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ANDREA SACCHI

di Antonio d'Avossa

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L'arte della festa nella Roma del '600

E solo da pochi anni che si è avviata l'indagine intorno all'arte delle strutture effimere della Roma barocca. L'importanza di tale analisi è data dal fatto che alla realizzazione e alla sovrintendenza dei lavori preparatori alle feste erano chiamati i più prestigiosi tecnici dell 'immagine: Gian Lorenzo Bernini, Pietro da Cortona, Andrea Sacchi, Alessandro Algardi e Carlo Rainaldi.
Cerimonie, riti funebri, spettacoli religiosi, pirotecnici e teatrali, cortei, mascherate e giochi carnevaleschi, organizzati con archi trionfali, macchine, fuochi e luminarie sono le forme in cui si articola il tempo della festa nella Roma barocca. Non è un caso se De Wicquefort, da attento visitatore straniero, nelle sue Memoires del 1667, scrive: "Ce qu'il y a de plus essentiel à Rome ce sont les ceremonies de quelque fagon qu'on le veuille prendre". L'effimero barocco sembra dunque dominare la scena teatrale romana. Roma è il gran teatro del mondo. II suo principale regista, finanziatore e protettore è il Cardinale Antonio Barberini.

(57) G.L. Bernini
Catafalco per Carlo Barberini

(58) G.L. Bernini
Soluzione definitiva del
Baldacchino a San Pietro

 

 


(59) G.L. Bernini
Le due macchine per l'elezione di
Innocenzo X

Ma è tutta la nuova aristocrazia (i cardinali nepoti e le famiglie papali che hanno accumulato immense fortune tra la fine del cinquecento e il seicento) nei personaggi di Scipione Borghese, Ludovico Ludovisi, Francesco, Taddeo e Maffeo Barberini, Camìllo Pamphili, Agostino Chigi e Pietro Ottoboni a rendere ogni occasione di festeggiamento (con festini privati e spettacoli teatrali) pretesto per propagandare il proprio potere, meravigliando il tempo quotidiano con la scansione sempre più frequente di un tempo sacro che si concretizzava nella festa. Non era esclusa nemmeno una partecipazione diretta dei nepoti che, per appoggiare le diverse fazioni francesi, spagnole e tedesche, si trasformavano in protagonisti e attori comparendo sui carri che attraversavano la via del Corso: come Maffeo Barberini vestito da Sole nel 1654 o Agostino Chìgi con gli abiti della Virtù nel 1658. Del resto quadri, incisioni, disegni, relazioni e veri e propri libretti ci ripropongono il panorama così vivace dell'arte della festa e di quest'industria che, ormai, era una delle voci fondamentali del bilancio pubblico. Le ragioni sociali erano evidenti nello scollamento tra potere centrale e popolazione cittadina: si estinguono le feste popolari meno controllabili, e si gestisce per mezzo di un incredibile numero di intellettuali, artisti e artigiani il progetto grandioso della festa come segno e simbolo esibito del potere acquisito. Una maniera unica di gestione del potere che vede Roma come lo schermo gigantesco della proiezione futura di quella che diventerà la civiltà dell'immagine. Sulla quantità e la frequenza di questi avvenimenti è sufficiente pensare alle parole usate da Baldinucci per la Vita di Bernini, dove nell'ultima nota scrive: "Non si pongono le scene, quaranthore, fuochi d'allegrezza, catafalchi, mascherate e cose simili... quali sono innumerevoli". Quasi a definire l'enorme energia impiegata da Bernini per simili progettazioni.


P. Testa
L'Elefante 1630


G.L. Bernini
Apparato con fuochi artificiali
per la nascita dell'infanta di Spagna 1630


G.L. Bernini
L'Obelisco della Minerva
Roma

In un recente studio Maurizio Fagiolo dell'Arco individua e analizza una serie di motivazioni che si celano dietro la costruzione degli apparati festivi e che appartengono in modo esplicito alle caratteristiche sociali e culturali del secolo: il quadro della committenza e della politica culturale; il supporto dell'arte; la sperimentazione; la dichiarazione allegorica; l'immagine e la meraviglia. Attraverso la sperimentazione gli artisti potevano mettere a fuoco, continua Fagiolo dell'Arco, nuove tecniche (il "mirabile composto" dì Bernini), cioè la fusione tra arti e tecniche da cui spesso derivavano progetti stabili: di cui l'esempio emblematico è il Baldacchino sulla tomba di San Pietro dello stesso Bernini, considerato come il "frontespizio del barocco", ma che trova il precedente nel suo Baldacchino allestito per Il Teatro per la canonizzazione di Elisabetta del Portogallo del 1625. Altro tipico esempio è quello dell' Elefante della Minerva: l'idea per la Festa di fuochi artificiali in onore della nascita dell'infanta di Spagna del 1651 è proprio quella di un "Elefante che teneva una gran torre che sopra di se e dentro della quale tutto il giorno stettero otto trombe a sonare e sopra detta torre fu posta una bella bandiera con l'arme di Sua Maestà Cattolica, quell'Elefante assembrava la fortezza".
La sistemazione in piazza della Minerva del 1655 vide sfruttata l'idea per dare una base all'obelisco ritrovato nel giardino Barberini. Ma l'importanza di una simile industria dell'effimero, che nella tesi di Fagiolo dell'Arco traccia il passaggio dalla provvisorietà dell'apparato all'opera in cui si fissa, è il notevole apporto delle feste all'iconografia del secolo, e che dalla postazione d'osservazione dello storico dell'immagine produce l'affermazione che la festa è la forma simbolica, nell'espressione mutuata da Panofsky, del secolo barocco. (20)
Le valenze sociali anche. La ricerca di Silvia Carandini è illuminante a questo proposito. Ne riprendiamo un passo: "La festa che all'inizio del Cinquecento era stata l'espressione di una società integrale, di un più organico rapporto fra potere centrale e comunità civile, progetto di un tempo ordinato all'insegna del decoro, nel Seicento subisce un profondo processo di trasformazione e disgregazione. Gli apparati festivi in epoca barocca non propongono più un luogo immaginario inteso come città ideale, vogliono soprattutto essere una cornice da interpretarsi come chiave di lettura dell'avvenimento politico o religioso. Da una parte l'insieme di immagini, simboli, allegorie, parole si coordinano come codice da decifrare, testo da interpretare, quasi come manifesto propagandistico, dall'altra (e qui sta la scissione) un diverso messaggio, più semplice e immediato, composto essenzialmente di immagini vistose, suoni, luci e rumori è progettato ad uso e consumo del pubblico popolare. Il fine è sempre, a tutti i livelli quello della meraviglia, dell'esibizione di lusso, della diffusione (insieme alla ricca produzione di opuscoli e incisioni che accompagna l'avvenimento festivo) di un preciso messaggio di propaganda politica, religiosa e culturale".(21)
Le notizie su Sacchi scenografo e artista di feste sono numerose. Posse fornisce indicazioni circa la decorazione della chiesa del Gesù per la Festa del centenario dell'ordine dei Gesuiti, come del progetto del catafalco per la cerimonia funebre in onore di Papa Urbano VIII. È certa l'esistenza di documentazioni circa diversi progetti realizzati da Sacchi per manifestazioni di questo tipo e soprattutto di scenografie per il teatro dei Barberini.(22)
Ma due quadri sono indicativi a proposito di questa attività: La Festa dei Saraceno in Piazza Navona, il 25 febbraio 1634, del 1634 e Urbano VIII visita il Gesù il 2 ottobre 1639 durante le Celebrazioni del Centenario dell'Ordine dei Gesuiti, del 1641. Il quadro della Festa del Saraceno è un documento di eccezionale importanza per comprendere i modi e i gusti delle feste romane, lo scenario di piazza Navona è reso al momento dell'ingresso della nave che conduce Bacco "accompagnato dal Riso, da otto baccanti, da quattro satiri, quattro pastori e tre bombardieri. In terra, era seguitata la nave da sedici pescatori, vestiti di azzurro a squame d'argento, con torce in mano. Poco dopo, veniva il battello, di forma quadrata, alla marinaresca. Erano, in esso, dieci strumenti, sonati da ninfe e da pastori, sei marinari la conducevano con i remi e da un nocchiero si reggeva il timone". (23)
Altra è invece la partecipazione e la supervisione artistica di Sacchi per La visita di Urbano VIII alla chiesa del Gesù. Nella Relazione della festa, promossa dal Cardinale Antonio, Gerardi ci dice che fu disposto tutto (cioè l'ornamento degli altari), come anche tutto il rimanente dell'apparato, si ben comportato, a disegno del Signor Andrea Sacco, Romano, Architetto e Pittore celebre dell'Eminentissimo Antonio.(24)
Ma oltre l'avvenimento e suoi significati politici e religiosi, pure descritti da Gerardi e da noi esaminati nella seconda parte di questo testo, la Relazione prosegue con una minutissima descrizione di tutti gli ornamenti e decorazioni progettate da Sacchi per la grande chiesa di Vignola, ed è a questa descrizione che dedicheremo maggiore attenzione. A questo punto ci piace riprendere il documento del Gerardi che più di ogni altro rende la ricchezza dell'allestimento di Sacchi:
"I pilastri della navata erano adorni di damaschi chermisini tutti a livrea (cioè, probabilmente, tessuti con le imprese araldiche del Cardinale) con trina e frangia d'oro; dai ceretti sugli archi delle cappelle pendevano arazzi; nella fascia del cornicione correva un ricco fregio di contratagliato d'oro e damaschi verde e chermisino; sul cornicione, dietro a molti candelieri, erano altri arazzi, sotto le finestre, e, corrispondentemente, ai pilastri del primo ordine, drappi di seta verde. Le due cappelle della crociera (non visibili nel quadro), i pilastri della cupola e della tribuna avevano ricchissimi paramenti di velluti controtagliati di tela d'oro. La tribuna era ornata di superbissimi drappi, che il Gerardi non sa se chiamare arazzi o broccati, poiché, unite queste due maniere di lavoro, riescono li drappi affatto maravigliosi. Splende il fondo di argento, tra le varie figure lavorate di finissimo e disegno e materia. E queste, sebbene pare che perdano, sono però preziose le perdite, perché la finezza del lavoro delle sete non cede, se non alla tirannica superbia dei ricchi metalli. Pare che si tratti di arazzi, in cui le figure colorate spiccano su fondo unito d'argento. L'altar maggiore era stracarico di busti-reliquiari, di vasi di fiori (veri e finti, d'argento e di seta) e di candelieri. Ai lati del grande Crocefisso sui timpani della pala d'altare, due angeli tenevano delle torce nelle mani. Il paliotto dell'altare era tessuto di seta ed oro ad uso di arazzo, rappresentante il Mistero della Circoncisione del Signore, con quella vivezza di disegni e finezza di lavoro, che aspettare si può dalla mano del famosissimo Giovan Paolo Rubens, gloria dei pittori oltramontani, e degli artieri fiamminghi, che non hanno pari; sì, che, ingannato l'occhio anche dei più vicini, a gran pena può credere, che sia lavoro di telaio, e non di pennello; anzi, né a questo pure dona il vanto, ma alla natura; sì vive sono le immagini. Uno smisurato tappeto di seta, ricamato a festoni ed animali di punto franzese, ornava l'interno del presbiterio, dove erano altri candelieri, altri vasi di fiori e profumieri d'argento. In alto, all'arcone sotto la cupola, era appeso lo stendardo dei due Santi della Compagnia. Sulla parete interna della facciata era un ritratto del Papa, ed una iscrizione, dentro una bellissima cartella".(25)
Sin qui la descrizione dell'allestimento data da Gerardi.

Ma tornando al quadro c'è da dire che, commissionato dal Cardinale Antonio Barberini, esso mette in evidenza prima di tutto la famiglia: si riconoscono dietro il Papa, il Cardinale Antonio Barberini e suo zio Antonio; il Cardinale Francesco che raccomanda al Papa il Generale P. Muzio Vitelleschi; il ragazzo a destra davanti al gruppo principale è Don Carlo, figlio decenne del Prefetto, Don Taddeo Barberini. Vicino alla carrozza, il nano della corte del Cardinale Antonio, Botolino. Anche per questo quadro, come per il precedente, Sacchi si serve di aiuti, Filippo Gagliardi, che ha costruito pittoricamente lo spazio architettonico per il primo, e il fiammingo Jean Miel per il secondo.