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ALESSANDRO TOFANI

 


GEORG KEIL
“NETTUNO È IL MIO PAESE
IST MEIN ZUHAUSE”

 

GIORGIO PAGLIUCA
ALBERTO SULPIZI

Comune di Nettuno
Istituto Culturale Italo-Tedesco

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Graz

A Graz la madre racconta a Georg di quel sogno dove lei vede sua sorella Luise, mamma di Giuseppina, da anni in rotta con lei. Luise ai piedi del letto la guarda fissa, intensamente, in modo triste, senza proferire parola e poi sparisce, come un fantasma. La sensitiva Elisabeth interpreta il sogno come un’invocazione di aiuto: Giuseppina è in pericolo. Infatti lo è, insidiata, nella famiglia dei nonni dove era ospite dopo la morte in guerra del padre. Elisabeth parte subito per Innsbruck e va dal sacerdote che conserva il documento di patria potestà su Giuseppina e che ascoltati i fatti, cede senza esitare il documento ad Elisabeth.
Alla fine del 1943 Giuseppina va a vivere a Graz, da Elisabeth e fra Georg e la cugina si instaura un ottimo rapporto. La madre vorrebbe essere aiutata, impegnata com’è con il lavoro a maglia che porta da vivere a tutti e tre ma Giuseppina, racconta Georg, “sembrava in villeggiatura”, collaborava poco nei lavori e quando era costretta a prendere ago e filo in mano lo faceva controvoglia e senza alcun impegno. Elisabeth commentava: “Lange Fädchen, faule Mädchen”, filo lungo, ragazza pigra.
Dopo la guerra Giuseppina si sposa, ha dei figli e scrive dei libri. In uno di questi, la sua biografia, fornisce della zia Elisabeth una descrizione non positiva cosa che Georg non accetta ed allenta quindi di molto i rapporti. Da allora si scrivono, a Natale, ma quasi solo come “Lebenszeichen”, un segno di vita.
A Graz, nella Stiria, durante un bombardamento, in un rifugio antiaereo, Georg conosce nove soldati italiani che, dopo l’armistizio dell’otto settembre del 1944, sono diventati Kriegsgefangene, prigionieri di guerra e come tali lì lavorano. Sono prigionieri “a piede libero”, hanno le tessere annonarie e gli esercenti locali “cercano di imbrogliarli” perché non conoscono il tedesco; più di qualche volta la madre, che parla italiano, li aiuterà. L’ incontro con questi nove prigionieri avviene tramite un ex ufficiale austro-ungarico. Questo avverte Elisabeth che alcuni prigionieri italiani stanno rubando della frutta. La mamma andrà da loro e facendo la voce grossa, in italiano, dirà loro: “andate dietro la casa che ce n’è di più”.
Georg li frequenta poco, sono così diversi dagli altri adulti che conosce e non solo perché parlano un’altra lingua,ma perché si comportano inmodo diverso, strano, forse dovuto al loro status di prigionieri. Georg li incontra solo nel rifugio durante i sempre più frequenti bombardamenti.
Georg ricorda però perfettamente quel giorno in cui dicono alla madre: ”Lisetta, deve andare via! Non può più rimanere qui. Arrivano i russi”. “Alcuni di questi vennero addirittura a casa nostra – racconta Georg - per aiutarci ad
impacchettare le nostre cose”. Elisabeth, Georg e Giuseppina fuggono da Graz come tanti altri all’avanzata del fronte orientale, dove i combattimenti contro le armate russe sono più cruenti.
Con l’aiuto dei nove prigionieri di guerra italiani, in fuga subito dopo di loro per rientrare in Italia, inizia un viaggio allucinante da Graz verso il Tirolo, dove si sa che arriveranno gli americani. E’ il viaggio più brutto nella memoria di Georg. Bisogna attraversare l’ultima zona ancora in guerra, dove la resistenza dei vinti è più forte e la pervicacia dei vincitori più incisiva. In mezzo ai bombardamenti, agli attacchi aerei, in mezzo a tanti disperati come loro in fuga, in mezzo a difficoltà di ogni genere. Chi può scappa.
Georg non ricorda quanti giorni ci siano voluti per percorrere quella distanza in fondo non eccessiva ma con montagne molto alte, neve, freddo e cruenti combattimenti. E’ un viaggio “furchtbar”, terribile. Arrivati nel Tirolo, ad Imst, vengono ospitati da parenti della cuginetta Giuseppina che vorrebbero tenere la nipotina con loro e che, a sua volta, vorrebbe restare lì. Non sarà facile per la madre di Georg riuscire a tenere Giuseppina con lei. Ad Imst la guerra, la terribile guerra comunque è finita, ci si può spostare con maggiore libertà e sicurezza, i bombardamenti però continuano altrove e gli alleati stanno occupando tutto il Reich, la Germania e l’Austria.
Da Imst poi a Innsbruck, tutti e tre, Georg, la madre e Giuseppina. Restano ad Innsbruck solo per alcuni mesi, durante i quali ad Elisabeth viene diagnosticato un glaucoma.
Nel 1946 da Innsbuck i tre “eterni viaggiatori pellegrini” tornano di nuovo a Graz dove pensano di stabilirsi definitivamente o, perlomeno, per un periodo abbastanza lungo.
Anche loro hanno voglia di “tornare a vivere normalmente”, infatti restano a Graz per due anni e mezzo. Georg torna a frequentare regolarmente la scuola e riesce addirittura ad iscriversi e frequentare per quasi mezzo anno il ginnasio. Elisabetta è conosciuta per la sua bravura nel lavoro a maglia e il lavoro non le manca.
In quegli anni, a Graz, la lana la portano gli stessi clienti ed i suoi guanti senza dita, con disegni norvegesi, sono molto conosciuti ed apprezzati. Il lavoro a maglia sarà sempre molto utile ad Elisabeth, le permetterà di “restare a galla”, non solo in Austria ma anche nel loro periodo romano.
Nel 1948 la madre di Georg comincia a coltivare un “grande progetto”. Anni prima, grazie alla vendita di una collezione di francobolli, che lei negli anni aveva raccolto, realizza una certa somma, piccola per la verità, perché Elisabeth è sì esperta in francobolli, racconta Georg, ma ignora il loro valore di
mercato e la collezione le viene pagata meno del suo effettivo valore. Una parte della somma inoltre serve anche per tirare avanti nei momenti bui che ogni tanto si frappongono alla routine di una famiglia che cerca di “tirare avanti” senza scossoni economici. Il grande progetto consiste nel lasciare l’Europa per stabilirsi definitivamente in America Latina, in Cile.
Elisabeth sa che a Roma è possibile ricevere l’assistenza necessaria per il grande salto verso il Cile. Approfitta dell’invito a tornare a Roma per lavorare ancora come istitutrice presso alcune famiglie romane, come ha fatto qualche tempo prima.
Elisabeth, suo figlio Georg e Giuseppina partono così per l’ennesima volta per un viaggio che avrebbe potuto cambiare la loro vita ed il loro destino. Questa volta la destinazione non è più un qualche paese dell’Austria ma l’Italia, Roma, dove Elisabeth ha già vissuto e che non crea preoccupazioni o angosce a Georg, pieno di fiducia nei confronti della madre che, tra l’altro, parla bene l’italiano e conosce Roma. Perciò da Graz a Mittersill, prima tappa di avvicinamento a Roma in casa del nonno materno e della sua seconda moglie, “una vera matrigna”. Forse sono loro a convincere Giuseppina a restare e non continuare quel viaggio “così strano” verso le Americhe. E’ la primavera del 1948.
Inizia il viaggio di Georg ed Elisabeth verso l’Italia, verso Roma. Atedeschi e ad austriaci non è permesso, dopo la guerra, lasciare il loro paese.
Da Mittersill al Brennero e poi a piedi verso il confine italiano dove però vengono fermati da un poliziotto che, visti i documenti, dovrebbe rispedirli indietro e che invece forse preso da compassione, li lascia passare. Suggerisce a Georg però di cambiare calzoni, perché con quei calzoni corti in pelle, tirolesi, verrebbe riconosciuto e fermato subito. Così arrivano a Bolzano, ospiti per una notte di Carlo Masera, uno dei nove Kriegsgefangene conosciuti a Graz e fuggiti subito dopo di loro per rimpatriare. A Roma, quindi, trampolino per il Cile.


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