Georg Keil nasce ad Innsbruck l’otto giugno
1935 da Georg Ortner, sottufficiale dell’esercito
austriaco, poi ufficiale del Terzo Reich dopo
l’Anschluss dell’Austria (1938), e da Elisabeth
Keil.Georg non avrà mai rapporti con il padre che
lascia la mamma Elisabeth, che non ha voluto
sposare e lui ancora piccolo, per sposare un’altra
donna dalla quale avrà quattro figli.
Georg viene
riconosciuto come figlio dal padre che si rifiuta
però di dargli il proprio cognome Ortner.
Padre e
figlio si incontrano solo un paio di volte, nel
periodo in cui Georg abita in casa dei nonni
paterni a Klagenfurt, e conoscerà solo uno dei
suoi quattro fratellastri.
Del padre non sa più
nulla, né quando è morto né dove è sepolto, così
come non sa nulla dei fratellastri.
La mamma Elisabeth, figlia di Robert Keil,
nasce nel 1912 a Mittersill nel Pinzgau, provincia
di Salisburgo, nella valle del Salzach, il fiume
utilizzato per il trasporto del salgemma.
Il padre di Elisabeth è un costruttore edile
che, a differenza della maggior parte dei
costruttori locali, ha studiato e conseguito il
diploma di Baumeister, perito edile. Per potersi
fregiare del titolo dovrebbe però pagare una
ingente tassa al governo austro-ungarico, cosa
che non fa. Disegna da solo ciò che costruisce.
Elisabeth rimane orfana (di madre) a due anni
e suo padre, avendo undici figli, quattro femmine
e sette maschi, si risposa. La matrigna è tale di
nome e di fatto. Aizza tra l’altro i figliastri uno
contro l’altro tanto che questi molto presto
cominciano a lasciare la casa. Cosa che fa anche
Elisabeth, appena può, abbandonando gli studi e
la casa per andare “a servizio”.
Il padre di
Elisabeth, nonno di Georg, pur consapevole di
avere una figlia molto intelligente alla quale
affida anche incarichi delicati, contrasta per
principio il desiderio di Elisabeth di diventare
architetto, adducendo come motivo che a
Salisburgo vi è un solo architetto donna e
aggiungendo con tono sarcastico “Willst du auch
so eine werden”, vuoi diventare anche tu una così?
La madre è una persona limpida e, nonostante
dimostri un’intelligenza superiore alla media,
non sfrutterà mai appieno le sue doti,
preoccupandosi invece principalmente del bene
degli altri.
Dopo la partenza del padre di Georg,
Elisabeth riceve un paio di proposte di
matrimonio da parte di alcuni benestanti
di Mittersill, ma lei le rifiuta.
Prima della nascita
di Georg, ad Elisabeth si presenta l’opportunità di
venire in Italia, a Roma, per fare l’istitutrice, non
la bambinaia, precisa Georg. Segue allora un
corso che la abilita a tale incarico e all’età di
ventidue anni, nel 1934, parte per Roma.
Rientra poi ad Innsbruck, dove nel 1935 nasce
Georg. Elisabeth, racconta Georg, ha un forte
desiderio di maternità e, quasi a prescindere da una figura maschile, lo vive come una necessità
biologica; avere un figlio è per lei un passo imprescindibile
della propria vita. Nel 1937 ritorna a
Roma per quasi due anni, lasciando Georg dai
suoceri.
Il governo nazista la richiamerà in
Austria per lavorare come istitutrice in un
riformatorio, dove rimane fino al 1942. Elisabeth
sarà una figura sempre presente nella vita di
Georg fino alla morte, avvenuta il tre marzo 1986
nella clinica Villa dei Pini ad Anzio. Ora riposa
nel cimitero di Nettuno e Georg va spesso a
trovarla. La tomba è ornata da un altorilievo di
marmo fatto dal figlio alcuni anni prima della sua
morte.
Secondo Georg, la madre possiede particolari
doti sensitive, che si manifestano in molteplici
occasioni della loro vita. E’ infatti sognando la
sorella Luise che Elisabeth riuscirà a salvare la
nipote Giuseppina, figlia di Luise. E sarà sempre
un sogno a rafforzare la sua fede di “credente, ma
non osservante e da giovane addirittura scettica”.
Elisabeth racconta molto emozionata a Georg di
aver sognato una persona che per lei è Gesù. Le
scende incontro da una collina, seguito da un
gregge senza fine. Arrivatole vicino la guarda con
profondo amore. Elisabeth si sente attraversata
da quello sguardo. Poi un suono di campane e
vede Gesù trasformarsi in un affresco sul muro di
una chiesa. Da quel sogno Elisabeth uscirà con
una fede rafforzata e la convinzione che non
sarebbe più stata abbandonata, “sarebbe uscita da
qualsiasi situazione difficile”. Dopo quel sogno,
inoltre, non ci sarà più alcun segno del glaucoma
diagnosticato anni prima in Austria. E’ grazie ad
un ulteriore sogno, in cui davanti un bosco in
fiamme ed un solo sentiero attraverso il quale
riescono ad uscire illesi, che Georg crede che la
madre acquisti maggiore coraggio e fiducia per
andare avanti, nonostante la dura realtà della
vita.
Dopo la nascita, Georg trascorre i primi due
anni con la mamma ad Innsbruck. Non ricorda
naturalmente nulla della città dove poi tornerà
solo un paio di volte.
All’età di due anni, nel 1937,
si trasferisce a Klagenfurt, dai nonni paterni,
restando con loro fino all’età di sette anni. Lì
frequenta la prima classe elementare ma viene
bocciato perché “non seguito a casa”. Di quel
periodo presso i nonni ha pochi ricordi. La
sensazione è di una bella fanciullezza, bella ma
trascorsa in solitudine, abbandonato a sé stesso,
tanto da essere bocciato a scuola “anche se non
ero stupido”, commenta Georg.
Nel 1942, all’età
di sette anni, va a Graz nella regione della Stiria,
da sua madre, che nel frattempo ha ottenuto un
lavoro statale come istitutrice presso il locale
riformatorio. Gli piace stare con la madre e i
nonni non gli mancano. Elisabeth ha bisogno di
essere rassicurata circa l’affetto del figlio e gli
chiede spesso: “Hast du mich lieb, Jörgele? -Mi vuoi
bene Giorgetto? E la sua immancabile risposta
era: ”Ja, bestimmt, wirklich”, si, certo, veramente.
Ed è vero.
Il sentimento di affetto e di fiducia verso la madre è molto forte e tale rimarrà per
tutto il tempo che Georg condividerà ancora con
lei.
A Graz frequenta nuovamente la prima classe.
In quella scuola viene riconosciuto per la prima
volta il suo talento artistico: Georg, in disegno,
risulterà il migliore di tutti gli alunni delle
quattro classi della scuola. Gli piace tanto
lavorare con la plastilina. Si appassiona a
lavorarla, a scolpirla. Quelle “creazioni artistiche”
sono frutto della necessità di esprimere, di dire,
di trasmettere le sue sensazioni.
Non ha ricordi
dell’”Anschluss”, dell’annessione dell’Austria al
terzo Reich tedesco del 1938. Nei suoi ricordi
l’Austria è parte del Reich ed il nazismo è la sola
forma di governo che conosce. Ricorda che sulle
porte degli uffici si legge “Unser Gruß ist, il nostro
saluto è, Heil Hitler!” Gli piace molto un libro di
biologia, nel quale è scritto di evitare i contatti
con persone di origine ebraica: “Una razza
degenerata”. Gli rimane ancor oggi la domanda: ”Perché?”. Ma ammette di non essersi sforzato
troppo nel cercare di capire il nazismo. Per lui è
“una cosa dei grandi”. Gli argomenti trattati nel
libro non lo convincono e questo sarà uno dei
suoi pochi punti di contatto con il razzismo
nazista.
In casa, con Elisabeth e Giuseppina, non
se ne parla. Sua madre riesce ad evitare che entri
nella Hitler Jugend, gioventù hitleriana, perché era “lungenschwach, nicht krank aber schwach”, debole
di polmoni, non malato ma debole. Così non
partecipa mai alle manifestazioni di regime, delle
quali è sempre e unicamente spettatore.
Ricorda
in particolare, una commemorazione ai caduti
presso un monumento alla periferia di Graz, una
statua: “ci sarà ancora?…. Tutti in uniforme alle
adunate naziste alle quali lui, al contrario dei suoi
amici, non partecipa ma non per questo si sente
un escluso. L’importante, dice oggi, è che sua
madre sia riuscita ad evitargli qualsiasi
coinvolgimento.
Per lui non è del resto un
problema; già da allora preferisce stare da solo.
Elisabeth dovrebbe iscriversi al partito nazista,
anche per fare carriera da dipendente statale, ma
non vuole, né voterà mai per qualcuno, così come
non vuole che suo figlio si iscriva alla “Hitler
Jugend”. Viene anche minacciata: ”La smetta
altrimenti la facciamo sparire”. In quegli anni
molti “sparivano” senza più dare notizie.
Georg
torna con la mente alla gente che parte per la
guerra, uomini, donne, parenti, amici e
conoscenti, il ricordo più vivo è dei
bombardamenti aerei. All’inizio saltuari, poi
sempre più frequenti e alla fine continui, con tutti
gli immaginabili risultati del dopobombardamento:
distruzione, morte,
disperazione, angoscia, paura. Le sirene degli
allarmi, il terrore del loro suono e delle
conseguenze. Il tutto con gli occhi di un bambino
costretto a diventare grande anzitempo. Torna ad
un momento difficile, quando lui e la madre sono
sorpresi dall’allarme aereo a Graz, nella grande
Wienerstrasse, lontani da un rifugio e un soldato italiano prigioniero lo prende sottobraccio e via di
corsa…al rifugio, mentre già cadono le bombe. “Ich habe für das erste Mal geweint”, ho pianto
per la prima volta, ricorda Georg. Quando escono
dal rifugio non vi è più nulla in piedi; gli aerei
alleati cercano forse di colpire la ferrovia che
corre a fianco della Wienerstrasse ma sbagliano
bersaglio. Poche le lezioni, continui gli allarmi.
Più tempo negli scantinati della scuola che in
classe. Lo scoppio terribile delle bombe e il “canto” delle schegge che gli ricordano “il suono
di un violino”. Gli torna in mente “ein komisches
Gebäude”, un palazzo strano, colpito da un
bombardamento alleato nel 1945, con la sola
facciata esterna ancora in parte intatta e lui che
gioca tra le macerie della casa distrutta con altri
bambini; le stanze “a cielo aperto” e un grande
spadone appeso ad una parete, irraggiungibile.
Un lungo filo nero, semicoperto dalle macerie e
Georg ricorda che dopo averlo tagliato, nel
negozio di alimentari lì vicino non funzionerà più
il telefono. Gli rimane impresso l’abbattimento di
un bombardiere alleato, la sua caduta che per un
po’ sembra avvenire sulla loro casa, deviando poi
e schiantandosi poco vicino: rottami, motori
fumanti, corpi straziati.
Poi la fine del nazismo. Nel Tirolo i nazisti però
non ci sono già più. Se ne sono già andati. La
gente è felice dell’arrivo degli alleati, ed è nella
piazzetta centrale del paesino in attesa.
Nel ristorante della piazza vi sono ancora dei
genieri tedeschi affacciati alle finestre. Gli
americani offrono loro da bere: ma questi non
accettano. L’espressione dei tedeschi è triste. Gli
americani tirano fuori dai loro sacchi molte
bottiglie ed i paesani bevono felici e contenti.
Le armi vengono consegnate agli americani.
Maschere ed elmetti non vanno consegnati e così
diventano i loro giocattoli.
Ricorda la visita degli americani a casa loro e la
madre che aggiusta con ago e filo un passante
della cintura di un soldato e gli altri militari che
scherzano con loro. “A noi bambini hanno dato
cioccolate”. Nel 1942 la madre dà le dimissioni
dal riformatorio. Da qualche mese non riceve
stipendio perché “oppositrice del regime”.
Decide di vivere da sola con suo figlio,
nonostante i genitori paterni lo reclamino fino
al punto di citarla in tribunale per incuria, cosa
che la costringe ad una sua contro citazione nei
confronti dei suoceri.
Riceve definitivamente l’affido del figlio.
Georg frequenta il Kepplergymnasium di Graz.
A scuola se la cava. La frequenta fino alla
partenza per l’Italia.
Allo stesso tempo è iscritto alla scuola d’arte
del Professor Cozet. La sua vena artistica
comincia a trovare estimatori ed i primi
rudimenti tecnici che il professor Cozet
trasmette al giovane Georg saranno un bagaglio
culturale che contribuirà fortemente alla
formazione del futuro artista. |