In seguito all'assedio di Vienna (1683) fu creata la Lega Santa per cacciare definitivamente i Turchi dall'Europa Centrale; nel 1686 venne liberata Buda, e poi tutto il territorio del Regno ungarico, compresa la Transilvania. Dopo le guerre di liberazione e le guerre d'indipendenza dei " kuruc " guidati dal principe Ferenc Ràkóczi II (1703-1711) e dopo la pace di Szatmàr (1711), che sancì il compromesso tra gli Asburgo e la nobiltà ungherese, la prima metà del XVIII secolo in Ungheria fu contrassegnata dalla ricostruzione materiale, sociale e culturale del Paese. Le città ed i villaggi dell'Ungheria centrale, comprese le antiche sedi culturali, come Esztergom, Buda, Székesfehérvàr (Alba Regia), Veszprém e Kalocsa erano state quasi completamente distrutte durante il dominio turco di un secolo e mezzo, la popolazione uccisa o cacciata via. Era necessaria una vera ricostruzione e un ripopolamento della zona centrale del Paese dal lago Balaton al Tibisco, da Buda fino alla frontiera, cioè fino a Belgrado, liberata da Eugenio di Savoia nel 1717. Questa ricostruzione materiale e culturale dell'Ungheria venne determinata dalla grande attività della Chiesa cattolica ungherese.(1)
In seguito alla liberazione dell'Ungheria dai Turchi, il Regno d'Ungheria divenne parte integrante (con autonomia giuridica) dell'Impero asburgico. Accanto al riconoscimento degli antichi privilegi della nobiltà ungherese, tutte le questioni politiche ed economiche più importanti vennero giudicate dal punto di vista degli interessi dell'Impero, mentre la riorganizzazione della vita culturale del paese fu affidata alla Chiesa cattolica. La prima metà del XVIII secolo fu caratterizzata dalla ricostruzione delle città più importanti. Così a Buda, ad Esztergom, Eger, Vàc, Veszprém Kalocsa - ma in quasi tutte le grandi città sedi vescovili furono ricostruite le chiese, sorsero sontuosi palazzi barocchi (come il Castello Reale di Buda rifatto dall'architetto imperiale di Vienna, Venerio Ceresola), nuove chiese e seminari, biblioteche, scuole e collegi. Questa ricostruzione dell'Ungheria in gran parte venne determinata dall'attività della Chiesa cattolica ungherese, in strettissimo legame con l'aristocrazia e l'alta nobiltà ungherese. Essendo il più alto clero ungherese legato alla Chiesa Romana della vincente Controriforma, così anche il grande rinnovamento culturale della prima metà del Settecento ungherese ebbe un timbro decisamente italianeggiante.
Il " timbro italianeggiante " si rispecchia anche nell'architettura e nell'arte barocca ungherese, perché la costruzione dei nuovi palazzi e delle nuove chiese venne affidata ai più famosi architetti di Vienna, che allora erano in maggioranza italiani.(2) Così erano italiane le famiglie di capomastri, stuccatori, pittori e scultori attivi in Ungheria nel corso del XVIII secolo. Così i palazzi vescovili di Eger, le chiese barocche di Vàc, Veszprém, Pécs ecc. sorgono seguendo lo stile barocco italianeggiante delle chiese secentesche di Vienna, e per lo più anche i costruttori e gli artisti furono le stesse persone che avevano operato in precedenza nella città imperiale. Quasi in ogni città ungherese si formarono delle vere corporazioni artistiche italiane: a Nagyszombat e a Kassa (oggi Trnava e Kosice) i Canevale, a Sopron i Conti ed i Finali, Francesco Martinelli a Pest, Davide Antonio Fossati a Pozsony (Bratislava) e a Pannonhalma, i Galliardi a Nyitra (Nitra). L'aspetto architettonico e urbanistico delle città della diocesi di Eger fu dovuto all'attività di Giovan Battista Carlone, a Gyòngyòs gli architetti dei conti Grassalkovich furono i Quadri e Giacomo Brera, e così via. Questa vasta attività degli artisti italiani garantì una sfumatura italianeggiante al barocco ungherese, nonostante la presenza notevole di alcuni grandi pittori austriaci come il Maulbertsch o il Dorfmeister.
Anche nella vita culturale la Controriforma cattolica avanzò a grandi passi: più di 140 chiese passarono dalle mani dei protestanti a quelle dei cattolici. I diversi ordini religiosi si riorganizzarono e nel 1765 in Ungheria funzionavano 62 ginnasi cattolici (accanto a quelli dei protestanti) tra i quali 31 dei Gesuiti, 21 degli Scolopi, 6 dei Francescani, 2 dei Paolini e 1 rispettivamente di Domenicani, di Premontrensi e di Benedettini. Ai Gesuiti venne affidato il compito della riorganizzazione e della modernizzazione della vita religiosa e della formazione di una nuova coscienza storico-morale della società ungherese. A tal fine ebbero grandissima importanza l'Università e la tipografia universitaria di Nagyszombat (Trnava) fondate dal cardinale Péter Pàzmàny già nel 1635, le quali furono trasferite nella capitale ricostruita, a Buda, nel 1777. Accanto ai Gesuiti anche l'ordine degli Scolopi, dei Padri Pii (in ungherese " piaristàk "), ebbe un ruolo fondamentale nella vita culturale del Settecento ungherese, perché la loro opera fu incentrata soprattutto sulla riforma dell'educazione scolastica e sulla diffusione delle nuove scoperte scientifiche naturali, prima di tutto quelle della nuova fisica newtoniana e della filosofia di Leibniz e Wolff.
La formazione dell'alto clero ungherese è stata legata alla Chiesa romana. Già tradizionalmente per gli intellettuali ungheresi, come per quelli di una grande parte dell'Europa centrale, " Studium fuit Bononiae ", cioè dal Trecento in poi le Università di Bologna e di Padova furono la vera " alma mater " per la formazione dei giovani intellettuali ungheresi.(3) Nei secoli XIV-XV la presenza degli studenti ungheresi presso le università italiane si intensificò a tal punto che all'epoca del Rinascimento si può parlare di una vera " calata degli Ungheresi in Italia ". A cominciare però dalla metà del Cinquecento, in seguito alla presa di Buda da parte del Turco (1541) e all'avanzata della Riforma tedesca in Ungheria, si verificò un sensibile calo del numero degli studenti ungheresi nelle università italiane, almeno per quello che riguarda gli studenti laici, i quali scelsero o le università più vicine austriache o quelle di Nagyszombat (Trnava, fondata nel 1635), o quelle dei paesi protestanti (Wittenberg, Heidelberg e Gottinga). Ma il vuoto creato dalla mancanza degli studenti laici e protestanti fu ben presto colmato dalla presenza dei giovani ecclesiastici presso i nuovi collegi universitari fondati nel corso del Cinquecento dalla Controriforma cattolica in Italia, prima di tutto a Roma. Nella seconda metà del Cinquecento era già stata formulata la proposta di opporre per i giovani clerici l'Università di Roma a quella di Padova (Antonio Possevino scrisse al futuro arcivescovo Ferenc Forgàch di scegliere Roma al posto dello studio pata-vino per i suoi seminaristi " percioché in Padova et ungheri et altri dissimulano l'heresia et guastano il mondo ").(4)
Il primo a formulare l'idea di costruire a Roma dei collegi anche per i giovani dell'Europa centrale fu lo stesso Ignazio di Loyola, in seguito alla fondazione del Collegio Germanico accanto al famoso Collegio Romano della Compagnia di Gesù. Il Collegio Ungarico di Roma fu creato nel 1579 presso il monastero dei Paolini ungheresi di Santo Stefano Rotondo sul Monte Celio, per iniziativa di Istvàn Szàntó Arator, seguace di Antonio Possevino.(5) Il Collegio autonomo ungherese non operò a lungo, poiché Gregorio XIII nel 1580 decise l'unificazione di tale Collegio con quello Germanico, istituendo così il famoso Collegio Germanico-Ungarico di Roma e fissando un contingente di 12 posti per studenti provenienti dal Regno d'Ungheria. Contemporaneamente, per iniziativa del penitenziere ungherese della Basilica di San Pietro, Paolo Szondy, nel 1553 venne fondato un altro Collegio Ungarico a Bologna per garantire " un porto sicuro " nella città dotta per i giovani ecclesiastici ungheresi e croati.(6) Nei due collegi, in quello Germanico-Ungarico di Roma ed in quello Ungaro-Illirico di Bologna, fino alla loro soppressione in seguito al decreto imperiale di Giuseppe II del 1781, studiarono centinaia e centinaia dei più importanti esponenti della Chiesa cattolica ungherese (e croata).(7)
Questa continua presenza dei giovani intellettuali ungheresi nelle u-niversità italiane, protrattasi dal Medioevo fino alla fine del Settecento, ebbe una parte notevole nella formazione della cultura ungherese attraverso i secoli, perché questi studenti, tornati dalle università italiane dopo lunghi anni trascorsi in Italia, ebbero un ruolo significativo nella diffusione e nell'irradiazione del modello culturale italiano in Ungheria.
Un'importanza singolare ebbe il Collegio Germanico-Ungarico nella formazione del nuovo clero ungherese, tanto per il grande numero dei suoi membri (solo nel XVIII secolo 296 seminaristi ungheresi compirono i loro studi al famoso collegio di Roma), quanto per il loro rango nella società ungherese di allora. Infatti la maggioranza dei " germanisti " ungheresi furono rampolli delle più importanti famiglie aristocrati-che ungheresi, e molti di loro dopo il rientro in patria ebbero un ruolo importante nella vita religiosa e culturale del Paese. Dopo Péter Pàzmàny tutti gli Arcivescovi primati dell'Ungheria del Sei e Settecento furono precedentemente seminaristi del Collegio Germanico. Questi magnati, durante il loro lungo soggiorno romano, oltre ad effettuare i loro studi presso La Sapienza e presso il Collegio Romano, ebbero contatti con i ceti più alti di Roma: frequentavano i salotti e le accademie fondate dal clero romano, ne divennero membri (come il cardinale Zsigmond Kollonich e l'arcivescovo di Kalocsa, Àdam Patachich, che furono acclamati membri dell'Accademia dell'Arcadia), e poterono conoscere da vicino l'attività culturale della Chiesa e dell'aristocrazia romana proprio nel momento della fondazione di nuovi musei e biblioteche nell'ambito del rinnovamento culturale del grande movimento dell'Arcadia.(8) Con " l'esempio romano " si può spiegare l'attività mecenatizia degli arcivescovi Ferencz Barkóczy e di Kàroly Eszterhàzy prima ad Eger poi ad Esztergom, quella di Pài Forgàch e del trentino Kristòf (Cristoforo) Migazzi a Vàc; quella di Ignàcz Batthyany a Gyulafehérvàr (Alba Julia), di Adàm Patachich a Nagyvàrad (Oradea) e a Kalocsa, i quali fondarono biblioteche e seminari, tipografie e teatri d'opera e mandarono i loro giovani religiosi di talento in Italia per viaggi di studio. Tutta questa attività dell'alto clero ungherese nella prima metà del Settecento iniziò come diretta conseguenza del loro soggiorno romano. (Bisogna aggiungere che il mecenatismo " all'italiana " della ge-rarchia cattolica ungherese venne seguito ben presto dagli altri magnati ungheresi, spesso membri delle stesse famiglie aristocratiche: basti pensare al mecenatismo artistico e teatrale dei principi Esterhàzy ad Eszterhàza e a Kismarton [Eisenstadt] dove per trent'anni, dal 1762, il direttore del teatro dell'opera italiana fu Joseph Haydn.)(9)
Nella formazione dei nuovi propagatori del modello culturale italiano in Ungheria ebbe un ruolo determinante anche il Collegio Nazareno dell'ordine degli Scolopi. Gli Scolopi ungheresi, dopo la formazione della loro provincia ungherese, dal 1736 mandarono i loro migliori professori e studenti presso le famose accademie italiane, a Pisa, a Napoli e prima di tutto al Collegio Nazareno dì Roma, per ascoltare i famosi professori dell'ordine, Paolo Chellucci, Alessandro Politus, il polacco Stanislaw Konarski e soprattutto il grande divulgatore delle nuove idee newtoniane, Edoardo Corsini.(10) Tra i professori ungheresi del Collegio Nazareno troviamo alcuni dei più famosi personaggi della letteratura neolatina del Settecento ungherese, come ad esempio Ignàcz Desericzky, il quale in un trattato difese la cultura latina ungherese contro le invettive del gesuita Raimondo Cecchetti (Pro cultu litterarum in Hungaria vindicatio, Roma, 1743), e durante il suo soggiorno romano raccolse una grande quantità di documenti storici riguardanti la storia ungherese (De initiis ac majoribus Hungarorum commentaria, Roma, 1748-1760). Tra gli alunni ungheresi più eminenti di Edoardo Corsini vi furono i fratelli Kòrver, Elek Kòrver, poi preside del Collegio di Pest e Jànos Kòrver, prima professore di matematica poi provinciale dell'ordine in Ungheria, Jànos Antal Bajtay, poi professore dell'Accademia Liechtenstein di Vienna, precettore del futuro imperatore Giuseppe II, Norbert Conradi, traduttore latino delle opere corsiniane, Elek Horànyi, autore delle prime enciclopedie letterarie in Ungheria (Memoria Hungarorum, Vienna 1775-1777; Nova Memoria Hungarorum, Pest, 1792; Scriptores Piarum Scholarum, Buda, 1808-1812), e non ultimo il famoso poeta neolatino, " l'Orazio del secolo ", Jànos Krizostom Hannulik, eletto membro dell'Accademia dell'Arcadia romana col nome Seralbis Erimanticus, insieme al penitenziere ungherese della Basilica di San Pietro, il gesuita Ferenc Paludi, il quale venne accolto in Arcadia nel 1743 col nome Carpato Dindimeio, per diventare il primo poeta moderno della nuova letteratura ungherese del Settecento con le sue canzoni scritte in lingua ungherese sotto l'influenza della poesia arcadica e dei melodrammi metastasiani.(11)
Grande e fertile terreno per l'irradiazione del " modello culturale " italiano nella letteratura latina ed ungherese del Settecento in Ungheria fu la grande fioritura delle rappresentazioni scolastiche. Abbiamo conoscenza di ben quattromila spettacoli teatrali che ebbero luogo dal 1561 fino al 1773 nei quarantotto licei gesuiti dell'Ungheria, e una parte notevole di queste rappresentazioni seguì modelli di rappresentazioni latine dei Collegi italiani.(12) Nel Settecento anche le rappresentazioni delle scuole degli Scolopi ebbero una grande fioritura. Uno degli autori preferiti di queste rappresentazioni scolastiche fu Pietro Metastasio, poeta cesareo di Vienna, 17 melodrammi del quale furono tradotti in latino e tredici in lingua ungherese. La fortuna del Metastasio in Ungheria si protrae fino alla fine del secolo, quando il maggior poeta del tempo, Mihàly Csokonai Vitéz formerà il suo linguaggio poetico originale e moderno in seguito ad un'esperienza molto profonda della traduzione delle cantate e dei melodrammi metastasiani.(13)
Ma la prima conseguenza degli intensi rapporti culturali della Chiesa cattolica ungherese con Roma e con l'Italia fu la fiorente letteratura latina (neolatina) del Sei e Settecento ungherese, in cui prevaleva " il modello ed il gusto " italiano, tanto nella scelta delle opere morali, quanto negli indirizzi della storiografia e della poesia storico-epica dei Gesuiti ungheresi.(14) In questo periodo possiamo constatare da una parte le varie ristampe delle opere latine e la traduzione, prima in lingua latina, poi in lingua ungherese, delle opere morali più famose della letteratura religiosa italiana: le opere dello Scupoli, del Segneri, del Pinamonti e poi di Ludovico Antonio Muratori, il quale influenzerà non solo la letteratura della " regolata divozione ", ma anche gli indirizzi e la metodologia della storiografia ungherese - in lingua latina - del XVIII secolo.
Nella cultura ungherese del Sei e Settecento hanno un posto e un ruolo importante le varie raccolte di discorsi ecclesiastici; possiamo dire con lo studioso Istvàn Bitskey, che la predicazione fu uno dei generi principali della letteratura barocca ungherese e di tutta l'area dell'Europa Centrale dopo il Concilio di Trento.(15) Nel XVI secolo, questo genere letterario, coltivato dai Francescani Osservanti e dagli Oratoriani era rappresentato prima di tutto dalle prediche in piazza.(16) Una delle figure più eminenti di questo " genere letterario " fu Francesco Panigarola, guardiano del convento di Aracoeli in Roma, i cui discorsi sono portati dalla critica letteraria italiana come esempio tipico del primo barocco, tanto più che fu proprio lui a sintetizzare il suo metodo nell'opera Modo di comporre una predica (Venezia, 1603). Tra gli Oratoriani, San Filuippo Neri conquistò la fama maggiore a Roma nella seconda metà del Cinquecento, anche se prima di morire bruciò rutti i suoi scritti. Nel secolo successivo gli Oratoriani ormai pubblicavano regolarmente i loro discorsi. Erano molto popolari nel Seicento anche le prediche del canonico lateranense Gabriele d'Inchino, che poi vennero tradotte anche in ungherese da Bàlint Lépes, vescovo della città di Gyor.
Rispetto alle prediche in piazza significò un nuovo stile, quell'oratoria ecclesiastica che si diffuse in Italia dopo il Concilio di Trento, rappresentata dalle cosiddette predicazioni episcopali-sacerdotali, nate nello spirito della restaurazione cattolica postconciliare. Tra i maggiori rappresentanti di questa variante del genere letterario troviamo i famosi arcivescovi di Milano e di Bologna, i cardinali Carlo Borromeo e Gabriele Paleotti. L'ordinanza del Concilio che sollecitava le prediche pontificali proibiva la discussione dei dogmi decretati dal Concilio, e proponeva al posto di questa la spiegazione delle questioni etiche in uno stile più semplice affinché fossero comprese dai fedeli. Ci sono rimasti circa settecento discorsi del cardinale Paleotti, raccolti e pubblicati a Bologna nel 1582, ed anche i discorsi del Borromeo saranno raccolti e pubblicati, sia pure con un secolo e mezzo di ritardo, nel 1747-1748. Sarà lo stesso Borromeo a proporre l'uso del volgare al posto del latino per l'Arcivescovo bolognese, cosicché anche le donne e gli ignoranti potessero capire il senso delle prediche, ma a questo proposito Paleotti gli rispose che a Bologna c'erano numerosi studenti stranieri e per questi bisognava parlare in latino.(17) Dal carteggio dei due Cardinali si vede chiaramente che alla fine del Cinquecento esistevano già due modelli dell'arte oratoria, cioè le prediche in piazza e la predicazione dotta, ancora prevalentemente in lingua latina.
Anche per la fortuna di questo genere letterario di arte sacra, la comparsa dei Gesuiti portò un elemento nuovo. L'ordine era stato organizzato nel segno della lotta al protestantesimo, così era necessario rendere più efficace anche la predicazione, secondo le ammonizioni del generale Acquaviva: evitare i punti di attrito, mettendo un accento particolare sulla preparazione delle prediche, per garantire la trasmissione della morale con l'uso di uno stile semplice e comprensibile. La maggioranza dei predicatori gesuiti doveva predicare in Paesi dove i protestanti erano in maggioranza, così dovevano utilizzare anche i metodi dell'oratoria di piazza.
Le prediche dei Gesuiti italiani del XVI secolo ci sono pervenute, in maggioranza, in forma manoscritta, come le prediche di Giacomo Lainez, Benedetto Palmio e Salmeron. All'inizio del XVII secolo si animò sempre più la pubblicazione delle prediche che culminò indubbiamente nell'attività oratoria di Paolo Segneri nella seconda metà del secolo. Nelle sue opere si uniscono felicemente la profonda preparazione teologica e la sensibilità verso le questioni etico-pratiche, nonché rerudiziene e la credibilità artistica che garantirono al Segneri la fama di " principe dell'oratoria italiana ".(18)
In Ungheria nel Cinquecento l'avanzata della Riforma aveva trovato quasi del tutto impreparata la Chiesa cattolica, decapitata sul campo di battaglia di Mohàcs e divisa dalle discordie tra i due re eletti contemporaneamente nel 1527, Ferdinando d'Asburgo e Jànos Szapolyai, il cui figlio diventerà il primo principe della Transilvania, stato in bilico tra i due Imperi. Così la Riforma per diversi decenni potè diffondersi senza ostacoli. Il contrattacco da parte cattolica divenne più efficace solo verso la fine del XVI secolo, per riuscire poi a riconquistare gradualmente le proprie posizioni politico-culturali prima nelle parti occidentali, poi in quelle settentrionali del Regno d'Ungheria appartenente all'Impero asburgico.
Nella formazione degli avversari dei predicatori protestanti ebbe una funzione primaria e decisiva la possibilità della formazione dei clerici ungheresi presso le università straniere, a Vienna, a Graz, ma prima di tutto nei più famosi Collegi della Controriforma romana. Così i primi avversari dei protestanti in Ungheria sono quasi tutti reduci dalle università italiane, tra i primi lo stesso Istvàn Szàntó Arator, fondatore del Collegio Ungarico di Roma, o Miklós Telegdy, vescovo di Pécs, fondatore della prima stamperia cattolica dell'Ungheria (1577). Fra gli studenti ungheresi in Italia troviamo la maggiore figura della Controriforma ungherese, Péter Pàzmàny, futuro arcivescovo primate d'Ungheria.(19) Anche lui compì i suoi studi a Roma, al Collegio Romano, e sulla sua formazione ebbe grande influenza Roberto Bellarmino che fece da stimolo per le straordinarie capacità morali e spirituali del futuro Cardinale ungherese. Non solo la sua attività per la riorganizzazione della Chiesa cattolica ungherese, e la fondazione dell'Università Cattolica di Nagyszombat (Trnava) nel 1635, ma tutta la sua opera moralistico-let-teraria e i suoi scritti teologici e oratori in lingua ungherese produssero un'epoca nuova nella letteratura ungherese. Senza dubbio fu proprio lui uno dei primi e maggiori artefici della moderna prosa in lingua ungherese. Fu lui a rinnovare la lingua oratoria ungherese e quella scientifica. Nelle sue opere spariscono le povertà dell'oratoria volgare cattolica, le incertezze tra sintassi latina e volgare, la pesantezza dello stile. Accanto agli scritti polemici in lingua ungherese e alla monumentale sintesi apologetica dell' Az isteni igazsàgra vezetò kalauz (Guida alla verità divina, Pozsony [Bratislava], 1613), egli pubblicò anche un centinaio delle sue prediche, e dal punto di vista artistico è indubbiamente questa raccolta la sua opera letteraria più riuscita. L'etica di questi discorsi si basa su una solida struttura teologica sviluppata nel corso della trattazione regolare dei poli contrastanti delle virtù e dei peccati. Il suo stile si adegua al contenuto, non utilizza gli eccessi della prosa barocca e nemmeno gli eccessi delle prediche popolari, ma abbellisce moderatamente il suo discorso, mettendo l'accento sulla logica del contenuto. Come affermò lo studioso ungherese Istvàn Bitskey: " Nei suoi discorsi, la disciplina ferrea della neoscolastica gesuitica e la comprensione delle possibilità insite nella situazione sociale ungherese si uniscono per costruire una nuova concezione del mondo e l'etica, venuta a crearsi evitando le polemiche e tenendo conto delle tradizioni nazionali, si era dimostrata idonea a incidere sulla divisione confessionale del Paese ".(20)
Con la sua opera il cardinale Pàzmàny in soli due decenni riuscì ad annientare i successi culturali raggiunti dalla Riforma in Ungheria nel corso di più di un secolo, e con la riorganizzazione della struttura delle istituzioni culturali della Chiesa cattolica ungherese riuscì ad assicurare la durata e lo sviluppo della riconquistata superiorità della cultura cattolica in Ungheria. Fondò a Vienna una tipografia ed un Collegio per i Gesuiti ungheresi (Pàzmaneum), per sua iniziativa sorsero le Università ed i Collegi di Nagyszombat (Trnava), e la tipografia universitaria, e fu lui a sollecitare i Vescovi ungheresi perché mandassero i giovani clerici di talento a Roma e nei collegi più famosi d'Italia.
Sulla scia dell'attività del cardinale Pàzmàny procedettero anche i suoi successori, gli arcivescovi primati del XVII secolo, Imre Lósy, Gyòrgy Lippay e Gyòrgy Szelepcsényi, tutti ex-alunni del Germanico-Ungarico. Grazie alla loro attività cominciò a fiorire la letteratura religiosa cattolica in Ungheria nel Seicento e nel secolo successivo in ambedue le lingue, seguendo per lo più modelli letterari conosciuti durante i soggiorni di studio in Italia. Così Benedek Kisdy, vescovo di Eger, dopo i suoi studi al Germanico e al Conservatorio di Sant'Apollinare a Roma pubblicò nel 1651 la preziosissima raccolta di canti ecclesiastici ungheresi e latini Cantus Cattolici. A Roma entrò nell'ordine dei Gesuiti anche Gyòrgy Kàldy, autore della prima traduzione integrale della Bibbia in lingua ungherese (1637).
Nella diffusione della letteratura religiosa italiana in Ungheria - in riedizioni, o in traduzioni latine e poi in lingua ungherese - ebbe un ruolo di primaria importanza la tipografìa universitaria di Nagyszombat (Trnava).(21) Qui vennero stampate l'antologia Lyra Coelestis del canonico di Esztergom Gyòrgy Nàray (1695), l'opera in cinque volumi di Andràs Illyés (canonico di Poszony, poi vescovo di Transilvania) A keresztényi életnek példàja vagy tukore (Specchio della vita cristiana, cioè vite dei santi, 1682-1683), una specie di compilazione dei leggendari di tre opere gesuitiche spagnole, sulla base di una traduzione italiana, e la traduzione della Pratica della carità e della perfezione cristiana di Alfonso Rodriguez (A keresztényi jósàgos cselekedeteknek és tòkéletességnek gyakorlatossàga, 1688-1708), nella versione italiana di Tiberio Putignano. Similmente i Gesuiti ungheresi tradussero anche opere religiose francesi ed inglesi, con la mediazione italiana; lo stesso Ferenc Faludi durante il suo soggiorno romano tradusse l'opera del gesuita inglese William Darrell sulla base della traduzione italiana di Giuseppe Morelli (II gentiluomo istruito nella condotta d'una vita virtuosa e felice, - Istenes jósàgos és szerencsés boldog életre oktatott nemes ember. Irta anglus nyelven Dorell József. Forditotta Olaszból Faludi Ferenc, Nagyszombat [Trnava], 1748).(22) Similmente la tipografia di Nagyszombat rendeva accessibili in edizione anonima latina la Corona misteriosa di Giovanna Maria della Croce (1688, 1694), in traduzione, ed un'altra opera di edificazione morale, la Praxis Geminae Devotionis in Magnum Indiarum Apostolum D. Franciscum Xaverium... Olim ex Hìspanico et Italico idiomate..., Tyrnaviae, 1695).
Dopo la liberazione del Paese dal Turco e dopo la sconfitta della guerra d'indipendenza del principe Ràkóczi II (grande ammiratore della religiosità del padre Segneri), la restaurazione cattolica trionfò completamente in Ungheria, sotto la direttiva spirituale dei Gesuiti, e sotto la loro guida lavorò la più produttiva stamperia del Regno, quella di Nagyszombat (Trnava), pubblicando per Io più trattati teologici, prediche, ammaestramenti morali, letture devote ed opere storiografiche in lingua latina. È percettibile una maggiore presenza di opere religiose straniere, pubblicate in lingua originale o tradotte in latino, anche grazie al ragguardevole numero dei prelati ungheresi che compirono in questo secolo gli studi superiori all'estero. Così anche in Ungheria il Catechismo del Bellarmino, il Combattimento spirituale dello Scupoli, il Quaresimale del Segneri, Il Paradiso in Terra di Antonio Natale, gli ammaestramenti morali del Pinamonti, furono per intere generazioni nel corso del XVIII secolo fonti inesauribili dell'insegnamento religioso cattolico e dell'oratoria sacra.
La traduzione di queste opere morali costituisce nella prima metà del secolo il canale più importante per il quale le influenze italiane penetrano in Ungheria.(23) Fra i libri più celebri della letteratura religiosa italiana tradotti in lingua ungherese fu Il combattimento spirituale di Lorenzo Scupoli, tradotto in latino dal francescano Adorjàn Telekessy (Pozsony [Bratislava], 1722), che poi avrà ancora altre traduzioni in ungherese fino a quella moderna di Jànos Nogàll in due edizioni successive nel 1880 e nel 1893.
Dagli anni Venti del XVIII secolo in poi l'attività letteraria ed editoriale dei Gesuiti in Ungheria prende un maggiore slancio. Essi cercarono di provvedere all'educazione spirituale del clero e di venire in suo aiuto mettendogli in mano dei materiali utilizzabili nelle prediche, opere di oratori famosi, degni di essere imitati. Prima si accontentarono della ristampa delle opere scritte in latino, poi, dopo la grande fioritura delle opere in lingua nazionale, cominciarono a tradurle in ungherese.
Vennero così pubblicate a cominciare dagli anni Venti quelle edizioni della tipografia universitaria di Nagyszombat (Trnava), i cui autori, in grande maggioranza, sono Gesuiti italiani che scrivevano in latino, o che erano già stato tradotti in latino all'estero. Tra queste opere possiamo menzionare: Rev. Patris Julii Patii liber de mortificatione nostrorum passionum, pravorumque affectum ex italica lingua in latinum translatus..., Tymaviae, 1720; Luca Pinelli de perfezione religiosa libri quattuor... Nunc demum recusi, Tyrnaviae, 1727; Joan. Petrus Pinamonti: Sanctissimum cor Mariae..., Tyrnaviae, 1730; Domenico Viva: Trutina theologica... propositum ab Alexandro Vili, damnatarum Pars prima, Cassoviae, 1731; Damnatarum thesium trutina..., Cassoviae, 1743;De jubileo Anni Sancti,Tymaviae, 1750.(24)
L'opera delle riedizioni e ritraduzioni latine venne seguita anche da altre tipografie ecclesiastiche. Così gli Scolopi nella loro tipografìa di Buda pubblicarono molte opere di famosi professori del loro ordine, come il Politus (Politi Alexandri Pisanae accademiae publìci eloquen-tiae professoris, orationes habìtae, ad eundem accademiam Pisanam, 1740), o la famosa opera di retorica di Grazio Trusellini riveduta da Jacopo Facciofati, che ebbe tre ristampe negli anni Settanta sotto il titolo Particulae latinae orationis ab H.T. collectae, et a lacob. Facciolato purgatae auctaeque (Nagyszombat [Trnava], 1777; Buda, 1781; Kalocsa, 1781).
Nel 1742 i Gesuiti ungheresi pubblicarono la diffusissima opera di Pietro Pinamonti, La religiosa in solitudine... accresciuta da una versione latina de La via del cielo appianata con esporre gli impedimenti che vi s'attraversano, e la maniera di superarli. Tra queste traduzioni troviamo anche la prima versione latina del famoso Parroco istruito di Paolo Segneri dovuta al gesuita tedesco Maximilian Rassler, accanto all'opera di Paolo Medici sui Riti e costumi degli ebrei confutati nella traduzione di Miklós Rosthy, ex-alunno del Collegio Romano, mentre la tipografia dei Gesuiti di Kassa (Cassovia, oggi Kosice) pubblicò due volte la traduzione latina de L'idea di un vero penitente di Alessandro Diotallevi, nella versione di Ignàc Kistler.(25)
L'attività dei Gesuiti nella diffusione delle opere moraleggianti e o-ratorie italiane in Ungheria trovò nella seconda metà del secolo non pochi seguaci anche fra i membri degli altri ordini religiosi. Così Andreas Franciscus Schupanzigh, cancelliere " ungherese " della nunziatura apostolica di Vienna e poi parroco di Pozsony (Bratislava), nel 1763 pubblicò ad Esztergom la sua traduzione latina del famoso Trattato della carità cristiana di Ludovico Antonio Muratori. Norberto Conradi, dopo il suo tirocinio al Collegio Nazareno di Roma, tradusse in latino la Vita del Beato Giuseppe Calasanzio del famoso predicatore degli Scolopi italiani Vincenzo Talenti, opera che ebbe nell'arco di breve tempo due edizioni. I Francescani ripubblicarono in latino la vita di San Bonaventura, mentre i Domenicani diffondevano le opere anti-illuministe di Antonio Valsecchi (Scipionis ecclesiarum Pistoiensis et Pratensis... episcopi littera encyclica ad clerum suum data fine indicandae synodi diocesanae hortatu summi principis Magnae Etruriae ducis... Ex italico in latinum sermonem versa, versio haec dedicatur ven. clero ecclesiae Hungaricae, Posonii, Pestimi, Cassoviae et Viennae, 1786).(26)
Le opere più lette e più popolari di questa letteratura religiosa settecentesca in Ungheria senza dubbio erano quelle dello Scupoli e di Paolo Segneri, II Combattimento spirituale di Lorenzo Scupoli fu prima tradotto in latino da A. Telkessy (Pozsony [Bratislava], 1722), poi negli anni Settanta apparvero due traduzioni (anonime) in lingua ungherese della prima parte dell'opera. La traduzione integrale moderna dell'opera dello Scupoli è dovuta a Jànos Negali, ed ebbe due ristampe alla fine dell'Ottocento. Con la popolarità dello Scupoli nel Settecento ungherese poteva competere solo quella del padre Paolo Segneri. La sua lingua ricca e limpida, la bellezza plastica del suo stile volutamente semplice e comprensibile, l'abbondanza e la profondità dei suoi pensieri contribuirono notevolmente alla sua grande popolarità anche all'estero e alla diffusione in tutta l'Europa di uno stile di predicazione più sobrio, meno artificioso. Il suo Parroco istruito fu pubblicato la prima volta nel 1746 a Nagyszombat (Trnava), nella traduzione latina di Maximilian Rassler, e ripubblicato a Pest nel 1749, mentre Le meditazioni per tutti i giorni del mese vennero tradotte in lingua ungherese e pubblicate da un Gesuita anonimo a Kassa (Kosice): Igazàn valò bòlcsesség avagy mindennapi iavosseges gondolkodàs az isteni felelemrol és a bùnòk buntetéséról, Kassàn, 1740, pp. 110.
Emerico Vàrady nella sua monografia riporta la notizia che queste opere erano così popolari nella Chiesa cattolica ungherese, che Gàbor Zerdahelyi, vescovo di Besztercebànya (oggi Banska Bistrica) inviò a tutti i sacerdoti della sua diocesi una copia della traduzione latina del Parroco istruito, chiamato " libriccino aureo " di quest'uomo di Chiesa il cui nome anagrammato indicava: " purus angelus es ".(27)
Nel 1779 apparve a Eger la traduzione latina de II penitente istruito e de Il confessore istruito (Instructio poenitentis... Italico primum idiomate conscriptum dein vero latinitate donatum, Agriae, 1779, pp. 81; Instructio confessarli... Italico primum idiomate conscriptum deinde vero ab alio sacerdote latinitate donatum, Agriae, 1779, pp. 79). Nel 1795 vennero ristampate ad Eger le sue considerazioni divise in sette giorni, raccolte nel volume Speculum non fallax, seu doctrina speculativa et pratica de cognitione ipsius (reimpressa Agriae, 1795), che vennero tradotte e pubblicate quattro anni dopo anche in lingua ungherese (Igazat mutato tukor vagy a magunk esmeretéról valò tudomàny, és annak gyakorlàsa. Hét elmélkedésekre felosztva, a hétnek napjai szerént. Irta olasz nyelven Pater Segneri, most deàkból magyarra fordittatott Vàtczon, Vàc, 1799, pp. 94).
È emblematico che la " fortuna " del padre Segneri non cessasse in Ungheria nemmeno alla fine del XVIII secolo, anzi continuò ancora per tutto il secolo successivo. L'opera sul servizio della Santa Messa fu pubblicata in traduzione ungherese come manuale del Seminario di Pest nel 1839 (A sz. mise szolgàlatról), mentre il Quaresimale avrà varie ristampe, in traduzione ungherese, a cavallo dei secoli XIX-XX (Paolo Segneri Nagybojti szentbeszédei, Pest, 1894, Sàtoraljaujhely, 1901).
Solo un altro autore ecclesiastico riuscì ad avvicinarsi alla grande fama e popolarità delle opere morali di Paolo Segneri nella cultura ungherese del Settecento, il grande storico modenese Ludovico Antonio Muratori, sulla cui fortuna abbiamo l'eccellente saggio del mio maestro defunto, József Szauder, La fortuna dei trattati Della carità cristiana e Della regolata divozione in Ungheria nel 700.(28)
Il primo a richiamare l'attenzione sull'importanza dell'opera del Muratori in Ungheria fu l'erudito storico Màtyàs Bel, pastore luterano della comunità tedesca della città di Pozsony (Bratislava), il quale introducendo i volumi di storia letteraria di Johannes Schwandtner (Scriptores rerum Hungaricarum, Vindoboniae, 1766) consigliò agli storici ed ai letterati ungheresi di seguire il metodo critico-letterario del grande erudito modenese. Ma in quest'epoca le opere del Muratori tradotte in lingua tedesca erano già conosciute nell'Impero asburgico, e dunque non erano sconosciute nemmeno in Ungheria. La prima opera muratoriana pubblicata in Ungheria fu la traduzione latina della Regolata divozione dei cristiani (De recta hominis christiani devotione, opus Lamindi Pritani, seu celeberrimi L.A. Muratori), stampato a Buda nel 1756 sotto l'egida dei Padri Paolini ungheresi. La traduzione ungherese del trattato Della regolata divozione fu pubblicata ad Eger nel 1763 (con la falsa data di Vienna 1759: Lamindus Brutaniusnak avagy Muratorius Lajos Antalnak... a keresztény embernek valósàgos ahitatossàgàról kòltt munkàja, melly elószòr olaszból deàkra fordìttatott Lamé Bernard aitai, most pedig magyar nyelven kibotsàttatott, Eger, 1763, pp. 332, traduzione dal latino di B. Lamé), nel momento dell'elezione dell'arcivescovo Ferencz Barkóczy come primate di Esztergom; mentre la traduzione latina dell'altra opera muratoriana ru pubblicata in traduzione latina proprio ad Esztergom in occasione dell'insediamento del nuovo Arcivescovo (Ludovici Antonii Muratori Bibliothecarìi Serenissimi Domini Ducis Mutinensis de charitate chrìstiana, prout fertur in proxìmum Tractatus Moralis. Ex Italico sermone in Latinum versus, Schupanzigh Andrea Federico, Strigonii, 1763, pp. 744).
La pubblicazione di queste opere morali del Muratori, secondo József Szauder, si inseriva consapevolmente nell'attività culturale dei due grandi vescovi mecenati della città di Eger, Ferencz Barkóczy (1745-1762) e Kàroly Eszterhàzy (1762-1799), ambedue ex-studenti del Germanico di Roma, i quali hanno trasformato la loro diocesi in un vero centro culturale dell'Ungheria di allora, raccogliendo ad Eger un piccolo gruppo di letterati (tra questi anche i poeti più rinomati, come Lòrinc Orczy, Ferenc Verseghy e Gàbor Dayka), fondando il famoso Lyceum e la Biblioteca vescovile. Secondo Szauder " È indubbio [...] l'intento di Barkóczy di lasciare al suo successore e alla cerchia intellettuale di Eger l'insegnamento muratoriano sulla devozione e sulla carità ".(29) Significativo per la sensibilità creata dalla propaganda muratoriana dell'arcivescovo Barkóczy il gesto dei prelati di Pécs, M. Kertiza e G. Nunkovits, i quali diffusero nel 1765 il De naevis in religionem incurrentibus nell'edizione veneziana del 1760 con l'aggiunta la copertina consueta delle tesi scelte dalle lezioni di teologia dei professori del Seminario di Pécs, come regalo per gli esami di teologia.
Una nuova fase della penetrazione del pensiero muratoriano si verificò agli inizi degli anni Settanta, quando Ferenc Ozdi di Gàlfalva pubblicò la sua traduzione ungherese del trattato Della carità cristiana (A nagy parancsolatnak tudniillik a felabaràti szeretetnek igaz magyaràzatja, mellyet hajdan ìrt Muratorius Lajos Antal... most pedig fordìtott Gàlfalvi Ozdi Ferenc, Bétsben, Vienna, 1776, pp. 375). L'elegante volume pubblicato a Vienna è dedicato alla regina Maria Teresa e secondo l' Approbatio del 1763 l'opera è " Gentique Hungaricae peru-tile piane necessarium, dignum sane opus quod et in alias orientales linguas transferatur ".
Secondo József Szauder la traduzione del trattato Della carità dell' Ozdi " è fedele testimonianza degli influssi subiti dal traduttore nell'ambito laico e illuministico che venne a formarsi a Vienna negli anni 1770, intorno alla grande figura del poligrafo e filosofo ungherese Gyòrgy Bessenyei, e che si adoperava a reinterpretare i documenti del passato e riflettere sul nuovo programma culturale della civiltà letteraria ungherese in cammino ".(30) La traduzione dell'Ozdi, senza alterare la fisionomia dell'opera originale conferì al trattato muratoriano una voce e un'interpretazione nuova e moderna, profondamente imbevuta dello spirito illuministico dei tempi nuovi. Secondo l'interpretazione dello Szauder " In questo fermento di idee le opere del Muratori contribuirono al dissolvimento della visione statica del mondo, rinnegando l'immobilismo etico della chiesa e della nobiltà feudale ungheresi, e preparando il terreno non solo al giuseppinismo di una parte del clero e della nobiltà, ma, per le strane interferenze già avvertite nella traduzione dell'Ozdi, anche all'avvento dell'illuminismo ".(31)
Le edizioni delle opere del Segneri e del Muratori in lingua ungherese alla fine del XVIII secolo segnarono nello stesso tempo anche la fine della grande fioritura della letteratura religiosa di " timbro italiano " nella cultura ungherese. Con l'ascesa al trono di Giuseppe II ebbe fine anche la grande stagione degli studi italiani dei religiosi ungheresi, in seguito allo scioglimento della Compagnia di Gesù (1773) e al decreto imperiale del 1781 che impedì la frequenza delle Accademie e dei se-minari fuori dai confini dell'Impero. Ma in questo periodo ormai anche in Italia le vere novità culturali non si trovavano più tra le mura dei se-minari, bensì nei Caffè e nei circoli dei riformatori illuministi. Così l'attenzione degli intellettuali ungheresi, negli ultimi decenni del secolo, dalle opere moraleggianti del padre Segneri e di Ludovico Antonio Muratori si rivolge verso i trattati degli illuministi italiani della generazione dei fratelli Verri, di Cesare Beccaria, di Gaetano Filangieri ed altri, le cui opere vengono tradotte in ungherese, alla fine del secolo, con lo stesso entusiasmo.(32) Verso la fine del secolo si formarono e si consolidarono ormai definitivamente le stratture della vita culturale e si formò anche un nuovo pubblico di coscienza borghese che era necessario ad assicurare il successo del diffondersi del nuovo pensiero dell'Europa dei Lumi anche in Ungheria. Arricchita dalle opere letterarie di una intera generazione di poeti, da Ferenc Paludi a Mihàly Csokonai Vitéz a Ferenc Kazinczy, la letteratura e la cultura ungherese non era più costretta a subire l'influenza diretta di nessuna letteratura straniera. Nel corso dell'Ottocento non più modelli stranieri ma grandi scrittori nazionali come Ferenc Kazinczy, Mihàly Voròsmarty e Sàndor Petofi determineranno la formazione delle nuove tendenze letterarie della cultura ungherese. Nello stesso tempo non possiamo dimenticare che l'inizio del rinnovamento culturale e letterario ungherese avvenuto nel corso del XVIII secolo è dovuto in prima istanza alla tenace attività dei " precursori ", a quei professori e scrittori religiosi, i quali traducendo e scrivendo cercarono di trapiantare quel modello di vita religiosa e culturale che ebbero occasione di conoscere durante i loro lunghi soggiorni in Italia. Come disse József Szauder, " nel tardo Settecento ungherese prevale sempre più l'insegnamento del romanticismo tedesco ma l'esordio come tale [...] spetta all'influsso della cultura italiana",(33) ripresa dagli intellettuali ungheresi - dopo gli strettissimi, contatti del Rinascimento - proprio con la traduzione e diffusione delle opere morali italiane, tra le quali spetta un ruolo particolare ai due grandi letterati religiosi, Paolo Segneri e Ludovico Antonio Muratori.
PÉTER SÀRKOZY
Università di Roma, La Sapienza
NOTE
1 - Cfr. Péter Sàrkozy, Roma e il rinnovamento culturale del XVIII secolo, in Storia religiosa dell'Ungheria, a cura di Angelo Vaccaro, Varese, Matriona 1992, pp. 213-32.
2 - Cfr. Klàra Garas, Maestri italiani e veneziani nell'Ungheria del secolo XVIII, in Venezia, Italia, Ungheria fra Arcadia e Illuminismo, a cura di Bela KÓpeczi e Péter Sàrkòzy, Budapest, Akadémiai 1982, pp. 265-74.
3 - Cfr. Roma e l'Italia nel contesto della storia delle Università ungheresi, a cura di Carla Frova e Péter Sàrkòzy, Roma, Edizioni dell'Ateneo, 1985; Péter Sàrkòzy, " Studium fuit Bononiae ", in " II Veltro " 1-2, 1993, pp. 241-49.
4 - Agnes Szalay-Ritoók, Perché un gruppo di studenti ungheresi scelsero come meta dei loro studi l'Archiginnasio di Roma, in Roma e l'Italia nel contesto della storia delle Università ungheresi, cit., pp. 85-96, p. 95.
5 - Cfr. Istvàn Bitskey, Il Collegio Germanico-Ungarico dì Roma e la formazione detta Controriforma ungherese, in Roma e l'Italia nel contesto della storia dette Università ungheresi, cit., pp. 115-26.
6 - Cfr. Péter Sàrkdzy, Il ruolo dell 'Università di Bologna e del Collegio Un-garo-Illirico netta storia culturale ungherese, in Annali del Collegio Ungaro-Illirico di Bologna, 1553-1664, a cura di Maria Antonia Accorsi e Gian Paolo Brizzi, Bologna, CLUEB, 1988, pp. 43-63.
7 - Cfr. Endre Veress, Matricula et acta Hungarorum in Universitatibus Italiae studentium (1221-1864), Budapest, Akadémiai, 1941; Id., Matricula et acta..., Collegium Germanicum-Hungaricum, Budapest, 1917.
8 - Cfr. Péter Sàrkòzy, Intellettuali ungheresi nell'Italia del Settecento, in Miscellanea di studi in onore di Vittore Branca, voi. IV, Tra Illuminismo e Romanticismo, Firenze, Olschkì, 1983, tomo I, pp. 221-43; Id., Letteratura ungherese - Letteratura italiana. Momenti e problemi dei rapporti letterari italo-ungheresi, Roma, Canicci, 1990; Id., Ungheresi nell 'Arcadia Romana, in Id., Da I Fiumi di Ungaretti al Danubio di Attila József. Saggi di comparatistica italo-ungherese, Roma, Sovera, 1994, pp. 51-66.
9 - Cfr. Màtyàs Horànyi, The Magnificence of Eszterhàza, London, 1962; Péter Sàrkozy, Les spectacles a la cour des Esterhàzy camme modale du thèalre europèen, in Le thèatre et l'opera sous le signe de l'histoire, par Irene Maraczarcz, Paris, Klincksieck, 1994, pp. 143-54.
10 - Cfr. Pasquale Vannucci, Il Collegio Nazareno 1630-1930, Roma, 1930; Domokos Kosàry, L'influence de l'Italie sur l'education en Hongrie au milieu du XVIII siede, in Venezia, Italia, Ungheria fra Arcadia e Illuminismo, cìt, pp. 201-11; Péter Sàrkozy, " Ognor l'util cercando ". Poesia e scienza nella cultura arcadica ungherese, in Letteratura italiana e industria (Atti del XV Congresso AISLL1), a cura di Carlo Ossola e Giorgio Bàrberi Squarotti, Firenze, Olschki, in corso di stampa.
11 - " Cfr. Péter Sàrkozy, Il classicismo arcadico e la rinascita della poesia ungherese, in Id., Letteratura ungherese - Letteratura italiana, cit., pp. 145-65; József Szauder, Ispirazioni italiane nella cultura ungherese del Settecento, in Sensibilità e razionalità nel Settecento, a cura di Vittore Branca, Firenze, Sansoni, 1967, pp. 215-25.
12 - Cfr. Péter Sàrkozy, Il teatro ungherese moderno, in // teatro contemporaneo, a cura di Mario Verdone, Roma, Lucarini 1983, vol. II, pp. 503-22; Géza Staud, A magyarorszàgi jezsuita iskoladràmàk cimjegyzéke, [Le rappresentazioni scolastiche dei Gesuiti in Ungheria}, Budapest, Akadémiai, 1984, voll. I-III.
13 - Cfr. József Szauder, Metastasio in Ungheria, in AA.VV., Studi in onore di Natalino Sapegno, Roma, Bulzoni, 1975, vol. III, 309-34.
14 - Cfr. Lazio Szòrényi, L'Arcadia latina nell'Ungheria del XVIII secolo, in Venezia, Italia, Ungheria fra Arcadia e Illuminismo, cit., pp. 295-301.
15 - Cfr. Istvàn Bitskey, La predicazione: uno dei generi principali della letteratura barocca dell'Europa centrale, in Venezia e Ungheria nel contesto del barocco europeo, a cura di Vittore Branca, Firenze, Olschki, 1979, pp-287-304.
16 - Cfr. Emilie Santini, L'eloquenza italiana dal Concilio tridentino ai nostri giorni: gli oratori sacri, Milano, Remo Sandron, 1923.
17 - Paolo Prodi, Il Cardinale Gabriele Paleotti, 1522-1597, Roma, Edizioni di Storia e letteratura 1967, vol. II, p. 90.
18 - Cfr. Nicola Risi S.I., II principe dell'eloquenza sacra in Italia, Padre Paolo Segneri. Note biografiche a ricordo del terzo centenario della nascita, 1624-1694, Bologna, Stamperia de' Sordomuti, 1924.
19 - Cfr. Paolo Ruzicska, Storia della letteratura ungherese, Milano, La Nuova Accademia, 1963; Ferenc Szabó S.I., In memoria di Péter Pàzmàny. Per un ritratto del polemista e del teologo nel 350° anniversario della morte, in " Rivista di Studi Ungheresi ", 2, 1987, pp. 41-55; Id., La teologia del cardinale Pàzmàny, in Storia religiosa dell'Ungheria, cit., 201-13.
20 - Istvàn Bitskey, La predicazione, cit., p. 298.
21 - Cfr. Domokos Kosàry, Mùvelòdés a XVIII. szàzadi Magyarorszàgon [La civiltà ungherese nel XVIII secolo}, Budapest, 1980.
22 - Cfr. József Szauder, Settecento ungherese - Settecento italiano, in AA.VV., Problemi di lingua e letteratura italiana del Settecento, Wiesbaden, Steiner, 1965, 188-92; Id., Ispirazioni italiane nella cultura ungherese del Settecento, cit; Id., Paludi Ferenc és Italia, in Id., Olasz irodalom -magyar irodalom, Budapest, 1963, pp. 368-88; M. Szauder, Ferenc Paludi, membro dell'Arcadia romana, in Venezia, Italia, Ungheria fra Arcadia e Illuminismo, cit., pp. 283-93; Roberto Ruspanti, La svolta romana di un illustre gesuita ungherese, in " Archivio della Società romana di Storia Patria", 12, 1979, pp. 347-59; Péter Sàrkozy, La poesia arcadica ungherese, Ferenc Paludi e Csokonai Vitéz, in Id., Letteratura ungherese - Letteratura italiana, cit., pp. 152-65.
23 - Cfr. Emerico Vàrady, La letteratura italiana e la sua influenza in Ungheria, Roma, Istituto per l'Europa Orientale, 1934, vol. I, 234-61.
24 - Cfr. Emerico Vàrady, La letteratura italiana e la sua influenza in Ungheria, cit, vol. II, Bibliografìa, pp. 405.
25 - Cfr. Emerico Vàrady, La letteratura italiana e la sua influenza in Ungheria, cit., vol. I, pp. 241-45.
26 - Cfr. Jeno Koltay-Kastner, XVII és XVIII. szazadi olaszból forditott vallasi mùveink, [Opere religiose ungheresi dei secoli XVII-XVIH tradotte doll’italiano], in " Irodalomtorténet ", 1923; Emerico Vàrady, La letteratura italiana e la sua influenza in Ungheria, cit., voi. I, pp. 244-60; Làszló Tóth, A XVIII. szazadi olasz és magyar theologusok harca a felvilógosodàs ellen, [Attività anti-illuministica dei religiosi italiani ed ungheresi del XVIII secolo], in " Katholikus Szemle ", 1932, pp. 182-95.
27 - Cfr. Emerico Vàrady, La letteratura italiana e la sua influenza in Ungheria, cit, vol. I, pp. 246-47. Secondo Giuseppe Massei S.I., Vita di Paolo Segneri, a cura di Quinto Marini, Roma, Ugo Magnanti editore, 1995, p. 25, " il padre Sforza Pallavicino [...] compose quel gentilissimo anagramma".
28 - Cfr. József Szauder, La fortuna dei trattati Della carità cristiana e Della regolata divozione in Ungheria nel 700, in AA.VV., La fortuna di L.A. Muratori, Firenze, Olschki, 1975, pp. 143-51.
29 – Ibidem, p. 145.
30 - Ibidem, p. 149.
31 - Ibidem, p. 150
32 - Péter Sàrkòzy, Az olasz mùvelódés szerepe a magyar felvilàgosodàs kifor-màlódàsàban, [II ruolo delle influenze culturali italiane nella formazione dell'Illuminismo ungherese], in A felvilàgosodàs fordulata a magyar irodalomban, a cura di A. Debreceni, Debrecen, Csokonai, in corso di stampa.
33 - József Szauder, Ispirazioni italiane nella cultura ungherese del Settecento, cit, pp. 223-24. |