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Progetto grafico ed impaginazione
ALESSANDRO TOFANI

 


GEORG KEIL
“NETTUNO È IL MIO PAESE
IST MEIN ZUHAUSE”

 

GIORGIO PAGLIUCA
ALBERTO SULPIZI

Comune di Nettuno
Istituto Culturale Italo-Tedesco

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Elisabeth e Georg

Georg Keil nasce ad Innsbruck l’otto giugno 1935 da Georg Ortner, sottufficiale dell’esercito austriaco, poi ufficiale del Terzo Reich dopo l’Anschluss dell’Austria (1938), e da Elisabeth Keil.Georg non avrà mai rapporti con il padre che lascia la mamma Elisabeth, che non ha voluto sposare e lui ancora piccolo, per sposare un’altra donna dalla quale avrà quattro figli.
Georg viene riconosciuto come figlio dal padre che si rifiuta però di dargli il proprio cognome Ortner.
Padre e figlio si incontrano solo un paio di volte, nel periodo in cui Georg abita in casa dei nonni paterni a Klagenfurt, e conoscerà solo uno dei suoi quattro fratellastri.
Del padre non sa più nulla, né quando è morto né dove è sepolto, così come non sa nulla dei fratellastri.
La mamma Elisabeth, figlia di Robert Keil, nasce nel 1912 a Mittersill nel Pinzgau, provincia di Salisburgo, nella valle del Salzach, il fiume utilizzato per il trasporto del salgemma.
Il padre di Elisabeth è un costruttore edile che, a differenza della maggior parte dei costruttori locali, ha studiato e conseguito il diploma di Baumeister, perito edile. Per potersi fregiare del titolo dovrebbe però pagare una ingente tassa al governo austro-ungarico, cosa che non fa. Disegna da solo ciò che costruisce.
Elisabeth rimane orfana (di madre) a due anni e suo padre, avendo undici figli, quattro femmine e sette maschi, si risposa. La matrigna è tale di nome e di fatto. Aizza tra l’altro i figliastri uno contro l’altro tanto che questi molto presto cominciano a lasciare la casa. Cosa che fa anche Elisabeth, appena può, abbandonando gli studi e la casa per andare “a servizio”.
Il padre di Elisabeth, nonno di Georg, pur consapevole di avere una figlia molto intelligente alla quale affida anche incarichi delicati, contrasta per principio il desiderio di Elisabeth di diventare architetto, adducendo come motivo che a Salisburgo vi è un solo architetto donna e aggiungendo con tono sarcastico “Willst du auch so eine werden”, vuoi diventare anche tu una così?
La madre è una persona limpida e, nonostante dimostri un’intelligenza superiore alla media, non sfrutterà mai appieno le sue doti, preoccupandosi invece principalmente del bene degli altri.
Dopo la partenza del padre di Georg, Elisabeth riceve un paio di proposte di matrimonio da parte di alcuni benestanti di Mittersill, ma lei le rifiuta.
Prima della nascita di Georg, ad Elisabeth si presenta l’opportunità di venire in Italia, a Roma, per fare l’istitutrice, non la bambinaia, precisa Georg. Segue allora un corso che la abilita a tale incarico e all’età di ventidue anni, nel 1934, parte per Roma.
Rientra poi ad Innsbruck, dove nel 1935 nasce Georg. Elisabeth, racconta Georg, ha un forte desiderio di maternità e, quasi a prescindere da una figura maschile, lo vive come una necessità biologica; avere un figlio è per lei un passo imprescindibile della propria vita. Nel 1937 ritorna a Roma per quasi due anni, lasciando Georg dai suoceri.
Il governo nazista la richiamerà in Austria per lavorare come istitutrice in un riformatorio, dove rimane fino al 1942. Elisabeth sarà una figura sempre presente nella vita di Georg fino alla morte, avvenuta il tre marzo 1986 nella clinica Villa dei Pini ad Anzio. Ora riposa nel cimitero di Nettuno e Georg va spesso a trovarla. La tomba è ornata da un altorilievo di marmo fatto dal figlio alcuni anni prima della sua morte.
Secondo Georg, la madre possiede particolari doti sensitive, che si manifestano in molteplici occasioni della loro vita. E’ infatti sognando la sorella Luise che Elisabeth riuscirà a salvare la nipote Giuseppina, figlia di Luise. E sarà sempre un sogno a rafforzare la sua fede di “credente, ma non osservante e da giovane addirittura scettica”. Elisabeth racconta molto emozionata a Georg di aver sognato una persona che per lei è Gesù. Le scende incontro da una collina, seguito da un gregge senza fine. Arrivatole vicino la guarda con profondo amore. Elisabeth si sente attraversata da quello sguardo. Poi un suono di campane e vede Gesù trasformarsi in un affresco sul muro di una chiesa. Da quel sogno Elisabeth uscirà con una fede rafforzata e la convinzione che non sarebbe più stata abbandonata, “sarebbe uscita da qualsiasi situazione difficile”. Dopo quel sogno, inoltre, non ci sarà più alcun segno del glaucoma diagnosticato anni prima in Austria. E’ grazie ad un ulteriore sogno, in cui davanti un bosco in fiamme ed un solo sentiero attraverso il quale riescono ad uscire illesi, che Georg crede che la madre acquisti maggiore coraggio e fiducia per andare avanti, nonostante la dura realtà della vita.
Dopo la nascita, Georg trascorre i primi due anni con la mamma ad Innsbruck. Non ricorda naturalmente nulla della città dove poi tornerà solo un paio di volte.
All’età di due anni, nel 1937, si trasferisce a Klagenfurt, dai nonni paterni, restando con loro fino all’età di sette anni. Lì frequenta la prima classe elementare ma viene bocciato perché “non seguito a casa”. Di quel periodo presso i nonni ha pochi ricordi. La sensazione è di una bella fanciullezza, bella ma trascorsa in solitudine, abbandonato a sé stesso, tanto da essere bocciato a scuola “anche se non ero stupido”, commenta Georg.
Nel 1942, all’età di sette anni, va a Graz nella regione della Stiria, da sua madre, che nel frattempo ha ottenuto un lavoro statale come istitutrice presso il locale riformatorio. Gli piace stare con la madre e i nonni non gli mancano. Elisabeth ha bisogno di essere rassicurata circa l’affetto del figlio e gli chiede spesso: “Hast du mich lieb, Jörgele? -Mi vuoi bene Giorgetto? E la sua immancabile risposta era: ”Ja, bestimmt, wirklich”, si, certo, veramente. Ed è vero.
Il sentimento di affetto e di fiducia verso la madre è molto forte e tale rimarrà per tutto il tempo che Georg condividerà ancora con lei.
A Graz frequenta nuovamente la prima classe. In quella scuola viene riconosciuto per la prima volta il suo talento artistico: Georg, in disegno, risulterà il migliore di tutti gli alunni delle quattro classi della scuola. Gli piace tanto lavorare con la plastilina. Si appassiona a lavorarla, a scolpirla. Quelle “creazioni artistiche” sono frutto della necessità di esprimere, di dire, di trasmettere le sue sensazioni.
Non ha ricordi dell’”Anschluss”, dell’annessione dell’Austria al terzo Reich tedesco del 1938. Nei suoi ricordi l’Austria è parte del Reich ed il nazismo è la sola forma di governo che conosce. Ricorda che sulle porte degli uffici si legge “Unser Gruß ist, il nostro saluto è, Heil Hitler!” Gli piace molto un libro di biologia, nel quale è scritto di evitare i contatti con persone di origine ebraica: “Una razza degenerata”. Gli rimane ancor oggi la domanda: ”Perché?”. Ma ammette di non essersi sforzato troppo nel cercare di capire il nazismo. Per lui è “una cosa dei grandi”. Gli argomenti trattati nel libro non lo convincono e questo sarà uno dei suoi pochi punti di contatto con il razzismo nazista.
In casa, con Elisabeth e Giuseppina, non se ne parla. Sua madre riesce ad evitare che entri nella Hitler Jugend, gioventù hitleriana, perché era “lungenschwach, nicht krank aber schwach”, debole di polmoni, non malato ma debole. Così non partecipa mai alle manifestazioni di regime, delle quali è sempre e unicamente spettatore.
Ricorda in particolare, una commemorazione ai caduti presso un monumento alla periferia di Graz, una statua: “ci sarà ancora?…. Tutti in uniforme alle adunate naziste alle quali lui, al contrario dei suoi amici, non partecipa ma non per questo si sente un escluso. L’importante, dice oggi, è che sua madre sia riuscita ad evitargli qualsiasi coinvolgimento.
Per lui non è del resto un problema; già da allora preferisce stare da solo. Elisabeth dovrebbe iscriversi al partito nazista, anche per fare carriera da dipendente statale, ma non vuole, né voterà mai per qualcuno, così come non vuole che suo figlio si iscriva alla “Hitler Jugend”. Viene anche minacciata: ”La smetta altrimenti la facciamo sparire”. In quegli anni molti “sparivano” senza più dare notizie.
Georg torna con la mente alla gente che parte per la guerra, uomini, donne, parenti, amici e conoscenti, il ricordo più vivo è dei bombardamenti aerei. All’inizio saltuari, poi sempre più frequenti e alla fine continui, con tutti gli immaginabili risultati del dopobombardamento: distruzione, morte, disperazione, angoscia, paura. Le sirene degli allarmi, il terrore del loro suono e delle conseguenze. Il tutto con gli occhi di un bambino costretto a diventare grande anzitempo. Torna ad un momento difficile, quando lui e la madre sono sorpresi dall’allarme aereo a Graz, nella grande Wienerstrasse, lontani da un rifugio e un soldato italiano prigioniero lo prende sottobraccio e via di corsa…al rifugio, mentre già cadono le bombe. “Ich habe für das erste Mal geweint”, ho pianto per la prima volta, ricorda Georg. Quando escono dal rifugio non vi è più nulla in piedi; gli aerei alleati cercano forse di colpire la ferrovia che corre a fianco della Wienerstrasse ma sbagliano bersaglio. Poche le lezioni, continui gli allarmi. Più tempo negli scantinati della scuola che in
classe. Lo scoppio terribile delle bombe e il “canto” delle schegge che gli ricordano “il suono di un violino”. Gli torna in mente “ein komisches Gebäude”, un palazzo strano, colpito da un bombardamento alleato nel 1945, con la sola facciata esterna ancora in parte intatta e lui che gioca tra le macerie della casa distrutta con altri bambini; le stanze “a cielo aperto” e un grande spadone appeso ad una parete, irraggiungibile.
Un lungo filo nero, semicoperto dalle macerie e Georg ricorda che dopo averlo tagliato, nel negozio di alimentari lì vicino non funzionerà più il telefono. Gli rimane impresso l’abbattimento di un bombardiere alleato, la sua caduta che per un po’ sembra avvenire sulla loro casa, deviando poi e schiantandosi poco vicino: rottami, motori fumanti, corpi straziati.
Poi la fine del nazismo. Nel Tirolo i nazisti però non ci sono già più. Se ne sono già andati. La gente è felice dell’arrivo degli alleati, ed è nella piazzetta centrale del paesino in attesa. Nel ristorante della piazza vi sono ancora dei genieri tedeschi affacciati alle finestre. Gli americani offrono loro da bere: ma questi non accettano. L’espressione dei tedeschi è triste. Gli americani tirano fuori dai loro sacchi molte bottiglie ed i paesani bevono felici e contenti. Le armi vengono consegnate agli americani. Maschere ed elmetti non vanno consegnati e così diventano i loro giocattoli.
Ricorda la visita degli americani a casa loro e la madre che aggiusta con ago e filo un passante della cintura di un soldato e gli altri militari che scherzano con loro. “A noi bambini hanno dato cioccolate”. Nel 1942 la madre dà le dimissioni dal riformatorio. Da qualche mese non riceve stipendio perché “oppositrice del regime”.
Decide di vivere da sola con suo figlio, nonostante i genitori paterni lo reclamino fino al punto di citarla in tribunale per incuria, cosa che la costringe ad una sua contro citazione nei confronti dei suoceri. Riceve definitivamente l’affido del figlio.
Georg frequenta il Kepplergymnasium di Graz. A scuola se la cava. La frequenta fino alla partenza per l’Italia. Allo stesso tempo è iscritto alla scuola d’arte del Professor Cozet. La sua vena artistica comincia a trovare estimatori ed i primi rudimenti tecnici che il professor Cozet trasmette al giovane Georg saranno un bagaglio culturale che contribuirà fortemente alla formazione del futuro artista.


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