E’ l’inizio degli anni cinquanta. Nei primi tre
anni a Roma madre e figlio Keil si rimboccano le
maniche e iniziano la lotta “per arrivare alla sera
con un tetto sulla testa e lo stomaco pieno”, lotta
comune a tantissimi che, come loro, in quei
giorni, nella capitale e in tutta l’Italia, cercano di
ripartire dopo la lunga e dolorosa esperienza
della guerra. Durante quei primi tre anni la
madre riprende il lavoro di istitutrice presso
famiglie italiane residenti a Roma, aiutandosi
anche con il lavoro a maglia. Georg non
dimentica le tante fredde stanze e i modesti
appartamenti a Roma, i tanti traslochi con le loro
poche cose che diventano sempre di più ad ogni
trasloco. Ricorda i proprietari, scontenti della
poca puntualità nel pagamento dell’affitto ed
il momento della decisione di lasciare Roma per
trasferirsi altrove. Per un periodo hanno anche le
tessere per pranzare nella mensa della Pontificia
Opera di Assistenza, vicino Piazza Fiume. “Tanta
gente come noi, c’era di tutto: poveri, stranieri,
ufficiali nazisti in fuga; era un rifugio per tutti
anche perché era territorio Vaticano”.
Ricorda però anche lo stupore per le sue
continue scoperte. Roma è “un tesoro da scoprire
giorno per giorno”. Continue scoperte, che solo
gli occhi di un artista ancora giovane riescono a
carpire. E tutto sempre a piedi. Intanto Georg
inizia a frequentare la scuola tedesca, ma solo sei
mesi dopo l’arrivo a Roma, perché fino ad allora
sono clandestini e senza il permesso di soggiorno.
In quegli anni non è semplice ottenere
permessi di soggiorno necessari per la scuola, per
avere un affitto regolare, per l’assistenza
sanitaria.
Grazie alla dichiarazione di Aldo
Menardi, uno dei nove Kriegsgefangene
conosciuti a Graz, nella quale descrive il
comportamento tenuto da Elisabeth nei confronti
dei nove Kriegsgefangene, l’allora questore di
Roma, il dottor De Stefano, racconta Georg, dopo
aver letto la dichiarazione esclama: “A questa
signora diamo il massimo”: permesso di
soggiorno permanente. Con questo documento
Georg può iniziare a frequentare la scuola tedesca
a Piazza Ungheria, scuola che riprende le lezioni
dopo la guerra e che poi si trasferisce vicino
Porta Pinciana, nei locali di una Chiesa
Evangelica. Gli alunni sono di diverse età,
istruzione, livello sociale: vi sono anche italiani.
Georg ha solo buoni ricordi di quella scuola, nella
quale “si sentiva a casa” e dove sono gli italiani “a farla da ospiti, ben graditi”. La scuola tedesca è accettata bene, al pari di tutte le altre scuole
della capitale. Nonostante le ferite della guerra
non siano ancora del tutto rimarginate ed i ricordi
ancora vivi, non vi è ombra di ostilità da parte
dei romani.
L’italiano di Georg nel frattempo
migliora. La lingua gli piace e coltiva tante letture
in italiano. Legge molto: dai fumetti, il Corsaro
nero e Tex Willer, ai giornali, sia i quotidiani che i pochi settimanali. Passa anche molto tempo con i
libri di avventura.
Nei primi due anni a Roma
Georg si rifiuta di parlare italiano. Poi
all’improvviso, comincerà e si esprimerà subito
correttamente. Ci spiega che non voleva parlarlo
come uno straniero, in un modo che lo avrebbe
fatto sentire ridicolo, perciò è stato zitto per tanto
tempo. “Sono sempre stato un perfezionista e non
volevo parlare male l’italiano”.
In Austria torneranno due volte, nel 1950 e nel
1951. La madre organizza un viaggio da Roma a
Mittersill per un gruppo di circa venti persone.
Per loro due il viaggio sarà naturalmente gratis
ed avanzerà anche qualche soldo.
I rapporti con
familiari, parenti ed amici in Austria, si sono nel
frattempo molto allentati e raffreddati. A Georg il
viaggio piace ma non più di tanto. Ha parlato in
tedesco “wieder wie dir die Schnabel gewachsen ist”,
come ti è cresciuto il becco, in altre parole, come
imparato da bambino. Ma non si sente a casa sua
come invece a Roma e, certo, non gli piace stare in
Austria come invece gli piace stare in Italia.
Tornano quindi in Italia, convinti e felici della
loro scelta.
A Roma, quando Georg esce da
scuola incontra la madre al laghetto di Villa
Borghese dove lei passeggia con il bambino di cui
si prende cura. Elisabeth è esasperata dai piccoli
scafi sui quali Georg monta delle vele traballanti
e fa “segeln“, veleggiare, nella fontana di Villa
Borghese. “In questa fontana sperimentavo i
velieri al vento”, i velieri che avrebbe riprodotto
nei suoi quadri. Lascia la scuola tedesca dopo due
anni di frequenza regolare per iniziare a lavorare.
Dal momento che èmolto bravo a disegnare viene
preso come apprendista in una bottega nei locali
della ex Accademia delle Arti tedesca, non
lontana da Piazza Bologna, tenuta da due
artigiani tedeschi, Götz e Pinkl, stabilitisi a Roma
da prima della guerra, molto conosciuti ed
apprezzati non solo a Roma. Tutto si esegue quasi
esclusivamente a mano, addirittura il martello al
posto del torchio per stampare le stoffe con lastre
di linoleum sulle quali Georg crea disegni
incidendole e preparandole per la stampa delle
stoffe.
Non mi pagavano, dice Georg, adducendo
il motivo che fossi un apprendista.
Quel periodo gli sarà molto utile perché lo
avrebbe introdotto nell’arte e nella tecnica
dell’incisione. Conosce poi, una signora che
costruisce paralumi. A lei piacciono molto i
disegni di Georg: i velieri o i monumenti romani
sullo stile di Piranesi. “Piranesi è stato la mia
scuola” dice Georg,ma un giorno, per caso, viene
a sapere che la signora vende i paralumi ad alto
prezzo poiché “… i disegni sono di un famoso
artista austriaco, molto affermato, e sono degli
originali”, ma a Georg dà molto poco. Elisabeth
affronterà a muso duro la signora, chiudendo il
rapporto con lei. Georg continuerà a disegnare e
a vendere qualche opera ma …sta arrivando “il
tempo delle barchette”. |