doveva rappresentare un appello concreto ai membri della casa regnante "ad onorare la Sapienza onde poter regnare per sempre". (12)
Ma fino a questo punto siamo ancora ad un livello di lettura convenzionale. Invece, alla base di questa complessa composizione vi è sicuramente il concetto filosofico dell'idea del trionfo nella sua veste mistica. Ed è in questa destinazione, più determinata e più pratica, che la Divina Sapienza sembra dirigersi. L'allegoria è la trasposizione visiva della glorificazione del nome dei Barberini. L'importanza di ciò, dal punto di vista storico, è nel fatto che per la prima volta per l'interesse della famiglia papale si crea une decorazione il cui progetto, così esplicitamente, ha lo scopo di glorificare i suoi committenti. Del resto, l'ingresso di Pietro da Cortona con la realizzazione dell'affresco della Divina Provvidenza continua e completa la macchina trionfale dell'immagine di Urbano VIII, dei Barberini e della forte presenza di questo governo, (13)

Francis Haskell nel suo libro sulle relazioni tra l'arte e la società nell'Italia del barocco indica una lettura dell'ambivalente simbologia della glorificazione dei Barberini:
"proprio dal seno della figura di donna seduta sul trono al centro della composizione sorge il Sole, che ha qui una duplici ambigua funzione. Per un verso il Sole era il simbolo tradizionale della Sapienza e come tale era spesso usato, ma per un altro verso non bisogna dimenticare che esso era anche uno dei tre emblemi della famiglia Barberini".(14)
La Divina Sapienza ritorna così al suo doppio aspetto: come figura personificata e come sole emblematico. Formula che verrà seguita d Pietro da Cortona nell'esecuzione della Divina Provvidenza sul soffitto del Gran Salone.(15)
L'esistenza di una delle più rappresentative repliche ad olio della stessa opera realizzata da Sacchi per il principe Don Agostino Chigi, attesta che questa visione di un simbolismo generale nello schema di un unico simbolo può essere considerata una specie di pratica stabile. Nell'accordo dei bisogni e degli ordini del nuovo committente il pittore orna lo spazio del trono con i monti e le fronde di rovere dello stemma chigiano.(16)
Il carattere di questo tipo di uso simbolico delle figure e del suo funzionamento viene chiaramente spiegato da Gombrich in uno studio pubblicato nel Journal of thè Warburg and Cortauld Institutes nel 1948 e notevolmente sviluppato in Icones Simbolicae. Citando un frammento del testo di Teti (us), in cui è descritta la composizione di Sacchi, Gombrich mostra l'importanza per l'età barocca della pittura di soffitto. Urbano VIII visitando il palazzo e sedendo a tavola proprio nella sala dell'affresco si trovò al centro di una misteriosa coincidenza, quando, per puro caso, quel giorno fu scelto per la lezione un testo sulla Divina Sapienza:
"Alla fine fummo in grado di osservare la Divina Sapienza che non avevamo mai visto prima se non oscuramente e come coperta da un velo, apertamente senza maschera, per cui ognuno poteva contemplarla: vedere cioè il suo divino e luminoso archetipo (archetupam) nella Sacra Scrittura, il suo prototipo (protypam) in Urbano e la sua rappresentazione (ectypam) nel dipinto. Quale luce, quale splendore furono così infusi nella sala e rivelati quanti circondavano l'illustre Principe. In verità le stesse pareti sembravar vibrare di gioia (parietes ipsi gestire videbantur) e compiacersi di questo alto onore. Noi, comunque, ci sentimmo pieni di gioiosa fiducia e trasportati alla presenza della Divina Sapienza (quasi in ipsam Sapientiam Divinam rapti) per cui in futuro non ci si presenterà mai nulla di oscuro, nulla di impenetrabile".(17)

Alla base di questa estatica e visionaria esperienza, scrive Gombrich, è la forte presenza del sistema filosofico del Neoplatonismo. Questo insistere sugli stati visionari, così come in altri programmi di soffitto, trova una coerente spiegazione nella distinzione platonica tra le tre forme di conoscenza.(18)
I neoplatonici consideravano l'universo come un sistema di corrispondenze in cui ogni singolo livello dell'esistenza porta verso un più alto piano che gli è gerarchicamente sovrapposto. Infatti ogni singolo aspetto dell'alto grado può essere raggiunto attraverso il basso grado. Per questo principio diviene possibile l'analogia simbolica: guardando un soggetto visibile comprendiamo l'invisibile essenza del mondo. Era su questa base ideale che poggiava il valore della pittura come riflesso reale di un'altra realtà. Dunque i quadri su soffitto ad arco di un palazzo o di una chiesa sono così delle invarianti verso le quali si conformano i criteri della vita reale e che hanno senso soltanto in questa relazione.(19)
Da questa lettura di Gombrich sulle teorie neoplatoniche relazionate ai quadri si delinea il cerchio delle idee che ispirarono il passo di Teti (us) in cui Urbano VIII viene presentato come prototipo della Divina Sapienza in questo mondo. Lo studio di Gombrich resta allora di estrema importanza per capire le opere di Sacchi perché per la prima volta ci mostra il contesto neoplatonico in cui si muoveva questo complesso simbolismo. Ora, se i lavori scientifici di Gombrich e di Haskell hanno contribuito in modo sostanziale a comprendere meglio il vasto ideale e l'intellettuale retroscena dell'affresco di Sacchi, gli studi monografici di Sutherland Harris e specialmente la ricerca di Lechner, e la discussione che ne è derivata, hanno attirato la nostra attenzione verso un filo di problemi particolari e verso l'interpretazione dell'affresco più da vicino.

Il principale problema della disamina di Sutherland Harris è sulla relazione della sala in cui è l'affresco di Sacchi con le cappelle laterali con gli affreschi di Cortona e dei suoi collaboratori.(20)
Del resto, la cappella come pure la sala della Divina Sapienza si trovano sul piano nobile dell'ala nord del Palazzo Barberini e le opere che si svolgevano nell'edificio nel periodo di lavoro dell'affresco di Sacchi dipendevano da Don Taddeo Barberini, uno dei nipoti di Papa Urbano VIII. Infatti, avendo la sola funzione privata, in questa cappella fu battezzata l'8 settembre 1632 la figlia di Don Taddeo.(21)
Ma elemento più importante è che fino all'aprile del 1633 l'unico accesso alla cappella era nell'attraversamento della sala della Divina Sapienza. In questo modo, secondo Sutherland Harris, veniva condizionata la funzione e la decorazione della sala. Nello stesso desiderio di Sacchi era, in fondo, la creazione di uno spazio visivamente "aperto" che potesse mostrarsi all'osservatore prima della cappella.(22)
L'affresco stesso, infatti, avrebbe dovuto incitare ed ispirare all'avvicinamento alla cappella ed all'entrata, come dice l'ultimo verso dell'ottavo capitolo del Libro della Sapienza: "Sapendo che la saviezza non ottengo/ se non vuole Iddio/ .../ mi presentai al Signore e pregai...".(23)
Così l'ipotesi che la sala della Divina Sapienza in alcune particolari occasioni, come il battesimo della figlia di Don Taddeo, dovesse servire come allargamento del relativo spazio della cappella e il fatto che gli affreschi di Cortona e dei suoi collaboratori siano nati all'incirca nello stesso periodo del lavoro di Sacchi, ha indotto Sutherland Harris alla conclusione che la giustapposizione di questi due spazi potesse essere di fondamentale importanza per l'interpretazione del significato dell'affresco.(24)
Tuttavia le ricerche di Lechner sono i primi lavori che superando i limiti dell'analisi iconografica offrono una interpretazione iconologica dell'affresco di Sacchi. (25)
Comparando alcuni attributi della Divina Sapienza, le figure delle giovani donne e le relative costellazioni del firmamento, come già commentava il documento dell'Archivio Barberini ("Le altre donne rappresentano gli attributi della Sapienza... con simboli di varie costellationi..."), conclude che l'affresco rappresenta il cielo di stelle del 6 agosto 1623, il giorno in cui Urbano VIII è diventato papa. Questo cielo artificiale, fissato nell'ottimale momento di una felicità astrologica della sua vita, avrebbe dovuto avere funzione di talismano a protezione delle influenze negative di Marte e Saturno nei momenti dell'eclisse solare e lunare. (26)
La considerazione di Lechner che proprio in quel periodo il lavoro di Sacchi venne realizzato è il principale elemento alla definitiva conclusione che, così dipinta, la volta della Sala della Divina Sapienza con la sua ideale configurazione astrale abbia offerto un sicuro rifugio al papa che, al momento dell'eclisse solare, stando sotto l'affresco di Sacchi poteva, senza pericolo, osservare il sole nella sua gloria astrologica. Ma fatto ancora più sorprendente è che il probabile ideatore e organizzatore di questo magico rituale altro non è che Tommaso Campanella. La testimonianza di una simile trama è nella dettagliata descrizione del supplemento al suo libro "Astrologicorum Libri VI", dal tìtolo De Siderali Fato vitando. La sua particolare posizione nel periodo di permanenza a Roma (dal 1626 al 1634) fa di lui il principale consigliere di Urbano VIII in questioni di magia e astrologia, da ciò la sua influenza sulla corte dei Barberini è innegabile. Infatti dal momento del suo arrivo a Roma le sue speranze escatologiche si concentrarono sul papa, così come il concetto centrale delle sue teorie teo-politiche divenne con più precisione una universale monarchia cattolica in cui la dominanza di un'armonia tra la religione e la politica sarebbe stata rappresentata dal papa come sommo capo.
Nell'opinione di Campanella il regno di Urbano VIII era la realizzazione della Città del sole sulla terra e il papa, il cui personale simbolo era il sole, la personificazione degli ideali di filosofi, papi e re della sua comunità utopistica. La considerazione terminale di Lechner è che questa universale monarchia papale, il cui modello era l'ordine divino del cosmo, si ritrova tutta nello spirito dell'affresco visualmente realizzato sulla volta della sala della Divina Sapienza. L'indicazione di Lechner è notevole. Organizzando le sue ricerche sulle fonti, (gli studi di Campanella, di Walker e di Yates) (27), ha dato nell'aspetto solare e astrologico della simbologia della composizione di Sacchi la più praticabile lettura. Del resto a fondamento del sistema astrologico di Campanella e del suo ermetismo religioso, come ha indicato Walker, si trovano le teorie di Marsilio Ficino al loro livello più profondo. In questo senso l'ipotesi di Lechner si raccorda, dopo tre decenni, all'intuitiva interpretazione di Gombrich e ne completa, attirando la nostra attenzione, la relazione con il pensiero filosofico del neoplatonismo. A partire dal fondamento astrologico del simbolismo dell'affresco Lechner non esita a concludere che l'ideatore del progetto sia Tommaso Campanella(28)
Di diversa opinione Sutherland Harris che, nello stesso numero della rivista, constatando che l'affresco non era ancora terminato nel gennaio del 1630, considera esagerate le supposte influenze di Campanella sulla corte dei Barberini, dichiarando il momento della sua gloria nella cerchia di Urbano VIII di "carattere effimero" e che l'affresco di Sacchi non illustra la concezione della sapienza della Città del Sole di Campanella. (29)
Dunque, a questo punto, la questione è di nuovo sollevata. Nel 1924 Incisa della Rocchetta, ritenendo Sacchi l'ideatore dell'affresco scriveva: "II fatto che nessuno degli storici, anche contemporanei del Sacchi, parli dell'ispiratore di quella allegoria della Divina Sapienza, mentre è risaputo che Francesco Bracciolini ideò la volta dipinta in una sala poco lontana dal Cortonese, mi fa pensare che il nostro pittore stesso fosse ideatore dell'affresco da lui eseguito".(30)
Questa possibilità non viene esclusa da Sutherland Harris, che considera che seppure non totalmente responsabile dell'ideazione del progetto, la parte di Sacchi nella predilezione per composizioni con un numero ridotto di figure, da noi indicata come riduzione, suggerisce l'idea che da solo ne progettasse l'iconografia(31)
In aggiunta, Sutherland Harris ritiene che il pittore mentre sceglieva il tema fosse supportato dai consigli di uno sconosciuto erudito romano (di cui Haskell indica le presenze tra le corti della Roma barocca), perché sembra impossibile che nella realizzazione di una idea così complessa la responsabilità poteva essere lasciata al solo artista, visto che si trattava "del progetto più ambizioso, dopo gli affreschi di Raffaello nelle Stanze Vaticane, volto a rappresentare figurativamente una concezione filosofica astratta".(32)

Ma chi è il misterioso personaggio che sembra aver determinato concettualmente l'affresco? Tommaso Campanella per Lechner; il poeta Matthias Kasimir Sarbièwski per Pastor; Sforza Pallavicino per Sutherland Harris; o ancora un personaggio assolutamente sconosciuto.(33)
Ma per la soluzione di questo problema ci sembrano di fondamentale importanza alcune note di Haskell, secondo il quale dietro la grandiosa concezione cosmo-allegorica dell'affresco di Sacchi vi è sicuramente la competenza e la risolutezza di un personaggio capace di una complessa concezione filosofie, e teologica. Probabilmente Sacchi stesso. Scelto anche per la sua realizzazione.